L’ombra della P2 di Gelli su riforme e “democrazia illiberale” / 1

L'analisi | 16 agosto 2024
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Incredibile come nel giro di qualche decennio il significato di una parola possa capovolgersi. Prendiamo due termini: “futuro” e “riforme”. Del primo erano pieni, con convinzione ed enfasi, programmi, comizi e discorsi. Oggi il futuro del mondo, al contrario, ci atterrisce. E cosa di più auspicato della parola “riforme”? Salvo rendersi conto che, a seconda di chi siede a Palazzo Chigi, diventa concreto il rischio che “riforme” possa tradursi in “controriforme”.
Sulle principali riforme approvate, o in via di approvazione, dal governo Meloni – premierato, autonomia regionale differenziata, interventi sull’informazione, limitazione del diritto di cronaca, liberalizzazione delle procedure d’appalto, riforma fiscale, giustizia (abolizione dell’abuso d’ufficio, stretta sulla magistratura, carriere distinte dei giudici inquirenti e giudicanti, test psico-attitudinali per i magistrati, drastica riduzione delle intercettazioni ed altro) – ci soffermeremo in questa analisi. Alla luce d’una particolare lettura. Riassumibile in una domanda: consapevolmente o, piuttosto, inconsapevolmente il governo della Giorgia nazionale e nazionalista non sta finendo per attuare parecchie delle prescrizioni del famigerato “Piano di rinascita democratica" di Licio Gelli e della Loggia segreta P2?
Sia chiaro, nessuno è così sprovveduto da tacciare il governo in carica di essere una specie di quinta colonna della P2 o, tout court, di essere piduista. Un ragionamento del genere sarebbe ridicolo oltre che profondamente scorretto. Le farneticazioni delle consorterie segrete non hanno niente a che vedere con i percorsi politici e procedurali delle istituzioni della Repubblica democraticamente elette. Ne costituiscono anzi l’antitesi. E tuttavia nei fatti non mancano terreni comuni: autoritarismo, restrizione degli spazi di libertà e/o di ruolo di alcune cariche rispetto ad altre, messa in discussione del sistema di pesi e contrappesi che connota i principali poteri della Repubblica come li aveva voluti la Costituzione.
I “warning” sui rischi che si corrono e i richiami al parallelismo o addirittura ai desiderata del “Piano di rinascita democratica” della P2, già intervenuti l’anno scorso, si sono intensificati nelle ultime settimane. Da parte di autorevoli magistrati ed ex magistrati, Associazione Nazionale Magistrati (Anm), politici, giornalisti. Riporteremo più voci di queste – ci piace definirle così – Cassandre del nostro tempo. E sulle presunte convergenze con le riforme Meloni sopra elencate in cantiere ci spingeremo ad una vera e propria analisi testuale del “Piano di rinascita democratica” del faccendiere Licio Gelli (1919-2015), Maestro Venerabile della Loggia massonica eversiva P2. Per toccare con mano, alla San Tommaso, cosa se ne sta traducendo in questi mesi in provvedimenti legislativi. O ne è stato già tradotto in passato. Prima però cerchiamo di capirne di più su cosa è stato il “Piano di rinascita democratica” e a cosa mirava. 

