A Taormina l'ultima lezione di Amos Oz: in politica mai votare alla leggera
Non usava il computer e sulla sua scrivania aveva sempre due penne Amos Oz, lo scrittore israeliano morto oggi a 79 anni: una era quella politica che adoperava quando si «arrabbiava, ma tanto e davvero», l’altra quella del narratore che stava usando per scrivere il suo nuovo, atteso, romanzo. Ma di un libro si parla quando è finito, perché "mentre si scrive è come essere nella condizione di una donna incinta e una donna in attesa di partorire non dovrebbe mai essere sottoposta ai raggi X», raccontava lo scrittore lo scorso giugno a Taormina per il Taobuk Festival, che lo ha premiato con il Taobuk Award for Literary Excellence insieme a Elizabeth Strout.
Su quel palco, in una delle sue ultime apparizioni nel nostro
Paese, Oz aveva tenuto la sua lectio magistralis, confermando il
suo sguardo acceso sul presente, la sua visione di intellettuale
sempre in prima linea nella lotta contro le ingiustizie e i
conflitti. E aveva puntato il dito sulla politica, diventata, a
suo giudizio, «una seconda industria dell’entertainment, del
divertimento. E, mi dispiace dirlo, anche molti media non fanno
altro che fare del divertimento». Si vota, ragionava lo
scrittore, con l’idea «che sia una cosa leggera. Il voto, sotto
certi punti di vista, è diventato una barzelletta. Ma, bisogna
ricordare, e io non sono un leninista, quello che disse
chiaramente Lenin: la politica è destinata a perdere se non le
daremo la giusta importanza. La politica si è spettacolarizzata
e questo ha portato a un disastro enorme che diventerà ancora
più colossale se non riusciremo a rivalutare in modo pervicace
tutti i veri elementi della democrazia».
Cittadino appassionato, l’autore di Una storia d’amore e di
tenebra, di Giuda e di Cari Fanatici (l'ultimo libro uscito in
Italia per Feltrinelli) era arrivato anzi ad ipotizzare la
necessità di un esame da far sostenere ai cittadini «prima di
votare». Intanto, diceva, le conseguenze di questa deriva della
politica si vedono chiaramente: «Quello che mi colpisce
tantissimo dei profughi attualmente in Europa, è la loro
sofferenza e la mancanza di speranza. Credo che l’unico modo per
risolvere il problema sia quello di affrontarlo a casa loro. Se
si fosse fatto qualcosa in passato per risolvere i problemi del
terzo mondo non ci troveremo in questa situazione ora».
Anche quello che sta succedendo in America, sosteneva, non
lascia grandi speranze: «Non dovrebbe mai esserci una situazione
in cui i figli vengono divisi dai genitori. L’ultima volta che
vennero separati i figli dai genitori fu nell’epoca nazista».
Per risolvere il problema dell’immigrazione clandestina,
suggeriva, Trump dovrebbe piuttosto «cercare di trovare una
riconciliazione, di lavorare per raggiungere un equilibrio tra i
paesi ricchi e quelli meno ricchi. Non ci sono alternative».
Quanto alla pace, spiegava, ce n'è di due tipi: «quella che si
raggiunge quando si muore, e la pace pragmatica, quella che mi
auguro ci possa essere tra Israele e la Palestina».
Lo Stato palestinese e lo Stato israeliano, questa l’opinione
sostenuta da Oz, «dovrebbero, se non andare totalmente
d’accordo, almeno convivere. Quella tra Israele e la Palestina è
una vera e propria tragedia, una lotta tra due parti che
sostengono entrambe di avere ragione e spesso hanno entrambe
torto». E le tragedie si possono risolvere in due modi:
"shakespeariano, con il palco costellato di cadaveri e dove
magari c'è anche la possibilità di fare prevalere la giustizia.
Oppure in modo cechoviano, con molta infelicità e delusione,
però lasciando tutti gli attori vivi. Bisogna capire che cosa
significa un lieto fine, se scegliere la tragedia oppure no».
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