A cosa servono i test di ammissione nelle facoltà universitarie

Cultura | 24 agosto 2020
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Sono un nemico dichiarato del numero chiuso e dei test di ammissione alle facoltà universitarie. Perché la tassa da sostenere è l’ennesimo balzello da pagare ad uno Stato che ormai tassa anche il nostro respiro. Perché dietro ai test c’è un giro - sempre gravante sui bilanci familiari, più che mai malridotti in questo martoriato 2020 - di migliaia di euro a studente per prepararsi ad affrontarli. Perché in Italia - dove la percentuale di laureati sulla popolazione è più o meno la stessa della Bulgaria e della Romania - abbiamo un disperato bisogno di incoraggiare la frequenza universitaria. E non di scoraggiarla.

Ma la mia contrarietà guarda in particolare alla “vocazione” della aspirante matricola. Io vorrei fare il medico ma non ho saputo rispondere correttamente alle domande sulla Tari, sullo spread, sul Recovery Fund (chissà se in questo 2020 virato ne inseriranno qualcuna) dei test per l’ammissione a medicina. Così ripiego, se mi è andata meglio, sull’iscrizione al primo anno di Farmacia o Scienze Biologiche. In genere si prova contemporaneamente in due-tre facoltà. Ritenterò l’anno prossimo. Dove sta scritto che può essere intercambiabile studiare per diventare medico o farmacista o biologo?

Ho conosciuto ragazzi che dalla vocazione a volere fare il medico si sono ritrovati a studiare Ingegneria e giovani intenzionati a laurearsi in Ingegneria che si sono rassegnati a laurearsi in Legge. Causa mancato superamento dei test di accesso. E’ tutto così indifferentemente intercambiabile ed esistono gli “studenti per tutte le facoltà” come gli “uomini per tutte le stagioni” (escluse ovviamente Matematica, Fisica e Chimica che nessuno bazzica perché troppo difficili)? A proposito di queste tre ultime facoltà, indigeste ma indispensabili: per renderle più appetibili sarebbe opportuno prendere in considerazione l’ipotesi di azzerare l’annuale tassa di iscrizione. Chissà che le poche decine di studenti iscritti in ogni ateneo non diventino centinaia. E’ una proposta.

Comunque, tornando alla intercambiabilità ed agli studenti per tutte le facoltà e pronti a saltare da una facoltà all’altra, mi rifiuto di credere a questa “tuttologia” universitaria. Chissà di quanti motivati e promettenti chirurghi ci siamo privati costringendoli ad essere pessimi e demotivati avvocati o generalgenerici laureati in Scienze Politiche o Scienze della Comunicazione a causa di quei test su spread e Ici o su altri argomenti che nulla hanno a che vedere con la professione medica. Beninteso, nulla contro i laureati in Scienze Politiche o Scienze della Comunicazione. Chi firma questo articolo è laureato in Scienze Politiche. Ma non per ripiego allora, nei lontani anni ’70, bensì per scelta “vocazionale” maturata sui banchi del liceo. Non per ripiego perché avevo ipotizzato altre facoltà e altre strade ma poi ero stato bocciato ai test di ammissione universitaria. Allora, giustamente, inesistenti.

O magari pensavi di frequentare Lettere e ti ritrovi iscritto in Psicologia solo perché ti è andata meglio nei test per quella facoltà?

La selezione nelle università facciamola seria e dura ma lasciamola fare allo studio delle materie curriculari ed al superamento dei conseguenti esami. E’ questione troppo importante - per il futuro dei nostri giovani, per la qualità delle professioni sempre più tecnologizzate del presente e del futuro, per il mercato del lavoro nel nostro paese - per affidare la selezione alla corsa contro il tempo di un’ora o giù di lì. A segnare con una “x” risposte a domande spesso scriteriate e fuori tema che meriterebbero solo uno sputo in un occhio per chi se le è inventate. Per intenderci, a proposito di un meritato sputo in un occhio, come nella famosa scena alla Totò di “Totò a colori”.

 di Pino Scorciapino

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