2022: il Pil mondiale raggiunge i 100.000 miliardi di dollari. E 1.000 miliardi sono …“spariti”

Economia | 15 dicembre 2022
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1.Il valore del Pil globale nel 2022

Nelle settimane conclusive del 2021 . Se il Prodotto interno lordo (Pil) è per definizione “la somma dei beni e dei servizi finali prodotti in un dato periodo”, il Pil globale equivale alla somma dei beni e dei servizi finali prodotti nel mondo, e dunque complessivamente da tutti i paesi, in un dato periodo. Il Centro studi londinese che ha sede al numero 4 di Bath Street presentava non solo dati riferiti al 2022 ma anche proiezioni ad un decennio e oltre. Così dalle sue stime emergeva che la Cina avrebbe strappato agli Stati Uniti il primato di economia leader nel mondo nel 2030 con un “ritardo” di due anni sulle stime precedenti. Avvertiva al contempo che nel 2022 il debito globale, ossia il debito contratto da tutti gli stati per fare fronte ai propri fabbisogni, avrebbe parimenti fatto un balzo in avanti raggiungendo i 226.000 miliardi di dollari. Una esposizione follemente azzardata, sbilanciata: per ogni dollaro di ricchezza prodotta due dollari e 25 centesimi circa di debiti. Siamo seduti su di un Everest di debiti.
Nelle previsioni del Centro studi economici britannico nel 2022 il Pil dell’India avrebbe superato quello della Francia, nel 2023 avrebbe sorpassato quello della Germania e nel 2031 l’India diverrebbe la terza economia del mondo dopo Cina e Stati Uniti. Tra undici anni, nel 2033, l’economia tedesca avrebbe effettuato il sorpasso su quella giapponese. Infine, ma sempre nel medio-lungo periodo, nel 2036 la Russia si piazzerebbe al decimo posto tra le economie mondiali e l’Indonesia al nono a partire dal 2034. (“Pil globale sopra 100mila miliardi nel 2022. Ma l’Italia uscirà dalla top ten” in “Il Sole 24 Ore”, 26 dicembre 2021)
A proposito di posizioni di classifica, vediamo di capire meglio – sia nel 2022 che come tendenza decennale e oltre – come si collocano i giganti dell’economia mondiale nelle previsioni del “Centre for Economics and Business Research”. Lo facciamo risalendo la classifica, come di solito si procede nelle premiazioni. Russia abbiamo visto al decimo posto a partire dal 2036, Indonesia al nono dal 2034, Brasile all’ottavo dal 2031. L’Italia avrebbe mantenuto l’ottava posizione in classifica nel 2022 ma – sentenzia il Centro studi inglese – sarebbe scivolata al tredicesimo posto nel 2036. Prospettiva non incoraggiante. L’India, al settimo posto nel 2021, come abbiamo anticipato nel 2022 supererebbe la Francia e nel 2023 la Germania. Il Regno Unito manterrebbe il quinto posto fino al 2026. La Germania, in quarta posizione nel 2021, dopo una parentesi al quinto posto nei prossimi anni sopravanzerà il Giappone nel 2033 riconquistando il quarto posto. Terza economia del Mondo il Giappone che però nel 2031 scenderebbe di una posizione, superata dall’economia dell’India, e nel 2036 retrocederebbe ancora di una posizione collocandosi al quinto posto. La Cina, seconda nel 2022, strapperebbe agli Stati Uniti il primato nel 2030. Il Pil cinese sopravanzerà quello a stelle e strisce. (“Pil globale oltre i 100.000 miliardi nel 2022: è la prima volta. Italia all’ottavo posto” in “SKyTg24”, 29 dicembre 2021)
Sembra una specie di medagliere delle Olimpiadi ma le stime economiche così come le economie sono costruite anche da questo genere di statistiche, proiezioni, posizionamenti.

