A margine de Il nome di Marina.

Cultura | 3 giugno 2021
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Nel romanzo di Roselina Salemi, Il nome di Marina, la densità semantica si coniuga con l’effetto acuminato della lingua, dando compiutamente corpo al realismo d’immagine, esecrato, al suo nascere, da quel genio della narrativa, aborrito ideologo, Louis-Ferdinand Céline.

Eppure, dalla sfuriata datata del francese, rivolta ai romanzieri suoi contemporanei si sorprende sul nascere il raccontare per fotogrammi, tipico dei facitori di soggetti cinematografici e televisivi.
Benché l’anatema di Céline avesse solide basi narratologiche nel distinguere la scrittura del romanzo dalle sceneggiature, la distanza, e la conseguente ibridazione tra il testo narrativo e il margine di confine con l’espressione della figurazione, si è accorciata sempre più. Naturalmente, e nella maggior parte dei casi, a scapito della qualità letteraria del manoscritto.

Quantunque il primo sorgere della tendenza non si possa cogliere d’acchito, tra gli adepti si annoverano mostri sacri, almeno per successo di vendite, come Andrea Camilleri, Roberto Saviano, se non, addirittura, Svjatiana Aleksievič, giornalista russa, premio Nobel per la letteratura nel 2015.

Se, poi, qualcuno si adoperasse a distinguere le vendite del libro o e-book che sia, dalla fruizione del format televisivo o cinematografico, sarebbe arduo o agevole, la si metta come si vuole, comprendere quanto la trasmissione sul grande o piccolo schermo abbia spinto il cartaceo verso il successo.

Nella premessa sta il merito maggiore della Salemi. Consapevole della trasformazione in corso, con torti e ragioni divisi tra i sostenitori dell’una fazione contro l’altra, invece di schierarsi ha assecondato il proprio istinto di scrittura.

E, lasciandosi scivolare alle spalle, le peggiori manifestazioni tendenti a lisciare il pelo alla moda, in epoca di palese innovazione dei canoni letterari, la prima pubblicazione de Il nome di Marina è del 2005, verisimilmente il suo processo di concepimento avviene indietro di un anno, imbocca la strada principale, in luogo della scorciatoia, imprimendo al testo, attraverso un ricco e variegato ricorso alle figure retoriche, calibrate con consapevolezza, una lucidità tagliente alla lingua, mentre il contenuto ha il respiro lungo e potente di un cetaceo in immersione. Dunque, in grado di guardare sopra la superficie delle cose come sotto.

Di questo modello, intendo l’affilatezza del significante unita alla polivalenza del significato, non vi è traccia corposa nella nostra tradizione. A seguire un percorso simile a quello della Salemi, ha provato già negli anni Venti e Trenta del Novecento, uno dei più versatili giornalisti, anche lui frequentatore di questa zona franca tra romanzo, elzeviro e pezzi di costume, cioè l’italo-argentino, Roberto Arlt con risultati di valore, ricorrendo al lunfardo, linguaggio della malavita locale come all’argot, dialetto in uso a Buenos Aires, nel palese tentativo di disincrostare le gromme accumulate sul fondo paludato del secolo precedente. Sebbene, nel caso dell’editorialista de El Mundo, l’ironia e il ricorso al grottesco sia l’approccio strutturale dei suoi romanzi, Il giocattolo rabbioso, I sette pazzi, I lanciafiamme per citare solamente quelli tradotti in italiano, si coglie immediatamente la tensione a innescare il processo di trasformazione del linguaggio letterario della tradizione, sia pure spagnolo. Identica cura ravvisata nell’elaborazione della scrittrice di origini siciliane.

Tra i meriti della Salemi il ricorso al narratore immerso, ovvero la voce narrante, simbolo dell’intera cultura, quella isolana votata alla perdita dell’innocenza attraverso la vicenda dell’insediamento dell’industria chimica a Marina di Melilli. Con la discesa agli inferi del protagonista, Salvatore Gurreri, la metafora dissolvente dei miti delle sirene, a popolare il mare intriso del sapore di sale e dei profumi della zagara, dell’approdo di Ulisse nell’isola giunge al dissolvimento tra odori, colori, vapori cancellati dal cinismo dalla ferocia dall’insipienza di un presunto progresso corrivo di continui regressi.

Della riuscita di un simile esperimento, impossibile catalogarlo diversamente, effettuato nel crinale meno battuto della coincidenza tra parola e intreccio, evitando le dissonanze tipiche delle cadute di ritmo, degli sventramenti della sintassi, producendo continue sinestesie a intridere il lettore di sensazioni cromatiche, di stimolazioni acustiche, di riproduzione di odori, va dato atto alla scrittrice.

E, benché la consapevolezza del prodotto finale raramente tocchi la coscienza dell’autore, il proseguire su di un simile percorso consentirebbe a noi lettori di assaporare, termine usato in congrua coincidenza con il testo, e alla Salemi di regalarci sensazioni e ragguagli della decadenza toccata in sorte alla Sicilia e all’Italia tutta.

Viagrande, 2 giugno 2021

 di Angelo Mattone

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