La stima che legava Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa

Società | 4 settembre 2022
Condividi su WhatsApp Twitter
In ricordo di Carlo Alberto Dalla Chiesa ucciso, assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico  Russo, dalla mafia 126 giorni dopo Pio La Torre e Rosario Di Salvo. Tra Pio e il prefetto c’erano antica conoscenza e stima. Dalla Chiesa di Pio disse a Bocca nella famosa intervista di qualche settimana prima del suo assassinio che La Torre era stato ucciso per tutta una vita dedicata alla difesa dei più deboli della società, alla lotta contro le ingiustizie e le disuguaglianze sociali e per liberare il Paese dallo sfruttamento e dalla mafia. Non tutti ricordano che Pio assieme a Rita Costa (vedova del giudice Costa) aveva sollecitato il Presidente del Consiglio Spadolini in un incontro, che doveva essere riservato e che invece fu reso pubblico dal giornale L’Ora facendo arrabbiare Pio, la nomina Dalla Chiesa prefetto di Palermo con funzioni di coordinamento in Sicilia della lotta alla mafia.
Dalla Chiesa aveva conosciuto bene il fenomeno mafioso, la sua complessità e i suoi legami con esponenti della classe dirigente. Dopo l’uccisione di Placido Rizzotto, subito sostituito da La Torre alla direzione della Camera del lavoro di Corleone, il capitano Dalla Chiesa, dal 1949 al 1950 diresse le indagini sull’assassinio di Rizzotto mettendo in luce il potere mafioso locale diretto dal medico democristiano Michele Navarra, dal 1966 al 1973 fu comandante provinciale dei carabinieri, successivamente da generale contribuì a sgominare il terrorismo degli anni 70. È nota la sua audizione sulla natura del fenomeno mafioso presso la Commissione antimafia nazionale, della quale faceva parte La Torre.
Il Prefetto appena nominato venne a Palermo il giorno dopo l’uccisione di Pio e Rosario. Passò prima da Piazza Politeama, dove si stavano montando i palchi che avrebbero ospitato le autorità politiche e istituzionali partecipanti ai funerali, l’indomani mattino -2 maggio 1982- assieme a centomila siciliani. Il prefetto apprezzò l’organizzazione dei preparativi, di cui ero responsabile per il Pci, che stavo discutendo in prefettura con gli addetti ai cerimoniali dei Presidenti della Repubblica, del Consiglio, della Camera, della Regione.
Anche il Prefetto, come Pio, era convinto che il contrasto a Cosa Nostra dovesse condurre non solo con la repressione, ma anche con il lavoro culturale nella società e tra i giovani. Sono noti le sue iniziative nelle scuole e i suoi tentativi di mobilitare la coscienza civica.
Averlo conosciuto mi consentì di invitarlo a un confronto pubblico nel mio paese di nascita Casteldaccia, allora nel triangolo della morte, dove era nato il primo Comitato popolare di lotta alla mafia composto da un gruppo di giovani che avevo coinvolto assieme a don Cosimo Scordato. Concordammo di farlo a settembre al mio rientro dalle ferie. Esso avvenne il tre settembre, stavo rientrando a casa mia di Palermo quando passando dalla Piazza Sturzo, le forze dell’ordine avevano bloccato il traffico per l’assassinio effettuato pochi minuti prima. Un’altra scena di delitto politico mafioso rimasta impressa nella mia memoria visiva perché accaduti nell’area urbana vicina alla mia abitazione, dall’uccisione di Cesare Terranova e del suo autista a quella di Piersanti Mattarella, di Carlo Alberto Dalla Chiesa , di Rocco Chinnici, di Ninni Cassarà, oltre quello di Pio La Torre e Rosario Di Salvo.
La lezione appresa non può essere dimenticata, essa è servita per accrescere l’impegno civile e politico della società per cancellare il fenomeno criminale, le sue protezioni politiche e la cultura mafiosa.
Questo dovrebbe manifestarsi soprattutto in queste elezioni politiche e regionali nelle quali, come abbiamo già denunciato, le mafie sono scomparse dal dibattito elettorale e politico, ma non dal Paese.
 di Vito Lo Monaco

Ultimi articoli

« Articoli precedenti