2.Le ragioni del previsto raggiungimento del traguardo dei 100.000 miliardi di dollari

Un anno fa il Centro studi londinese attribuiva la crescita dell’economia mondiale agli strumenti messi in campo dai singoli paesi (e nel nostro caso anche dall’Unione Europea) per fronteggiare chiusure ed effetti socio-economici della pandemia. Le risorse finanziarie poste sul piatto della bilancia avrebbero messo in moto una ripresa che però a sua volta avrebbe innescato una crescita dell’inflazione a livello globale. E che crescita dell’inflazione! Viste le percentuali ormai abbondantemente a doppia cifra. Rincari causati da strozzature e ritardi nelle consegne nelle catene di approvvigionamento. In particolare nell’industria ma anche in altri settori, ad esempio in campo agricolo per i fertilizzanti e, in generale, per l’aumento dei costi di produzione e trasporto. Si prevedeva di conseguenza una recessione per il 2023 o nel 2024. I processi inflattivi avrebbero inevitabilmente spinto governi e banche centrali ad una stretta monetaria con il ritocco verso l’alto del costo del denaro usando la leva del (contenuto) rialzo dei tassi.
Ma il vero “deus ex machina” nell’impennata dei prezzi di tutti i generi e di tutte le materie sarebbe stato il costo dell’energia. Alla base dell’intera catena dei rincari. Con la complicità di speculazioni incontrollate in tutta la filiera: dalla estrazione al trasporto, alla consegna fino ad arrivare alle caldaie ed alle cucine delle nostre case o ai macchinari di produzione di beni nelle industrie o alla pompa dei distributori di carburante. Per non parlare dell’uso politico del gas che nel 2022 ha fatto registrare il suo acme con la quasi totale chiusura dei rubinetti dei gasdotti dalla Russia all’Europa.

3.Previsioni confermate anche se nel 2022 nel mondo si è abbattuto lo tsunami orchestrato da Vladimir Putin?

Sin qui le previsioni per il 2022 – in gran parte confermate – del “Centre for Economics and Business Research”. Vedremo a giorni - se e quando sarà pubblicato il nuovo rapporto di fine 2022 con le indicazioni aggiornate – quali saranno le proiezioni per il 2023 e quelle più di medio periodo proiettate nei 10-15 anni venturi con le possibili correzioni o modifiche rispetto al rapporto 2021. Perché quello che il Centro studi londinese non poteva prevedere è che il 24 febbraio 2022 uno tsunami si è abbattuto sulla Terra: la criminale aggressione all’Ucraina da parte della Russia. Impattante su economie nazionali, su inflazione, su statistiche e reazioni finanziarie. La guerra in Ucraina è stat e continua ad essere un “acceleratore di costi” formidabile. Specie nel settore energetico, arma bellica non meno letale dei carri armati, dei caccia supersonici, dei missili. Il mondo si è ulteriormente chiuso in blocchi contrapposti. Persino esportare frumento – bene alimentare fondamentale – è diventato complicatissimo tema di contrasto e trattative tra paesi belligeranti. Mentre produzioni economiche (pensiamo agli stabilimenti che producono armamenti) moltiplicano gli incassi e si riempiono d’oro, altre aziende chiudono a migliaia. Nel 2022 le società nazionali in tutti i continenti non sono diventate né più ricche né più felici.
Legittima dunque l’attesa per l’aggiornamento dei dati del Pil globale alle nuove condizioni dettate nel corso del 2022 dalla criminale e ricattatoria avventura bellica di Vladimir Putin in Ucraina. Sono – niente di più e niente di meno – le condizioni dettate da migliaia di missili e droni lanciati e da centinaia di migliaia di proiettili sparati. Accanto all’impatto distruttivo che sta riducendo un paese indipendente al buio, al freddo, alla fame, ad un immenso “martoriato” ammasso di rovine, accanto all’inaccettabile costo di vite umane – non solo militari ma civili: bambini, donne, anziani, malati negli ospedali, cittadini inermi – tutto questo delirio sanguinoso comporta come reazione a catena estesi impatti economici e finanziari nel mondo. In tutto il mondo. Anche nel più sperduto, lontanissimo angolo.