Il disegno programmatico della P2 

Il documento può considerarsi una parte essenziale del programma della loggia massonica P2, non rinvenuto negli archivi della loggia ma in quello del suo fondatore Licio Gelli.
Redatto da Francesco Cosentino, consisteva in un assorbimento degli apparati democratici della società italiana in un autoritarismo legale che avrebbe avuto al centro l'informazione. In soldoni, un elenco di punti di sottolineata impronta reazionaria. Venne scoperto e sequestrato il 4 luglio 1981 nel doppiofondo di una valigia di Maria Grazia, figlia di Gelli, assieme al memorandum sulla situazione politica in Italia. Il 17 marzo dello stesso anno era stata rinvenuta la lista degli iscritti alla loggia massonica P2.
Nella relazione conclusiva dei lavori, la commissione parlamentare sulla P2 presieduta della democristiana Tina Anselmi, ex partigiana e politica dc con gli attributi, accertò l'esistenza di una struttura segreta che aveva elaborato un piano articolato di riforma dello Stato e della vita pubblica, da realizzarsi entro un orizzonte temporale non precisato. Il piano fu redatto al di fuori delle sedi istituzionali preposte dalla Costituzione, in assenza di un qualsiasi coinvolgimento democratico di elettori e opinione pubblica.
I suoi obiettivi consistevano in una serie di riforme e modifiche costituzionali al fine di «… rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori».
In particolare andavano programmate azioni di governo, di comportamento politico ed economico, atti legislativi. Insomma una sorta di programma di governo, da attuare in un arco di tempo non definito con alcuni interventi urgenti e altri di medio-lungo periodo. Un programma, come si usa dire in casi del genere, …tutto legge e ordine, autoritario e conservatore (oggi potremmo scrivere al posto dei due aggettivi l’aggettivo sovranista?).
Alcuni punti sono stati successivamente attuati, altri solo a livello parziale nel campo istituzionale, di assetto economico nel mondo imprenditoriale e soprattutto nei mass media. Altri ancora sono stati riproposti dalle forze politiche, anche come vedremo di tendenze opposte.
Tra i principali punti del “Piano”:
• Un progetto di controllo o di lobbismo sui mass media. Il piano prevedeva il controllo – tramite acquisizione di quote e fondazione di nuove testate – di quotidiani e la liberalizzazione delle emittenti televisive (all'epoca permesse solo a livello regionale) nonché l'abolizione del monopolio Rai e la sua privatizzazione. L'abolizione del monopolio Rai era avvenuto prima della scoperta della loggia, con la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 1974 che liberalizzava le trasmissioni televisive via cavo.
• Superamento del bicameralismo perfetto attraverso una "ripartizione di fatto di competenze fra le due Camere (funzione politica alla Camera dei deputati e funzione economica al Senato della Repubblica)".
• Riforma della magistratura: separazione delle carriere di pubblico ministero e magistrato giudicante, responsabilità del Consiglio Superiore della Magistratura nei confronti del Parlamento, da operare mediante leggi costituzionali (punti I, IV e V degli obiettivi a medio e lungo termine).
• Riduzione del numero dei parlamentari.
• Abolizione delle province.
• Abolizione del valore legale del titolo di studio così da chiudere il preteso automatismo titolo di studio-posto di lavoro.
• Non rieleggibilità del Presidente della Repubblica. 

