A Calabria e Sicilia il primato dei comuni sciolti per mafia

Politica | 9 luglio 2019
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Su 328 decreti di scioglimento per fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso dal 1991 ad oggi, sono 249 le amministrazioni locali sciolte in Italia. Negli ultimi 28 anni, cioè dall’anno in cui è entrata in vigore la legge, oggetto di numerose modifiche nel corso del tempo e, oggi, disciplinata dal Tuel (artt. 143-146 del decreto legislativo n. 267 del 2000), i provvedimenti decisi dal governo e annullati dai giudici amministrativi sono 26. Mentre 62 sono le amministrazioni colpite più volte negli anni, di cui 45 hanno subito due scioglimenti, mentre 17 ben tre (tra queste ultime ci sono Casal di Principe (1991, 1996, 2012), Gioia Tauro (1993, 2008, 2017), Platì (2006, 2012, 2018), Taurianova (1991, 2009, 2013)). E attualmente sono 40 gli enti sottoposti a gestione commissariale, distribuiti tra Calabria (22), Sicilia (9), Puglia (5) e Campania (4). Questi sono alcuni dei dati del Rapporto di Avviso Pubblico “Lo scioglimento dei Comuni per mafia. Analisi e proposte”, a cura di Simona Melorio, ricercatrice dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, pubblicato in collaborazione con Altreconomia.

Secondo il Report della rete degli enti locali impegnati nella promozione della cultura della legalità democratica, il primato va alla Calabria, i cui comuni sono stati sciolti per mafia ben 115 volte, seguita da Campania (108) e Sicilia (79). La Puglia è la regione del Sud con meno provvedimenti (15), mentre nel resto del territorio nazionale  i casi sono sporadici come ad, esempio, in Piemonte, Liguria e Lombardia. A livello provinciale predomina Reggio Calabria, con 66 scioglimenti, seguita da Napoli con 59. Le due città si sono scambiate, negli ultimi anni, questo triste primato che, a lungo, è stato detenuto dal capoluogo campano. Seguono poi le province di Caserta (36) e Palermo (33).

Sebbene la legge fu pensata soprattutto per gli enti di dimensione medio-piccola (0-9.999 abitanti) e medio-grande (10.000-oltre 50.000 abitanti) perché più facilmente condizionabili, Avviso Pubblico evidenzia che i comuni colpiti almeno una volta da un provvedimento di scioglimento sono soprattutto quelli più grandi (13,5% i comuni tra 20.000-49.999 abitanti e 13,1% quelli con oltre 50.000 abitanti). La normativa persegue i collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso degli amministratori locali e le “forme di condizionamento degli stessi”, ossia anche quando non c’è volontà di questi ultimi di assecondare le richieste dei gruppi criminali. In realtà, però, il rapporto è sempre di reciproco vantaggio, tant’ è che i “diversi decreti di scioglimento segnalano la sussistenza in loco di preesistenti comitati d’affari che disciplinano accordi di cartello e altre relazioni di scambio occulto, comprendenti soggetti interni all’amministrazione comunale”- evidenzia Alberto Vannucci, studioso dei fenomeni corruttivi in ambito politico-amministrativo. I mafiosi, quindi, “si inseriscono in un tessuto già consolidato di relazioni illecite” in cui, come mostrano alcuni casi, la spesa pubblica viene programmata a beneficio degli amici e, spesso, i tributi locali non vengono riscossi. Ciò spiega anche perché nel 2017 “il 9,5 per cento dei Comuni sciolti versava in condizioni di deficit finanziario”, contro uno 0,9% della media nazionale.

Il Rapporto non manca di sottolineare i punti critici della legge, in primis il carattere di discrezionalità della decisione di sciogliere o meno un ente locale, considerato che “per giungere allo scioglimento … è sufficiente che emerga una possibile soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata, anche a prescindere dalla volontà dei primi di assecondare le richieste della seconda”. A ciò si aggiunga che sciogliere un’amministrazione comunale è una decisione di un certa importanza, che potrebbe essere sostituita con l’“affiancamento” dello Stato nei casi meno gravi. Altro limite della normativa in vigore è che non intacca l’apparato burocratico anche quando sono alcuni impiegati ad essere in contatto con i mafiosi. Da non dimenticare, inoltre, che la legge non può impedire che, dopo il commissariamento, vengano rieletti amministratori “in continuità” con quelli che sono stati  destinatari dei provvedimenti di scioglimento – ossia gli stessi o i loro amici. I casi di scioglimenti multipli testimoniano come questo meccanismo non è così raro. 

 di Alida Federico

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