4.Il mistero dei 1.000 miliardi di dollari “spariti”

E mentre siamo in attesa degli aggiornamenti facciamo mente locale ad una, definiamola così, “appendice” a questo turbinio di miliardi. Una “appendice” più che probabile, tanto curiosa quanto inquietante. Dal bilancio mondiale sono “spariti” 1.000 miliardi di dollari. Ossia l’1 per cento dei 100.000 miliardi di cui abbiamo disquisito in queste pagine. Una bazzecola? Non proprio. Sarà pure l’1 per cento ma trattandosi di importi stratosferici si traduce in percentuali colossali. Tanto per farsi una idea, 1.000 miliardi di dollari superano il Pil 2021 dell’Arabia Saudita, che si ferma ad 833 miliardi di dollari, o della Turchia, pari ad 815 miliardi, ed è di poco inferiore al Pil 2021 dell’Indonesia (1.186 miliardi). Parliamo di tre economie importanti nel mondo, di paesi che fanno parte del G20. Cosa sta dunque succedendo in questo agitatissimo 2022 che ci accingiamo a lasciare senza alcun rimpianto? Ce lo facciamo raccontare da Maurizio Ricci (“Il mistero del trilione che manca nel bilancio globale. Dove l’hanno nascosto Russia, Arabia Saudita e Cina?” in “Repubblica”, 10 dicembre 2022):
“Chiamiamolo "il mistero del trilione mancante". Ci sono, infatti, mille miliardi di dollari svaniti nel nulla. Non sono dove dovrebbero essere o, comunque, dove erano di solito. Non che qualcuno li abbia rubati. Ma, se pensate che la statistica sia roba noiosa e polverosa, ricredetevi seguendo Brad Setser, uno dei maggiori esperti di finanza internazionale, nella caccia al trilione e alle conseguenze politiche mondiali della sua scomparsa dalle bilance dei pagamenti.
Il punto di partenza è sotto gli occhi di tutti. Gli ultimi sommovimenti dell'economia mondiale e, in particolare, il boom dei prezzi dei beni energetici hanno aperto buchi nella bilancia dei pagamenti non solo di paesi cronicamente in deficit nei conti esteri, come gli Stati Uniti, ma anche in Gran Bretagna e - novità - anche in chi, normalmente, è in condizioni di surplus, come l'Unione Europea e il Giappone. Se queste grandi economie sono in disavanzo, qualcuno deve essere in attivo. Chi è? I paesi che esportano gas e petrolio. E, in particolare, Russia, Arabia Saudita, i paesi del Golfo. Più la Cina, che importa petrolio anch'essa, ma esporta comunque di più.
Notate niente? L'area in disavanzo è quella delle grandi democrazie. L'area in attivo è quella delle grandi autocrazie, i regimi, per così dire, a-democratici. Nonostante il gran parlare di deglobalizzazione, insomma, e di progressiva frammentazione dell'economia mondiale in due aree distinte e separate, oltre che politicamente connotate diversamente, i traffici fra queste due aree sono intensi come sempre: le autocrazie, infatti, non possono commerciare solo fra loro, visto che sono tutte in attivo. E viceversa.
In realtà, era così anche prima della grande crisi finanziaria del 2008. Paesi importatori di energia in deficit, paesi produttori in attivo. Ma con una importante differenza. Ricordate i petrodollari? A quel tempo, gli attivi commerciali dei petrostati venivano riciclati nell'acquisto, in particolare, di buoni del Tesoro americani e debitamente registrati nelle riserve dei loro bilanci.
Ed è questo – continua la firma del quotidiano romano - che manca ora. Setser calcola che, quest'anno, l'Arabia Saudita dovrebbe accumulare un attivo di 200 miliardi di dollari, altrettanto gli altri paesi del Golfo, la Russia 250 miliardi di dollari e, infine, la Cina 400 miliardi. "Dovrebbero", però, perché questi dollari non sono stati reinvestiti dalle rispettive banche centrali, ad esempio, nei buoni del Tesoro americani o simili, e, dunque, registrati nelle riserve. Queste sono aumentate (per lo più proprio in titoli del Tesoro Usa) di un centinaio di miliardi di dollari, mentre gli attivi effettivi dovrebbero superare i mille miliardi. Statisticamente, questi altri soldi sono svaniti.
Nel caso russo, è inevitabile, visto il regime di sanzioni. Ma anche i paesi arabi e la Cina sembrano aver ugualmente deciso di tenerli discretamente parcheggiati all'estero. A fare che?
L'ipotesi che inquieta le diplomazie occidentali – conclude Ricci - è che non sia soprattutto alla ricerca di profitti. Una volta, i petrodollari finivano in titoli Usa o in palazzi a Londra. Ora, potrebbero servire a rinsaldare influenze politiche. A puntellare il regime di Erdogan nella Turchia sommersa da una inflazione non lontana dalla tre cifre, nel caso della Russia. A sostenere il traballante Egitto di Al Sisi, per i paesi arabi. O il Pakistan in ginocchio, per la Cina. Prestiti meno scomodi, sul piano delle condizioni finanziarie, di quelli che possono venire da un Fmi, dominato dagli occidentali. Ma che, probabilmente, nota Erik Nielsen di Unicredit, comportano condizioni politiche. La frammentazione del mondo in due aree - democrazie e autocrazie - commercialmente non esiste, ma la geopolitica sembra marciare in quella direzione”.

