Alessandro Dal Lago, il sociologo delle culture che amava la Sicilia

Cultura | 27 marzo 2022
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E’ morto il sociologo Alessandro Dal Lago. Aveva 75 anni. Dal 1994 era stato docente di Sociologia dei processi culturali alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova, di cui era stato preside dal 1996 al 2002. Era uno studioso di teoria e filosofia delle scienze sociali, conflitti armati, ultras, migrazioni e criminalità. Collaborava da 40 anni con il quotidiano il Manifesto. Era un cultore dei rapporti sociali e tra culture differenti. Da tempo aveva scelto la Sicilia per vivere e lavorare, tra Palermo e Trapani.
Dal Lago era «uno studioso eminente, calato nel sociale, sui temi più di attualità», un uomo dalle «idee visionarie, un genialoide, avanti rispetto ai suoi tempi» secondo Guido Franco Amoretti, direttore del dipartimento di Scienze della formazione ed ex collega. «Ideologicamente di sinistra - continua Amoretti - ha saputo portare innovazione e cambiamento quando era preside della facoltà. Pur mantenendo la figura di intellettuale di sinistra ha saputo portare grandi innovazioni: sua l’introduzione dell’informatica e fummo una delle prime Facoltà in Italia ad averla». Il suo passaggio all’università di Genova “ha lasciato un segno - conclude l’ex collega - ma non una eredità. Lui incoraggiava i giovani ma una volta che raggiungevano il primo gradino li lasciava «pascolare» , li lasciava liberi senza vincolarli al suo pensiero. Così, forse, non hanno espresso tutto il loro potenziale».
Il docente ha firmato, come autore e coautore, circa 40 volumi e oltre 200 tra saggi e articoli. Tra le ultime sue pubblicazioni «Il populismo digitale» che indaga il rapporto tra la rete e la nuova destra, «Sangue nell’ottagono» (un saggio antropologico sulle arti marziali miste), «Viva la sinistra», una riflessione sul suo futuro, e «Insofferenze», saggi critici sulla cultura contemporanea. Alcuni suoi studi hanno analizzato i meccanismi d’integrazione intraculturali e multiculturali nella società aperta. Ne ha ricavato una riflessione sulla figura del migrante visto come prototipo dell’esclusione sociale.
Ha anche curato oppure introdotto le traduzioni italiane di opere di Georg Simmel, Hannah Arendt, Hans Jonas, Zygmunt Bauman, Paul Veyne, Michel Foucault. Negli anni Ottanta era stato redattore di due riviste di tendenza, «Alfabeta» e «Aut aut». Fece discutere una sua critica sul ruolo mediatico di Roberto Saviano.


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