A Taormina l'ultima lezione di Amos Oz: in politica mai votare alla leggera

Cultura | 28 dicembre 2018
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Non usava il computer e sulla sua scrivania aveva sempre due penne Amos Oz, lo scrittore israeliano morto oggi a 79 anni: una era quella politica che adoperava quando si «arrabbiava, ma tanto e davvero», l’altra quella del narratore che stava usando per scrivere il suo nuovo, atteso, romanzo. Ma di un libro si parla quando è finito, perché "mentre si scrive è come essere nella condizione di una donna incinta e una donna in attesa di partorire non dovrebbe mai essere sottoposta ai raggi X», raccontava lo scrittore lo scorso giugno a Taormina per il Taobuk Festival, che lo ha premiato con il Taobuk Award for Literary Excellence insieme a Elizabeth Strout.

Su quel palco, in una delle sue ultime apparizioni nel nostro

Paese, Oz aveva tenuto la sua lectio magistralis, confermando il

suo sguardo acceso sul presente, la sua visione di intellettuale

sempre in prima linea nella lotta contro le ingiustizie e i

conflitti. E aveva puntato il dito sulla politica, diventata, a

suo giudizio, «una seconda industria dell’entertainment, del

divertimento. E, mi dispiace dirlo, anche molti media non fanno

altro che fare del divertimento». Si vota, ragionava lo

scrittore, con l’idea «che sia una cosa leggera. Il voto, sotto

certi punti di vista, è diventato una barzelletta. Ma, bisogna

ricordare, e io non sono un leninista, quello che disse

chiaramente Lenin: la politica è destinata a perdere se non le

daremo la giusta importanza. La politica si è spettacolarizzata

e questo ha portato a un disastro enorme che diventerà ancora

più colossale se non riusciremo a rivalutare in modo pervicace

tutti i veri elementi della democrazia».

Cittadino appassionato, l’autore di Una storia d’amore e di

tenebra, di Giuda e di Cari Fanatici (l'ultimo libro uscito in

Italia per Feltrinelli) era arrivato anzi ad ipotizzare la

necessità di un esame da far sostenere ai cittadini «prima di

votare». Intanto, diceva, le conseguenze di questa deriva della

politica si vedono chiaramente: «Quello che mi colpisce

tantissimo dei profughi attualmente in Europa, è la loro

sofferenza e la mancanza di speranza. Credo che l’unico modo per

risolvere il problema sia quello di affrontarlo a casa loro. Se

si fosse fatto qualcosa in passato per risolvere i problemi del

terzo mondo non ci troveremo in questa situazione ora».

Anche quello che sta succedendo in America, sosteneva, non

lascia grandi speranze: «Non dovrebbe mai esserci una situazione

in cui i figli vengono divisi dai genitori. L’ultima volta che

vennero separati i figli dai genitori fu nell’epoca nazista».

Per risolvere il problema dell’immigrazione clandestina,

suggeriva, Trump dovrebbe piuttosto «cercare di trovare una

riconciliazione, di lavorare per raggiungere un equilibrio tra i

paesi ricchi e quelli meno ricchi. Non ci sono alternative».

Quanto alla pace, spiegava, ce n'è di due tipi: «quella che si

raggiunge quando si muore, e la pace pragmatica, quella che mi

auguro ci possa essere tra Israele e la Palestina».

Lo Stato palestinese e lo Stato israeliano, questa l’opinione

sostenuta da Oz, «dovrebbero, se non andare totalmente

d’accordo, almeno convivere. Quella tra Israele e la Palestina è

una vera e propria tragedia, una lotta tra due parti che

sostengono entrambe di avere ragione e spesso hanno entrambe

torto». E le tragedie si possono risolvere in due modi:

"shakespeariano, con il palco costellato di cadaveri e dove

magari c'è anche la possibilità di fare prevalere la giustizia.

Oppure in modo cechoviano, con molta infelicità e delusione,

però lasciando tutti gli attori vivi. Bisogna capire che cosa

significa un lieto fine, se scegliere la tragedia oppure no».



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