A Troina il primo museo dedicato a Robert Capa

Cultura | 20 settembre 2021
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Fragments of war in Sicily”, questo il titolo della mostra fotografica che si inaugurerà a Troina il prossimo primo ottobre. La cittadina normanna della provincia di Enna ospiterà il primo museo italiano dedicato al fotografo Robert Capa. L’ex palazzo delle Prefettura, appena restaurato, sarà sede dell’esposizione permanente che esporrà sessantadue immagini fotografiche direttamente realizzate dai negativi del celebre fotografo ungherese.

Un progetto avviato cinque anni fa – spiega il giovane sindaco di Troina, Fabio Venezia – Un’impresa complessa e affascinante. Realizzata grazie al contributo di straordinarie figure: Alessandro Castagna e Lucilla Caniglia di “Soul Design Creative Studio”, l’International Center of Photografy di New York, Cynthia Young curatrice dell’archivio fotografico “Robert Capa”, la Fondazione Famiglia Pintaura e il comune di Troina”.

Dunque, dopo settantotto anni, Robert Capa e le sue fotografie sbarcano di nuovo in Sicilia. Le immagini del suo reportage, realizzato dopo lo sbarco e la conquista dell’Isola, trovano un approdo definitivo. Il nuovo museo avrà sede nei locali di un palazzo che si affaccia sull’ariosa e solenne piazza Conte Ruggero, un belvedere naturale con l’Etna e, sullo sfondo, il mare agognato. Una sezione dell’esposizione è dedicata alla battaglia di Troina. Sette lunghi giorni di aspri combattimenti che videro contrapposte le due fazioni in lotta. Le forze Alleate avevano già conquistato Palermo e buona parte della Sicilia in poche settimane, senza trovare opposizione degna di nota. Rimarranno schiacciate ai piedi del fortilizio di Troina per una settimana. L’ultima resistenza delle truppe tedesche asserragliate sulla rocca inespugnabile. Un lungo assedio, che costerà un grave tributo di sangue per i due schieramenti. Dopo i bombardamenti, la cittadina normanna sarà ridotta a un cumulo di macerie. Uno scenario di devastazione che segnerà in maniera indelebile Capa, chiamato ad interrogarsi sul senso stesso del suo lavoro. La stessa piazza che ospiterà il museo compare in numerosi scatti del celebre fotografo. Lo stesso luogo dove, riverso sui detriti, fiaccato dal lungo assedio, farà da sfondo ad un incontro fondante. L’avventura siciliana di Capa rischiava di finire sul nascere. Aveva appreso di aver perso l’accredito giornalistico perché la rivista Collier’s lo aveva licenziato. A salvarlo furono le parole del generale Teddy Roosevelt jr, figlio del ventiseiesimo presidente degli Stati Uniti. Dall’ufficiale si sentì apostrofare con cipiglio: “Capa, al quartier generale di divisione c’è un messaggio per te. Sei stato assunto da Life”. Proprio sulla copertina di Life finirà un’altra immagine catturata nella piazza Conte Ruggero di Troina. Una foto in bianco e nero che vede ritratto un giovane uomo siciliano, i capelli impomatati, una sigaretta che pende dalle labbra. Sorregge una bambina ferita nel corso dei bombardamenti. I ricordi di questi episodi saranno consegnati alle pagine del diario di Capa “Slightly Out Of Focus” (Leggermente fuori fuoco).

Endre Friedmann era nato a Budapest nel 1913. I genitori di origine ebraica erano proprietari di una casa di moda. Il giovane ungherese fu ben presto esiliato perché aveva partecipato a manifestazioni di dissenso contro il regime repressivo ungherese. Nel 1931 riparò a Berlino e si iscrisse alla Deutsche Hochschule für Politik per studiare giornalismo. Per pagare la retta della scuola fece l’assistente di camera oscura presso la Dephot (Deutscher Photodienst), un’agenzia fotografica berlinese. Ma quella del giovane fotografo sarà una vita randagia vagando dalla Danimarca a Vienna, fino all’approdo a Parigi nel 1933. Nella capitale francese intrecciò rapporti con grandi fotografi come André Kertész e Henri Cartier-Bresson. Ma l’incontro destinato a cambiargli la vita fu quello di una donna, Gerta Pohorylle, meglio conosciuta come Gerda Taro. Sarà lei, nel 1936, a scegliere il nome d’arte Robert Capa. Decisero di fotografare la guerra civile che stava dilaniando la Spagna franchista. Lei morirà travolta da un carro armato, dopo la battaglia di Brunete, nei pressi di Madrid. Nel 1947 fonda la “Magnum Photo” con Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodgere e William Vandivert.

