A chi interessa la Sicilia hub del Mediterraneo
E' possibile liberarsi delle quotidiane interviste dei candidati alla presidenza della Regione che cominciano a moltiplicarsi- le une e gli altri? O dalle discussioni sull'eterno ponte di Messina -ora intitolato a Ulisse ma domani in considerazione del rinnovato afflato bipartisan perché non alla vera vittima di quel mezzo mariuolo levantino, Polifemo che, anche dopo accecato dell'unico occhio , vedeva meglio della stragrande maggioranza dell'attuale ceto politico regionale?- Domande angustianti dalle quali ho trovato temporaneo ma intenso sollievo dedicandomi alla lettura del numero dello scorso marzo di Limes dedicato alla Sicilia, passato pressoché inosservato nel dibattito tra gli opinion makers di Trinacria in altre faccende affaccendati. “Se solo la Sicilia fosse italiana” recita il titolo di uno dei saggi: provocazione che già da sola rende interessante la lettura.
La tesi di fondo dell'editoriale, sostenuta con accenti variabili nei singoli articoli, è che la più grande isola del Mediterraneo, collocata esattamente al centro di un grande specchio d'acqua che, per la prima volta dopo la scoperta dell'America, è tornato ad esser la principale rotta di collegamento tra l'Indo-Pacifico e l'Atlantico è la chiave del destino dell'Italia. Si tratta di 2319 miglia marine che collegano Gibilterra e Suez, da cui transita il 40% del commercio marittimo mondiale e le cui coste vivono un serie di tensioni politiche, economiche e sociali che le rendono instabili. A partire dalla novità conseguente alla sciagurata iniziativa franco-statunitense del 2011 per liberarsi di Gheddafi che ha determinato il ritorno sulla costa nord africana degli interessi militari russi, anche se mascherati da contractors privati della compagnia Wagner e della Turchia neo-imperiale di Erdogan.
Presenze tutt'altro che estranee sia alla nuova ondata di migrazioni (si ricordi che l'Unione Europea paga al dittatore di Ankara un esoso obolo per controllare la rotta migratoria via terra dall'Asia minore) sia alla rinnovata tensione libica sulla flotta peschereccia di Mazara del Vallo.
Tornando alla rivista, se par fuori luogo l'occhiolino alla tesi- smentita dai più accreditati studi storiografici -dell'accordo tra Alleati e mafia per l'invasione della Sicilia, risulta assai interessante la riflessione sulle servitù militari che hanno condizionato lo sviluppo dell'isola nel dopoguerra a partire dalla costruzione nel 1957 della base aeronavale di Sigonella, al MUOS a Niscemi, fino all'attuale schieramento nella piana di Catania di una delle cinque basi al mondo di Global Hawk, droni avanzati capaci di volare ad altissima quota per oltre 16.000 chilometri. Dalla fine della guerra fredda e dopo lo smantellamento della base missilistica di Comiso la Sicilia è l'hub delle comunicazioni e dell'intelligence USA verso il Medio Oriente e l'Asia meridionale, costituendo un'infrastruttura essenziale della cosiddetta guerra digitale. Ciò anche a dimostrazione di quanto avesse colpito nel segno la grande mobilitazione guidata da Pio La Torre e dalle forze progressiste siciliane contro l'installazione a Comiso dei 112 missili Cruise nel vecchio aeroporto ragusano e che segnò il momento più alto della mobilitazione pacifista negli anni finali della guerra fredda.