5.Plusvalenze impiegate per puntellare regimi amici e per influenzare la geopolitica mondiale

Riassumendo. L’impennata dei costi dell’energia si traduce in un deficit commerciale a tutto vantaggio delle autocrazie che producono ed esportano gas e petrolio. Ma si profila un fatto nuovo: si sta facendo di tutto per fare saltare quello che Vladimir Putin definisce il “Vecchio ordine mondiale”. In estrema sintesi: i ricavi non vengono reinvestiti nei redditizi buoni del Tesoro occidentali, in particolare degli Stati Uniti. Né figurano tra le riserve delle rispettive banche centrali dei principali paesi produttori ed esportatori di energia. Come in una “spy-story” (in questo caso come in una “maxi financial-spy-story”) prende corpo il sospetto che vadano a puntellare regimi amici più o meno autocratici (per la serie “Dio fa gli esseri e tra di loro si accoppiano”…) oppure vengano utilizzati per influenzare la geopolitica mondiale.
Del resto, per restare al tema “influenzare la geopolitica mondiale”, il Qatar – produttore di petrolio e soprattutto di gas (15 per cento delle riserve mondiali), ricca autocrazia del Golfo, saldamente presente nel gruppo dei paesi in attivo – nei Palazzi del Parlamento europeo a Bruxelles e a Strasburgo nello scandalo della corruzione scoppiato pochi giorni fa e destinato ad allargarsi non si è mosso con questi intenti? A quanto è dato sapere, anche i servizi segreti del Marocco sarebbero stati della partita. Impegnati anche loro come i qatarini a tutelare gli interessi del loro paese ricorrendo a pacchi di banconote di euro per corrompere infedeli europarlamentari e loro assistenti. Sono stati utilizzati denari proprio per “influenzare la geopolitica mondiale”. Nel caso dei governanti di Doha per accreditare una immagine più presentabile d’un emirato come quello qatarino. Autoritario, chiuso ai diritti umani, “machiavellico” nel perseguimento dei propri obiettivi se è vero, come è vero, che – all’insegna de “il fine giustifica i mezzi” – circa seimila lavoratori immigrati sono morti per le condizioni di lavoro proibitive pur di completare entro le scadenze gli scintillanti stadi che hanno ospitato i mondiali di calcio. Numeri di vittime da costruzione delle piramidi nell’antico Egitto di quattromila anni fa. E saremmo disposti a mettere la mano sul fuoco sulla certezza che dinamiche elargitive per “influenzare” scelte (e quindi geopolitica) non siano state usate anni fa per facilitare l’aggiudicazione al Qatar dell’organizzazione dei Mondiali di calcio 2022?
 di Pino Scorciapino

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