La seduzione dei social oscura l’informazione

Cultura | 27 aprile 2025
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Sono molti i rischi dei social network, ma spesso non li conosciamo o, peggio, non li riconosciamo per quello che sono. Del resto, i social hanno portato delle trasformazioni profonde e in poco tempo, impedendoci quasi di riflettere sul modo in cui ci adattiamo ai cambiamenti da essi prodotti nelle nostre vite. Basti pensare che siamo spinti a condividere sempre di più e sempre più in fretta. I social network ci hanno abituati a trattare ogni cosa, anche la morte, come intrattenimento, «normalizzando una distanza emotiva che ci impedisce di vedere il peso reale delle storie dietro gli schermi». E ancora, l’uso improprio dei social da parte di «persone senza etica» ha trasformato la sofferenza e, in generale, la vulnerabilità in una occasione di business, spettacolarizzando e monetizzando tutto quello che un tempo restava custodito nella sfera privata di ciascuno. Ad analizzare i pericoli dei social network e a farci riflettere sulle conseguenze negative apportate dalle trasformazioni da essi introdotte è il libro della social media strategist Serena Mazzini, ‘Il lato oscuro dei social network. Come la rete ci controlla e ci manipola’ (Rizzoli, 2025, 240 pp.).
È con Instagram che si ha la prima svolta nei social network. Mentre su Facebook le immagini si alternano a post più o meno lunghi, continuando comunque a garantire un confronto ‘verbale’, su Instagram sono le fotografie e i video a spadroneggiare. Foto e video che, sebbene inizialmente venissero diffusi con il solo intento di condivisione con gli amici, successivamente, anche grazie al ricorso agli hashtag e ai profili aperti, sono divenuti oggetto di un’ulteriore trasformazione legata all’ampia visibilità acquisita: la monetizzazione. E il passaggio, probabilmente in origine non intenzionale, dai tanti like allo ‘status di influencer’ con numerose proposte di collaborazione è stato per molti una svolta. L’autrice riflette sul fatto che mentre influencer si nasce per caso, professionisti dei social lo si diventa per scelta cercando di soddisfare la domanda dei follower. E di questa scelta sono pionieri i Ferragnez, menzionati dalla Mazzini nel libro, i quali hanno avuto l’intuizione che avrebbero generato maggiori interazioni e fidelizzazioni mostrando, sebbene in maniera distorta, la loro vita familiare nella quotidianità dei dettagli, illudendo così i follower di creare un rapporto intimo e alla pari con loro. Ma i Ferragnez costituiscono anche un esempio del fenomeno dello sharenting, cioè della costante condivisione online da parte dei genitori di foto e video che riguardano i propri figli tale da renderli a loro insaputa dei baby influencer, o meglio strumenti per trarne popolarità e profitto.
La «mutazione antropologica» dei social network arriva, tuttavia, con TikTok che «esige una riduzione più netta della soggettività a un singolo format». Con TikTok si perde la «creazione di una estetica visiva e personale» di Instagram per far spazio a video omologati – stesse musiche, stessi gesti, ecc. – in cui «emozioni complesse e private, come il dolore e la morte, vengono ridotte a brevi video standardizzati», espropriando così l’esperienza personale e uniformando «le espressioni emotive rendendole intercambiabili». Video uguali nel format, ma in una gara di contenuti sempre più sensazionali in cui dare in pasto ai follower gli aspetti intimi della propria esistenza.
Il lavoro della Mazzini mostra che quella dei social network non è informazione, ma manipolazione. Non è libertà, ma seduzione e assoggettamento. Occorre opporsi a questa deriva dei social network perché altrimenti, oltre ad essere vittime, saremmo anche complici.
 di Alida Federico

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