Le altre facce della medaglia in carcere
La fila è lunga e lenta, a causa dei primi controlli: in cambio dei documenti riceviamo un numero su un cartoncino plastificato. Andiamo al primo cancello che si apre ed entriamo a gruppi, accompagnati dalle guardie. Ci accoglie un buonissimo profumo di pane appena sfornato che ci accompagna al secondo controllo dove gli agenti ci sfiorano col metal detector, che per inciso non può segnalare esplosivi. Gli agenti ci invitano a riporre negli appositi armadietti chiavi, borse e telefonini.
Scortati dalle guardie, attraversiamo un altro corridoio, lungo, illuminato a giorno ed arriviamo. Siamo a teatro, nel carcere di Torino. Il laboratorio teatrale della Casa Circondariale di Torino, diretto da un fenomenale regista come Claudio Montagna, quest’anno, dal 24 al 27 novembre, mette in scena: ‘Le altre facce della medaglia’. Lo spettacolo, insieme alla Compagnia Teatro e società in collaborazione con la cattedra di Sociologia del diritto del dipartimento di Giurisprudenza dell’università di Torino, mette a confronto i pensieri di chi vive dentro e di chi vive fuori e mette in scena le risposte alle domande del pubblico. Cos’è il carcere? Cosa vuol dire viverci dentro? Cosa potrebbe diventare? Cosa succede qui dove la pena incide sull’anima?
‘Sono entrati tutti, l’attesa è lunga per chi è dentro e per chi è fuori. Ora non aspettiamo nessuno’, esordisce il regista Claudio Montagna, quando ci accoglie e ci conta con lo sguardo: siamo un pubblico di settecento persone. La serata è particolare, continua, è fatta di chiacchiere, di domande, di tecniche di improvvisazione e noi non siamo in grado di dare delle risposte. Gli attori sono divisi in tre gruppi più un’attrice, le scene vengono accompagnate dal suono di un’arpa.
La ‘medaglia’ è la legge di riforma penitenziaria del 1975, che quest’anno festeggia i 40 anni. Sarebbe una legge fra le più avanzate del mondo se fosse attuata. La corte europea di Strasburgo ha condannato l’Italia per il suo sistema carcere. C’è poco da festeggiare.
Domanda: quali attività dovrebbe svolgere il detenuto all’interno del carcere?
Risposta in scena: un musulmano si inchina e prega. Un altro dipinge, mentre altri giocano a calcio. ‘Dai sbrigati, abbiamo poco tempo’. ’ Ma no, a me mancano ancora vent’anni’. L’insegnante chiede: hai fatto il compiti? Lui risponde: ‘ l’ho letto ma non l’ho scritto, preferisco non studiare perché se studio, penso…’
D: Quali sono le misure alternative alla detenzione?
R: In scena tirano la corda, con fatica tirano chi da una parte chi dall’altra. È la lotta fra la magistratura e il detenuto. Cosa uscirà? L’affidamento? La semilibertà?
D: Chi, dall’esterno, può entrare in carcere?
R: In scena vanno i controlli e controllori per gli avvocati, il magistrato e per chi fa il corso di ceramica ma ha gli attrezzi e il permesso scaduto e non può entrare.
I colloqui per i parenti dei detenuti sono sei in un mese di un’ora ciascuno. Tre persone per ogni colloquio, i bambini non fanno numero. Per spedire una lettera bisogna fare la domandina, per la telefonata a casa un’altra domandina. Si chiama domandina qualsiasi esigenza scritta su un foglietto di carta da inoltrare all’educatore prima e poi alla direzione.
D: dopo la condanna della Corte europea, l’Italia cos’ha fatto?
R: In scena un pittore sta ritraendo alcuni modelli viventi, in posa. Volete stare fermi? Uno di loro non ci riesce, alza ed abbassa le braccia. Il pittore chiosa con un: non cambiate mai!
La metà delle scene che vedete improvvisare qui, sottolinea il regista, sono attinte dal vissuto dei nostri attori. C’è chi sta in carcere da poco, chi è dentro da dieci anni. Non è facile avere il garbo che gli attori hanno dimostrato stasera qui. Noi volevamo aumentare le domande più che fornire le risposte.
Lo spettacolo è lungo ed appassionante. Gli attori rivelano grande professionalità, improvvisano con abilità ed ironia. Le domande aumentano, le risposte rimangono fisse nella memoria.
Il carcere è un luogo speciale, distante dalla città e dai pensieri. Conoscere e far conoscere il carcere è fare cultura. Stasera qui al carcere di Torino, grazie agli attori detenuti e al regista Claudio Montagna, lo scambio fra il dentro e il fuori si è fatto fluido, ricco di emozioni. Conoscere e far conoscere il carcere è fare cultura, è sapere che nella libertà immaginata, la vita può migliorare perché il dentro e il fuori appartengono alla società civile di cui tutti noi siamo attori.
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