L’analisi di Nino Di Matteo 

Una delle prese di posizione più esplicite e di maggiore risalto mediatico sulla presunta “connection”, se non altro di intenti, tra il “Piano” Gelli e le riforme in discussione della Giustizia se la intesta nel luglio 2023 il sostituto procuratore Nino Di Matteo, consigliere togato del Csm, in una intervista rilasciata a Giuseppe Salvaggiuolo (“Nino Di Matteo: “Queste riforme della giustizia attuano il piano eversivo della P2”. La Stampa, 14 luglio 2023).
Primo siluro di Di Matteo a commento della riforma del guardasigilli Nordio e del pericolo che rappresenta per l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, proseguendo quanto già avviato dalla ex ministro Cartabia: “C’è un disegno unico nelle riforme che attuano il programma fondativo di Forza Italia e affondano le radici nel disegno della loggia P2”. Secondo siluro: “Nel solco del programma dei governi Berlusconi, negli ultimi anni la politica è pervasa da una voglia di rivalsa nei confronti di una certa magistratura, che, in ossequio alla Costituzione, ha esercitato il controllo di legalità a 360°”. Di Matteo denuncia la pericolosa continuità tra la riforma Cartabia e quella più recente di Nordio: “Vanno nella stessa direzione. Che non è rendere più veloce la giustizia, ma sdoppiarla. Implacabile sui reati comuni; lenta e spuntata verso le manifestazioni criminali dei colletti bianchi. Cartabia ha aperto il varco che Nordio percorre. Le sue riforme darebbero la spallata finale”.
Dall’improcedibilità introdotta dalla guardasigilli di Draghi, “che fa svanire i processi in appello e Cassazione, inducendo le Procure ad atomizzare l’azione penale, tralasciando i sistemi criminali complessi”, alla “previsione di querela per perseguire reati come sequestri di persona e lesioni gravi. Criteri di priorità dell’azione penale indicati dal Parlamento. Limitazioni al diritto di cronaca anche per notizie non più coperte da segreto. Fin qui la riforma Cartabia. Poi arriva il nuovo governo. Ampia liberalizzazione delle procedure di appalto. Abrogazione dell’abuso di ufficio. Limitazione del traffico di influenze. Ulteriore stretta sulla pubblicazione di intercettazioni non più coperte da segreto. Modifiche costituzionali su separazione delle carriere e obbligatorietà dell’azione penale”. Non c’è “discontinuità”, ma piuttosto “un percorso unico, che tra l’altro affonda le radici in epoche lontane”.
A preoccupare ulteriormente è l’assonanza con quanto hanno voluto fare i vari governi Berlusconi e, ancor di più, “con il Piano di rinascita democratica della loggia P2”. L’obiettivo? “Ridimensionare l’indipendenza della magistratura, controllarla direttamente e indirettamente. Questa è la posta. Il sistema di potere intende blindarsi, inattaccabile dal controllo di legalità”.
“Si va nella direzione tracciata con la discesa in campo [di Berlusconi, ndr] del 1994. Sembra che oggi si voglia finalmente fare ciò che ai governi di centrodestra non era riuscito”. “La magistratura paga anche sue colpe, con una perdita di credibilità di cui il potere politico vuole approfittare”. “Procure gerarchizzate e interessate più alle statistiche che all’approfondimento delle indagini”. Il rischio che corre il Paese? “Mettersi alle spalle la stagione dei maxiprocessi, delle indagini sui rapporti mafia-politica o sulle stragi. Il momento è delicato. Ora si può ridisegnare la magistratura spuntando le armi del controllo di legalità e ingabbiandola nel concetto delle carte a posto”.
E su temi caldi del dibattito pubblico (abolizione dell’abuso d’ufficio, revisione del concorso esterno in associazione mafiosa e altri reati): “Molti procedimenti nati da esposti di cittadini che ipotizzano abusi di ufficio finiscono per accertare turbative d’asta, corruzioni, interessi mafiosi nella pubblica amministrazione. Abolirlo significa bloccare le indagini mentre piovono centinaia di miliardi del Pnrr e indebolire la tutela del cittadino da condotte prevaricatrici del pubblico ufficiale”. Quanto al concorso esterno, si tratta di un reato “frutto dell’applicazione giurisprudenziale delle stesse regole del codice che valgono per ogni altro reato”. “Chi lo contesta ignora, o finge, che per primo fu Falcone a utilizzarlo per indagare Ciancimino; e che grazie a questo reato sono stati condannati politici importanti (Dell’Utri, D’Alì e Cosentino), funzionari di polizia, imprenditori, sindaci, magistrati. La mafia diventa più fluida, prescinde da vecchi riti di affiliazione formale. Eliminare il concorso esterno costituirebbe un grave danno”. “Oggi su oltre 57mila detenuti, meno di 10mila scontano una pena definitiva per corruzione. In Italia la corruzione è stata debellata oppure, a me pare, è un fenomeno sostanzialmente impunito. Le riforme tendono ad allargare questa impunità”.
“Mi fa specie che esponenti del governo, a cominciare dal primo ministro, rivendicano l’adesione al modello ideale di Borsellino. Quando gli chiesero dei rapporti mafia-politica, Borsellino disse pubblicamente che il dramma dell’Italia è che se non c’è reato non si fa valere la responsabilità politica anche per comportamenti gravi e accertati”.
“Ogni volta che si accerta un fatto, per esempio di contiguità mafiosa, la politica reagisce così, confondendo piani diversi. La responsabilità giuridica risponde al principio di non colpevolezza fino a sentenza definitiva; quella politica dovrebbe scattare a prescindere e prima, sulla base di fatti già conosciuti. Un approccio contraddittorio che di fatto abolisce la responsabilità politica”. (Su questa intervista si veda anche Jamil El Sadi “Di Matteo: ‘Riforme della giustizia affondano le radici nel disegno della loggia P2’ “, in “Antimafia 2000”, 23 luglio 2023). 

