Trattamento inumano dei migranti a Lampedusa, la Corte europea condanna l'Italia
Società | 30 marzo 2023
La Corte europea dei diritti umani (Cedu) del Consiglio d’Europa ha condannato l’Italia per «trattamento inumano» dei migranti, privazione della libertà di questi e respingimenti illegali. Sulla base del ricorso di quattro tunisini, la Corte ha rilevato che il governo italiano ha «fallito nel respingere le prove che le condizioni nell’hotspot di Lampedusa erano inadeguate; che la presenza (dei quattro, ndr) era considerata una detenzione, ma senza che questa fosse originata da un ordine ufficiale nè che fosse un periodo limitato per chiarire la loro posizione o inviarli altrove, come richiesto dalla legge». Infine, rileva la Corte, la situazione dei migranti «non fu oggetto di una valutazione individuale prima che fossero emessi i provvedimenti di respingimento, che vanno considerati come una espulsione collettiva».
I quattro tunisini erano partiti nell’ottobre del 2017 dalla Tunisia e, in difficoltà in mare, erano stati recuperati da una nave italiana che li aveva trasferiti a Lampedusa per la registrazione, l’identificazione e un colloquio con le autorità. Vi restarono, però, dieci giorni, durante i quali non furono in grado di uscire nè di interagire con le autorità. «Le loro condizioni - spiega la Cedu - erano inumane e degradanti». Alla fine del mese, ricostruisce la sentenza, insieme ad altre 40 persone furono trasferiti nell’aeroporto dell’isola: furono dati loro dei documenti da firmare, ma i migranti non capivano cosa fossero. Solo dopo hanno compreso che erano provvedimenti di espulsione emessi dalla questura di Agrigento. Da Lampedusa i migranti furono trasferiti a Palermo e da qui in Tunisia.
L’Italia, rileva la Corte, ha violato l’articolo 3 della Convenzione dei diritti umani, che proibisce i «trattamenti inumani e degradanti», come la «mancanza di spazio e di igiene» nell’hotspot. «Le difficoltà causate dal flusso di migranti e richiedenti asilo - sottolinea la Corte - non assolvono gli Stati membri dai loro obblighi».
L’Italia ha violato, inoltre, l’articolo 5 sul Diritto alla libertà: i tunisini hanno trascorso dieci giorni nell’hotspot, circondati da sbarre, recinzioni e cancelli, e da qui non potevano uscire. La legge consente un periodo limitato di trattenimento solo affinchè i migranti possano chiarire la loro posizione e in vista di un ulteriore trasferimento. I giudici hano rilevato che «non vi era alcuna base giuridica chiara» che giustificasse la detenzione di dieci giorni dei migranti, mai informati delle ragioni legali della loro privazione della libertà.
Quanto al respingimento, la Cedu sottolinea che la condizione dei migranti andava valutata individualmente. Invece, non c'erano stati colloqui individuali, le ordinanze non contenevano informazioni sulla persona che ne era oggetto e a due dei quattro tunisini non era stata data una copia dell’ordine di respingimento. «Ai migranti era stato dato poco tempo dopo la firma - spiega la Corte - e, poichè non in grado di comprendere il contenuto degli ordini, era chiaro che non fossero stati messi in grado di ricorrere contro le decisioni delle autorità».
L’Italia dovrà risarcire i quattro tunisini con la somma di 8.500 euro ciascuno per danno non patrimoniale, e pagare 4.000 euro di spese legali.
I quattro tunisini erano partiti nell’ottobre del 2017 dalla Tunisia e, in difficoltà in mare, erano stati recuperati da una nave italiana che li aveva trasferiti a Lampedusa per la registrazione, l’identificazione e un colloquio con le autorità. Vi restarono, però, dieci giorni, durante i quali non furono in grado di uscire nè di interagire con le autorità. «Le loro condizioni - spiega la Cedu - erano inumane e degradanti». Alla fine del mese, ricostruisce la sentenza, insieme ad altre 40 persone furono trasferiti nell’aeroporto dell’isola: furono dati loro dei documenti da firmare, ma i migranti non capivano cosa fossero. Solo dopo hanno compreso che erano provvedimenti di espulsione emessi dalla questura di Agrigento. Da Lampedusa i migranti furono trasferiti a Palermo e da qui in Tunisia.
L’Italia, rileva la Corte, ha violato l’articolo 3 della Convenzione dei diritti umani, che proibisce i «trattamenti inumani e degradanti», come la «mancanza di spazio e di igiene» nell’hotspot. «Le difficoltà causate dal flusso di migranti e richiedenti asilo - sottolinea la Corte - non assolvono gli Stati membri dai loro obblighi».
L’Italia ha violato, inoltre, l’articolo 5 sul Diritto alla libertà: i tunisini hanno trascorso dieci giorni nell’hotspot, circondati da sbarre, recinzioni e cancelli, e da qui non potevano uscire. La legge consente un periodo limitato di trattenimento solo affinchè i migranti possano chiarire la loro posizione e in vista di un ulteriore trasferimento. I giudici hano rilevato che «non vi era alcuna base giuridica chiara» che giustificasse la detenzione di dieci giorni dei migranti, mai informati delle ragioni legali della loro privazione della libertà.
Quanto al respingimento, la Cedu sottolinea che la condizione dei migranti andava valutata individualmente. Invece, non c'erano stati colloqui individuali, le ordinanze non contenevano informazioni sulla persona che ne era oggetto e a due dei quattro tunisini non era stata data una copia dell’ordine di respingimento. «Ai migranti era stato dato poco tempo dopo la firma - spiega la Corte - e, poichè non in grado di comprendere il contenuto degli ordini, era chiaro che non fossero stati messi in grado di ricorrere contro le decisioni delle autorità».
L’Italia dovrà risarcire i quattro tunisini con la somma di 8.500 euro ciascuno per danno non patrimoniale, e pagare 4.000 euro di spese legali.
Ultimi articoli
- Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica - Si smantella l’antimafia
e si indebolisce lo Stato - C’era una volta l’alleanza progressista
- Vito Giacalone, un secolo
di lotte sociali e politiche - Violenza sulle donne, come fermare
l’ondata di sangue - Ovazza, l'ingegnere ebreo comunista
padre della riforma agraria - Uno studio sui movimenti
studenteschi e le università