La naturale ascesa di Giorgia Meloni, leader di lotta e di governo

Politica | 26 ottobre 2022
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Underdog nel linguaggio sportivo anglosassone è l'atleta considerato perdente in partenza. Quando egli ribalta il risultato atteso e giunge primo al traguardo, la sua vittoria viene definita un upset, uno sconvolgimento. Se la definizione che la neo presidente del Consiglio si è auto-attribuita nel corso delle dichiarazioni programmatiche in Parlamento voleva riferirsi alle ultime elezioni politiche è del tutto impropria: mai nella storia degli ultimi quindici anni di politica italiana una vittoria elettorale è apparsa annunciata come quella di Fratelli d'Italia il 25 settembre 2022.
Più aderente alla realtà appare invece il termine se ci riferisce all'ascesa dei consensi del partito della leader romana dalla fondazione nel 2012 alla conquista di palazzo Chigi: il 2% nelle Politiche del 2013, il 3,7% alle Regionali del 2014, il 4,35% alle Politiche del 2018, il 9,72% alle Regionali del 2020, fino al 26% del 25 settembre. Immaginando di mettere questi numeri su un piano cartesiano ne deriverebbe l'immagine di una curva che cresce in maniera relativamente modesta fino al 2020 e si impenna all'improvviso nell'ultimo biennio. L'impennata è parallela alla progressiva flessione delle altre due forze politiche che si sono collocate sul versante populismo/sovranismo: la Lega di Salvini ed i Cinque Stelle. Anche le analisi sui flussi elettorali sembrano dimostrare che Fratelli d'Italia ha, grazie alla continuità dell' opposizione a tutti i governi della scorsa legislatura, raccolto i frutti del malcontento che la crisi pandemica ed il rapido tramontare delle speranze di ripresa dell'economia (per le conseguenze dell'aggressione russa all'Ucraina) ha fatto lievitare nel profondo del paese. Tanto che le due forze che sono state entrambe a lungo al governo nei cinque anni trascorsi, hanno dovuto nella loro campagna elettorale usare toni da opposizione allo stesso governo cui partecipavano per non perdere troppi consensi. Credo che solo in Italia si sia visto simile spettacolo.
A controprova, basti ricordare che l'unica forza che ha lealmente tratto le conseguenze dell'appoggio ai governi Conte 2 e Draghi, i Democratici, hanno pagato il fio della loro coerenza. Il manifesto programmatico con cui Giorgia Meloni, donna di 45 anni, presidente del partito dei Conservatori europei ed erede della tradizione del Movimento Sociale Italiano ( il partito neofascista fondato nel dicembre del 1946) rivela tutte le contraddizioni con cui questo governo di destra centro si presenta al Paese. Va dato il giusto rilievo al fatto che per la prima volta nella storia dell'Italia unita una donna assume il ruolo di vertice del governo: una svolta importante perchè contribuisce a colmare un ritardo del sistema politico italiano con il resto dell'Europa. Nel lungo Pantheon femminile citato nel suo intervento si avverte la tensione dell'onorevole Meloni ad accreditare la sua premiership nel quadro della crescita generale del ruolo della donna nella società italiana.
La leader è lontana mille miglia dalla cultura femminista e la sua formazione culturale e politica si iscrive nel solco del tradizionale cursus honorum del dirigente politico cresciuto all'interno dei movimenti giovanili postfascisti, con particolare riferimento alla destra sociale romana ed al suo tradizionale insediamento nelle periferie (la Garbatella ma anche la sezione MSI di Colle Oppio). Lo stesso percorso dei suoi principali collaboratori, con l'eccezione forse di Guido Crosetto. La Meloni, tuttavia, è l'unico elemento di novità della coalizione: per il resto la compagine governativa appare una riedizione dei governi berlusconiani del primo decennio del secolo, da Matteo Salvini a Antonio Tajani, ad Annamaria Bernini. Altri, come Gennaro Sangiuliano sono il frutto della capacità dimostrata in questi anni di piazzare propri riferimenti in posizioni di controllo del sistema pubblico radiotelevisivo. Sarebbe assai interessante analizzare l'espansione dei referenti più o meno espliciti della Meloni nella RAI, negli altri media ed in ambienti della cultura in un lungo e silenzioso lavoro di “entrismo” del quale pochi si sono accorti.
Più che underdog, una talpa che ha saputo ben scavare, se è lecito rubare una citazione famosa. Quanto ai contenuti del programma, prevalgono nell'intervento della presidente del Consiglio i toni tesi a rassicurare soprattutto i partners internazionali. Qui si avverte una prima incoerenza, emersa immediatamente nel dibattito alla Camera con l'intervento del capogruppo della Lega Riccardo Molinari che ha contrapposto atlantismo e costruzione dell'Europa. Ciò che soprattutto manca nelle dichiarazioni della Meloni sono impegni concreti di governo, mentre l'attivismo di Matteo Salvini, che rilancia la sua interpretazione del programma, costringerà la Meloni a tenere strette le redini della coalizione. Si è preferito sostituire agli oneri puntuali dell'azione di governo operazioni di facciata come il cambio di denominazione dì alcuni ministeri.
Fumo negli occhi per coprire le difficoltà a definire pesi e contrappesi dei vari dipartimenti, come si evince dalla paradossale vicenda del ministero del Sud e del mare- titolare il senatore Nello Musumeci- che , privato delle deleghe della coesione territoriale, dei fondi strutturali e del controllo di porti e guardia costiera più propriamente converrebbe denominare ministero del nulla cosmico. Nel frattempo il Sud, le disuguaglianze territoriali, economiche e sociali sono scomparse dall'orizzonte dell'Esecutivo. Questo è il governo più a destra della storia della Repubblica e gli “animal spirits” di questa destra che ha riferimenti ideologici in Marine Le Pen, Viktor Orban, al polacco Diritto e Giustizia, alla spagnola Vox presto o tardi riemergeranno e peseranno sul terreno dei diritti sociali, dei diritti civili, del tentativo di introdurre l'autonomia differenziata ed il presidenzialismo.
Bisogna che le opposizioni - che è ingenuo immaginare si riunifichino subito dopo una campagna elettorale in cui si sono fieramente contrapposte- tengano ferma la barra di un lavoro propositivo capillarmente radicato nel territorio e ben visibile in Parlamento per impedire che l'Italia si volga indietro verso un passato oscuro.
 di Franco Garufi

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