Scarpinato, verso una nuova forma di Stato 

Non meno potenti le bordate di un altrettanto preoccupato Roberto Scarpinato, ex procuratore generale di Palermo e ora senatore del M5S, nel suo intervento al 36° Congresso nazionale dell’Anm (Palermo, 10-12 maggio 2024).
Sostiene Scarpinato: “Le forze politiche dell’attuale maggioranza sono eredi e continuatrici di quelle stesse forze politiche che dall’inizio della storia repubblicana hanno manifestato la propria avversione alla Costituzione del ’48. È in corso d’opera una sorta di organico work in progress che ha come meta finale la transizione storica verso una nuova forma di Stato, verso quella che il professor Gustavo Zagrebelsky, in una memoria depositata al Senato, ha testualmente definito “una democrazia illiberale, autoritaria”, che di democratico ha poco se non la faccia elettorale e che è funzionale agli interessi delle strette oligarchie“.
“Questo congresso si svolge in una fase storica che definirei di emergenza democratica. Se assumiamo uno sguardo onnicomprensivo su tutte le riforme in cantiere, da quella sull’autonomia differenziata a quella sul premierato e a quelle che riguardano l’assetto della magistratura e l’esercizio della giurisdizione, si comprende come la posta in gioco sia totale e riguardi la sopravvivenza stessa del modello di democrazia repubblicana instaurato dalla Costituzione del 1948. Modello che, come hanno osservato i più autorevoli costituzionalisti italiani, da questa riforma viene scardinato nei pilastri fondamentali dell’unità nazionale, dell’equilibrio dei poteri, nell’indipendenza della magistratura, nel principio cardine della pari dignità e dell’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Dello stesso ethos anticostituzionale sono espressione anche tante altre leggi ordinarie, come quella che mira a sopprimere il diritto dei magistrati di eleggere i propri rappresentanti al Csm”.
Nell’analisi storico-politica di Scarpinato finisce per entrare così il “Piano di rinascita democratica della P2”: “La storia attesta che una parte di questo paese ha sempre vissuto la Costituzione del ’48 come un corpo estraneo, non si è mai identificata nel suo quadro di valori. Si tratta di una parte del paese rilevante soprattutto per il suo peso politico, perché composta non solo da neofascisti confluiti nel Msi e nelle tante formazioni eversive della destra – sottolinea – ma anche da quei settori delle classi dirigenti nazionali che avevano portato al potere e avevano sostenuto il fascismo. Settori del potere italiano che si sono poi opportunisticamente riciclati nel nuovo ordine costituzionale non condividendone i valori e operando al suo interno come una quinta colonna per frenarne e sabotarne l’evoluzione. L’ostilità di questa parte dell’Italia nei confronti del nuovo ordine costituzionale non si è mai sopita, ha attraversato tutta la storia nazionale declinandosi non soltanto nelle forme palesi e incruenti di una politica condotta alla luce del sole nelle aule parlamentari, ma anche in altre forme occulte e violente. Quando parlo di forme occulte, mi riferisco alla P2 il cui manifesto ideologico, il Piano di rinascita democratica, è una summa esemplare di animosità anticostituzionale. Non è un caso che molte delle riforme in cantiere siano la calligrafica trascrizione di quel piano. Quanto alle forme violente di lotta politica diretta a sabotare la Costituzione – spiega – mi riferisco alla sequenza ininterrotta di omicidi politici, di progetti di colpi di Stato, di stragi che hanno segnato tutta la storia nazionale del secondo dopoguerra che non ha eguali in nessun altro paese europeo. Stragi eseguite sotto una sapiente regia politica in momenti critici per frenare l’attuazione della Costituzione. Una violenza politica omicidiaria che ha travolto la vita di tanti magistrati proprio per la loro lealtà alla Costituzione, proprio per il loro patriottismo costituzionale”.
“Le campagne mediatiche contro Falcone, accusato di avere violato il dovere di parzialità e di essere un giudice politicizzato, la sua riduzione all’impotenza, prima all’Ufficio istruzione e poi alla Procura della Repubblica di Palermo, la discesa in campo contro di lui di quelli che lo stesso Falcone definì “le menti raffinatissime” mentre indagava sulle connessioni tra mafia, P2 e destra eversiva per gli omicidi politici di Mattarella, di La Torre e di Dalla Chiesa, non furono certamente opera di personaggi come Totò Riina. Furono invece complesse operazioni di sistema che chiamano in causa settori importanti dello stesso establishment di potere, da sempre nemico della legalità e della democrazia costituzionale”.
E aggiunge: “Non si tratta di storia del passato: la parte di paese che non si è mai riconosciuta nei valori della Costituzione non è stata archiviata dalla storia, si è riprodotta nel tempo ed è arrivata sino ai nostri giorni. In questo contesto si iscrivono e appaiono come una riedizione aggiornata del passato le manovre di screditamento e le ripetute intimidazioni nei confronti della magistratura condotta apertamente da questa maggioranza politica con la discesa in campo di ministri e di vertici politici: manovre di intimidazione dirette a preparare il terreno per le riforme costituzionali che si annunciano e nel contempo a disciplinare quella parte della magistratura indisponibile a rinnegare il proprio patriottismo costituzionale“.
Le conclusioni di Roberto Scarpinato sanno di drammatico e di epico. Di fatto danno vita a un appello a lottare per la difesa della Costituzione: “Cosa fare? C’è un imperativo semplice e categorico che si impone a tutte le forze politiche e sociali autenticamente democratiche: fare fronte comune per difendere questa Costituzione senza se e senza ma. La sua difesa resta l’ultima spiaggia, il terreno elettivo della nuova Resistenza. Sino a quando questa Costituzione resterà in vita, sapremo da dove ricominciare. È come quando in un palazzo sfigurano la facciata, abbattono i tramezzi, però le fondamenta restano; se abbattono le fondamenta, non c’è più una casa comune”. (Gisella Ruccia “Scarpinato: “Molte riforme del governo Meloni sono la calligrafica trascrizione del manifesto della P2”. “Il Fatto Quotidiano”, 12 maggio 2024). 