Le foto di Robert Capa posseggono una caratteristica peculiare, una cifra stilistica unica. Non si tratta di mere rappresentazioni. Si sprigiona da quell’insieme di punti in bianco e nero, un mistero che trasforma quegli scatti in immagini iconiche, segnando un periodo storico. Un fenomeno che Roland Barthes, nel suo “Camera chiara”, definisce come punctum fotografico. Una sorta di significato aggiuntivo che va oltre il proposito dell’autore. Qualcosa di inesplicitabile, inesplorabile, non verbalizzabile. Capa diventa, lui stesso, opera originale con la sua vita avventurosa, le amicizie con i protagonisti del secolo da Hemingway a Picasso, gli amori da rotocalco come Ingrid Bergman, i reportage, come il suo primo scoop datato 1937 a Copenaghen. Una seduta fotografica nel corso della quale realizza i suoi celebri ritratti di Lev Trotsky. Ci sono immagini, come quelle fuori fuoco della spiaggia di Omaha, segnate dai tracciati delle mitragliatrici, che hanno fatto scuola anche nella storia del cinema contemporaneo.

Anche l’arrivo di Capa in Sicilia sembra scivolato dalla sceneggiatura di un film. Da giorni, era di stanza in una base tunisina della 82ema divisione aviotrasportata dei paracadutisti statunitensi. Un ufficiale lo condusse al cospetto del generale Mattehew Bunker Ridgway, uno dei comandanti dell’operazione Husky. Colloquio nel corso del quale apprese che sarebbe stato paracadutato in Sicilia il giorno prima dello sbarco del 9 luglio 1943. Qualche ora dopo, si ritrovò a penzolare dai rami di un albero, immerso nell’oscurità di un bosco siciliano. L’indomani mattina, tre militari americani, lo condussero al sicuro. Trovò rifugio in una masseria di contadini dell’entroterra. Rimase nascosto per tre giorni, fino a quando non giunsero in suo soccorso le avanguardie della Prima divisione. Il fotografo ungherese, compie in Sicilia un lungo viaggio guadagnando le sommità di cocuzzoli giallastri. Un paesaggio inedito, popolato da qualche ciuffo di cicerchia. Avanza lungo trazzere polverose bordate di agavi e fichi d’india. Uno scenario che aveva visto nei secoli il susseguirsi, placido e indolente, di conquistatori, invasori e ineffabili liberatori. Quando giunse al cospetto di Troina era una mattinata di luglio con un sole che folgorava. Intorno, campi di stoppie e piane gerbide. Sferragliare di cingoli che rintronano nella valle. Il carro armato lascia una coda di fumo e comincia a vomitare proiettili sulla rocca dove sono asserragliati i nazisti. Solo al giungere del 6 agosto del 1943, quel luogo eccentrico diventerà baricentrico. Per quasi una settimana aveva bloccato l’avanzata delle truppe Alleate. Quella montagna bruna aveva loro impedito di scapicollare nella pianura dell’Etna. Peculiarità che aveva condotto i normanni a scegliere quel luogo nel secolo Undicesimo. Scelsero Troina come sede del loro primo governo in Sicilia. Le truppe tedesche della Quindicesima divisione Panzergrenadier e il Primo Battaglione del Quinto Reggimento Aosta bloccarono l’avanzata dal 31 luglio al 5 agosto 1943. L’immagine simbolo di questo assedio, rimane quella del vecchio e lacero contadino siciliano. Scena mirabilmente raccontata dallo scrittore Vincenzo Consolo nel suo libro “Le pietre di Pantalica”: «Un uomo che s’alzava da terra appena d’una spanna, scavuzzo senza età, terragno monachino, in braghe e gilet di logoro velluto, calzari di tela e pelle di montone, fazzoletto in testa annodato a mo’di copricapo. Accanto a lui, accovacciato, il culo sui talloni, le braccia sulle cosce, la fede al dito e braccialetto d’oro al polso, uno spilungone di soldato americano, un levigato e bello Gary Cooper, biondo, sano, sorridente. Il contadino, una mano sulla spalla del soldato, con l’altra, con cui teneva il lungo suo bastone, gl’indicava qualcosa in lontananza, una strada, un paese, forse il miraggio d’un pozzo o d’una fonte. Dietro a loro, la campagna arida, svampante, s’impennava in montarozzi di gessi e silicati». Anche questa foto di Capa è ammantata da leggenda. Su quel contadino, sulla sua fine, si sono sprecati fiumi di inchiostro. Il suo nome era Francesco Coltiletti. La foto fu scattata in Contrada Ponte Capostrà, nelle campagne tra Sperlinga e Troina. Non fu fucilato dai tedeschi, come si è a lungo pensato, ma morì nel 1950 all’età di 64 anni. In realtà, era un pastore che stava conducendo le sue capre all’abbeveratoio. Fornì indicazioni agli americani che si apprestavano a cingere d’assedio Troina, poco prima della battaglia che vide contrapporsi gli Alleati ai tedeschi. Uno scontro cruento, concluso dopo sei giorni di sanguinosi combattimenti.

«Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino». Era questo il motto di Robert Capa. Gli costerà la vita avvicinarsi troppo. Era il 25 maggio del 1954, aveva da poco compiuto quaranta anni, il suo ultimo click fu quello della spoletta di una mina a Tay Ninh, in Indocina.

Concetto Prestifilippo



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