L'isola è tuttavia anche terreno di competizione nel confronto tra gli USA e la Cina (ricordate la visita a Palermo di XI JinPing?): il tentativo cinese di costruire un aeroporto intercontinentale a Centuripe, tra Enna e Catania, a ridosso della base di Sigonella e del secondo porto militare italiano-Augusta- fu non a caso contrastato dalla proposta di un tycoon indiano di realizzare un hub aeroportuale tra Milazzo e Barcellona. Chi ha un po' di memoria di cose siciliane non faticherà a ricordare che la costruzione di un aeroporto intercontinentale sotto Enna fu uno dei leit motiv di Nello Musumeci presidente della provincia di Catania ma anche dei post comunisti ennesi. Basta, poi, leggere la delibera di Giunta regionale numero 550 del novembre 2020 , pomposamente definita Piano di Ricostruzione e Resilienza della Sicilia- per scoprire che una delle richieste principali della Regione al governo nazionale dell'epoca era proprio la costruzione dell'hub aeroportuale a Barcellona Pozzo di Gotto. Casuali coincidenze, o la persistenza di occulte pressioni che il ceto politico di governo appare sempre pronto a cogliere?
Per Limes il cuore della questione è il controllo dello Stretto di Sicilia, cioè l'imbuto rovesciato che va dall'arcipelago maltese alla strozzatura incastonata tra Capo Bon, in Tunisia e Mazara del Vallo; un braccio di mare dalla valenza strategica decisiva che oggi rischia di diventare teatro di competizione permanente tra potenze ben più grandi dell'Italia La guerra di Sarkozy contro Gheddafi aveva per obiettivo il controllo di quel tratto di mare oltre che il sostegno alla Total, la compagnia energetica statale d'Oltralpe in concorrenza con l'ENI per le risorse energetiche libiche. L'Italia di Berlusconi si fece coinvolgere e mise a disposizione le sue forze armate, a partire dall'aeroporto di Trapani Birgi, probabilmente contro i suoi stessi interessi. In Sicilia inoltre esiste il più rande nodo di Internet a Palermo ed a Catania che regola il traffico dei dati sui sedici cavi intercontinentali che collegano l'Europa con il resto del mondo. Un hub gestito da una società italiana che fa parte del gruppo Telecom, la Sparkle.
La domanda: dobbiamo ancora subire i vincoli derivanti dalle alleanze internazionali che limitano lo sviluppo del territorio? Oppure è possibile immaginare un percorso virtuoso che consenta alla Sicilia di utilizzare la sua posizione centrale nel Mediterraneo a vantaggio del proprio sviluppo sostenibile? Uno dei nodi strategici è la questione energetica: in Sicilia approdano il gasdotto TTPC (Trans Tunisian Pipeline Company) che trasporta in Italia il gas algerino ed emerge a Mazara del Vallo dove ha inizio il sistema di trasporto di Snam rete gas, Gela è il punto di arrivo del gasdotto sottomarino Greanstream dalla Libia; l'isola si candida come hub industriale per l'idrogeno; esiste un grande spazio di crescita per le rinnovabili in particolare il fotovoltaico di ultima generazione. C'è poi, nell'area catanese, la possibilità che il PNRR finanzi la produzione di semiconduttori che il salto tecnologico determinato dalla pandemia rendono sempre più essenziali per l'intero sistema produttivo. Infine la grande questione della portualità e della logistica siciliane che significa la valorizzazione del sistema portuale occidentale ma anche la scelta di Augusta come nodo centrale. Non a caso va dritto al punto Calogero Mannino che fu ministro della Marina mercantile: “Ad Augusta si erano già interessati gli israeliani nei primi anni Duemila, perché quello scalo ha il potenziale geofisico per diventare perno della rete portuale nello Stretto di Sicilia e nel basso Mediterraneo, di cui è il massimo porto naturale con fondali profondi. Se l’Italia recuperasse una sua visione geopolitica, in Sicilia dovrebbe puntare su Augusta come grande hub portuale e sulla collana dei citati porti e terminali, da valorizzare con le infrastrutture ferroviarie necessarie a incrementare il traffico delle merci lungo la Penisola e verso l’Europa centro-settentrionale.” Gli altri si occupano di noi:; ed è bene avvenga. Vogliamo occuparcene anche noi, o è più comodo sentirsi eternamente colonia?
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