Maria Giudice,
vita intrepida
di una maestra
nel socialismo

Società | 16 novembre 2024
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“Vedi, Modesta, tu non puoi ad ogni comizio ritornare sempre a quell'Alessandra Kollontay... La Balababnoff dici? Maria Giudice? Ma su Modesta, sono personaggi difficili, non allineati, bombe più che altro... Quando abbiamo saputo che Maria si è ammalata, sono franca con te, è stato un sollievo per tutti. È brutto dirlo, ma non creava che confusione. Non si può improvvisamente parlare di libero amore, di aborto di divorzio, bisogna andare per gradi...” (Goliarda Sapienza, “L'arte della gioia”, Torino 2008 pagg. 469/470).
Goliarda Sapienza era figlia di Maria Giudice - l'ottava - nata dalla libera unione con il socialista catanese Peppino Sapienza. I sette figli di Maria che l'avevano preceduta erano nati dalla lunga relazione sentimentale, anch'essa mai sancita dal matrimonio, con Carlo Civardi esponente anarchico, anche se iscritto al partito socialista, che diverrà nel 1915 interventista e mussoliniano e morirà per cause belliche nell'ottobre del 1917. Sono perciò tutt'altro che casuali le parole che Goliarda fa pronunciare a Joyce, l'antica amica/amante che Modesta ritrova dirigente di partito e spiegano anzi le ragioni per cui una figura di primo piano del Socialismo italiano della prima parte del XX secolo è per un lungo periodo pressocché sparita dalla memoria collettiva.
Non tutti l'avevano dimenticata, tuttavia. Ne aveva parlato Paolo Spriano citandola come segretaria generale della Camera del lavoro di Torino e poi della federazione del Psi nei giorni drammatici delle lotte per la pace del 1916 e dell'agosto1917; sulla sua opera di educatrice aveva scritto Vittorio Poma in “Una maestra tra i socialisti” nel 1991; la sua importante azione di dirigente politica e sindacale in Sicilia era stata ricordata da Jole Calapso in “Una donna intransigente. Vita di Maria Giudice” nel 1996 ; Umberto Santino ne aveva disegnato la figura sull' Enciclopedia delle donne; Giovanna Providenti, biografa di Goliarda Sapienza, l'aveva ricordata in “La porta è aperta. Vita di Goliarda Sapienza” nel 2010.
La riscoperta definitiva è avvenuta nel 2021 con il libro di Maria Rosa Cutrufelli “Maria Giudice” (ora rilanciato da Neri Pozza col titolo “Maria Giudice. Vita folle e generosa di una pasionaria socialista). La Cutrufelli, tra le protagoniste della letteratura e dei movimenti femministi italiani, ha avuto con Goliarda una lunga e amichevole frequentazione di cui resta chiara traccia nelle pagine che dedica alla vita catanese della Giudice che durò vent’anni e fu fortemente segnata dal rapporto con l'ultima figlia nata nel 1924 e dalla necessità di sopravvivere in qualche modo all'oppressione fascista, sottoposta com'era la dirigente di Codevilla - insieme a Peppino Sapienza - allo stringente controllo della polizia politica e dell'Ovra. Tra le donne che assunsero ruoli dirigenti a livello nazionale nel Socialismo dell'epoca, Maria fu l'unica che fece esperienza di direzione di grandi lotte nel Sud d'Italia, specificamente in Sicilia, giocando un ruolo di rilievo nella complessa vicenda del socialismo siciliano, in quegli anni sottoposto all'attacco contemporaneo - e spesso convergente - della mafia e del fascismo. Eppure lei veniva dal “profondo Nord” e giunse in Sicilia quasi per caso, inviata dal partito nel 1919 come propagandista per tenere un circuito di conferenze in diverse città dell'isola.
Era nata nella cittadina dell'Oltrepò Pavese nel 1880 da una famiglia di estrazione piccolo borghese e tradizione politica garibaldina. Si diplomò maestra e cominciò a insegnare a Voghera. Ma la sua prepotente vocazione per la politica e le lotte sociali ebbe presto il sopravvento: già nel 1902, ad appena 22 anni, la troviamo segretaria della Camera del lavoro di Voghera; l'anno successivo fu inviata a dirigere la Camera del lavoro di San Donino nei pressi di Fidenza (Parma). Per la sua attività fu arrestata diverse volte, tanto che nel 1903 fu costretta a emigrare in Svizzera per evitare di partorire in carcere il primo figlio. Nell'esilio elvetico si legò con Angelica Balabanoff di un'amicizia destinata a durare tutta la vita. Giornalista di valore, scrisse sulla gran parte delle testate socialiste attive in quegli anni: dall'“Uomo che ride” di Ernesto Majocchi ad “Eva”, a “Su compagne”, “La difesa delle lavoratrici”, “Le arti tessili”. Tutti giornali dove firmava col proprio nome o con lo pseudonimo di Magda. A Torino, fu anche direttrice del “Il grido del popolo”, all'ennesimo arresto le subentrò Antonio Gramsci.
L'esperienza siciliana fu caratterizzata, dal punto di vista giornalistico, dalla direzione dell'“Unione”, le cui copie - dopo la clandestinità imposta dall'avvento del fascismo - giunse a murare tra le pareti della casa di Catania. Firmava l'Unione con lo pseudonimo di Samaritana che le era stato dato da Nicola Alongi, dirigente socialista rivoluzionario delle lotte contadine del dopoguerra, ucciso a Prizzi per mano mafiosa il 29 febbraio 1920. Nel comizio che tenne sulla piazza del paese in occasione del funerale di Alongi, Maria Giudice non esitò a fare il nome del capomafia che lo aveva assassinato. Nel fiorire - finalmente - di iniziative editoriali (un'altra è annunciata dalla Fondazione Argentina Altobelli di Bologna) cui non è certo estraneo il fatto che ricorre quest'anno il centenario della nascita di Goliarda Sapienza, non posso non segnalare “La città e le sue ombre. Maria Giudice in Sicilia” a cura di Nella Condorelli (Catania-Zafferana 2024). Il libro - che per correttezza non recensisco essendone coautore - nasce da un convegno che si tenne all'Università di Catania nel maggio 2023. La raccolta di interventi ha come filo conduttore le vicende della dirigente politica in Sicilia, ma si propone anche di offrire uno spaccato della vita politica e sociale, ma anche culturale, di una Catania che aveva subito un contraddittorio processo di modernizzazione ed era in quel momento tra le capitali italiane del cinema. Un libro - mi sia permesso di affermare - che val la pena leggere.
 di Franco Garufi

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