Proposte del Piano Gelli già attuate 

Il paradosso è che alcuni punti del “Piano di rinascita” sono stati attuati. Patrocinati persino da insospettabili forze partitiche schierate agli antipodi rispetto alle farneticazioni di Gelli e sodali. È quanto scrive Stefano Folli, uno dei più autorevoli notisti politici italiani (“Il Piano Gelli e le sue metamorfosi”, la Repubblica 14 maggio 2024): “(…) è stato proprio il partito di Conte a lanciare il taglio dei parlamentari. L’iniziativa fu dei 5S, col pieno appoggio di altri gruppi; Fratelli d’Italia fu tra i più convinti, mentre il Pd si accodò solo all’ultima votazione. Un altro esempio. Nella visione istituzionale della premier, i senatori a vita devono essere cancellati. Gelli e i suoi amici (…) prevedevano d’innalzarne il numero: da 5 a 25, ovviamente tutti di nomina presidenziale.
Il Senato dotato di diverse funzioni rispetto alla Camera era previsto nella riforma Renzi, ma fu fermato. Una forma di presidenzialismo, il “premierato” con elezione diretta del presidente del Consiglio, esiste nella bozza presentata dal governo, ma non nel famoso “Piano di rinascita”: qui si prevedono varie mosse per rafforzare il governo, ma si evita con cura di assumere impegni per l’elezione diretta.
Quanto alla legge elettorale, il piano suggerisce il modello tedesco. Modello apprezzabile e certo non eversivo. Dove si crea uno snodo cruciale, è l’offensiva contro taluni aspetti della magistratura: ma la riforma Nordio è in alto mare ed è tutto da dimostrare che il punto chiave, la separazione delle carriere, riesca mai a vedere la luce”. (Continua)

 di Pino Scorciapino

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