L'autonomia differenziata e i pericoli per il Sud
Politica | 3 febbraio 2023
Nel già agitatissimo dibattito pubblico italiano, tra sottosegretari che consegnano a “conviventi” documenti riservati da sbandierare nell'aula di Montecitorio e giornalisti che- in assenza di contraddittorio- accusano illustri intellettuali di connivenza con la mafia, è precipitato anche il disegno di legge sull'autonomia differenziata. Salutato con l'applauso del Consiglio dei ministri, la prima impressione è che si tratti, alla vigilia delle elezioni regionali in Lombardia e Lazio, soprattutto di un'offa che la presidente del Consiglio e leader di Fratelli d'Italia paga alla Lega di Salvini mentre il terzo socio della coalizione - l'immarcescibile Silvio Berlusconi- mugugna.
Cos'è l'autonomia differenziata? E' bene aver chiaro il perimetro di ciò che si sta discutendo perché il tema è di estrema delicatezza, capace di condizionare negativamente le sorti della parte più debole del Paese, il Mezzogiorno e di pregiudicare fondamentali principi di solidarietà e coesione sociale e territoriale. L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come riformato nel 2001, prevede la possibilità di attribuire particolari ambiti di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d."regionalismo differenziato" o "regionalismo asimmetrico", in quanto consente ad alcune di esse di dotarsi di poteri diversi dalle altre). Ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, primo comma), il testo del terzo comma dell'articolo 116 recita: "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 (“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei rispettivi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione Europea...”) delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia.
Con tale procedimento possono essere attribuite alle Regioni che ne facciano richiesta tutte le materie che l'articolo 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente; un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117 (secondo comma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato: organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull'istruzione; tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. L'attribuzione di tali forme rafforzate di autonomia deve essere stabilita con legge rinforzata, che, dal punto di vista sostanziale, è formulata sulla base di un'intesa fra lo Stato e la Regione, acquisito il parere degli enti locali interessati, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione in tema di autonomia finanziaria, mentre, dal punto di vista procedurale, è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, senza necessità di doppie letture non trattandosi di norma di rango costituzionale. Il ddl dato approvato ieri dà attuazione a quanto previsto dalla riforma costituzionale del 2001 (titolo V); le Camere tuttavia dovranno esprimersi in due distinti momenti. Una prima volta sulla legge di attuazione dopo che essa abbia ricevuto il definitivo via libera del Consiglio dei ministri. In un secondo momento, il Parlamento sarà chiamato a esprimersi sull’intesa preliminare che sarà raggiunta tra lo Stato e ciascuna Regione.
L’intero percorso è concentrato tutto sulla concertazione tra governo e potere locale. La Regione richiede l’Autonomia per il numero di materie che decide (una, diverse, tutte e 23). Si aprirà poi il percorso dell'Intesa tra lo Stato e la singola Regione: ogni intesa porterà in calce due firme, quella del premier e quella del presidente della Regione. A quel punto l’accordo tornerà in Parlamento che deciderà a maggioranza assoluta senza potere di emendare l'Intesa. Insomma l'autonomia differenziata consiste nella possibilità per ciascuna Regione di chiedere allo Stato nuove funzioni insieme alla risorse «umane, strumentali e finanziarie» per svolgere adeguatamente tali compiti. Il disegno di legge approvato ieri in Consiglio dei ministri definisce «i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia» nonché le «modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione». È insomma, anche, una sorta di programma di quanto accadrà nei prossimi mesi. Secondo il ministro Roberto Calderoli l’iter richiederà circa un anno.
Vediamo su “cosa” si eserciterà l'autonomia differenziata.
Essa comprende 23 materie:
-rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni;
-commercio con l'estero;
-tutela e sicurezza del lavoro;
-istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
-professioni;
-ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
-tutela della salute;
-alimentazione;
-ordinamento sportivo;
-protezione civile;
-governo del territorio;
-porti e aeroporti civili;
-grandi reti di trasporto e di navigazione;
-ordinamento della comunicazione;
-produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;
-previdenza complementare e integrativa;]
-coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
-valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; -casse di risparmio, casse rurali.
La prima criticità, evidenziata anche dal costituzionalista Michele Ainis, riguarda proprio l'elenco delle materie ed il rischio che si crei una sorta di patchwork istituzionale. Nel 2016 la riforma costituzionale tentata dal governo Renzi sforbiciava quest’elenco di materie, e pretendeva inoltre che la Regione interessata avesse i conti in ordine. Adesso nessun limite, nessuna condizione. Ogni Regione può chiedere l’universo mondo, anche se c’è un commissariamento sulla materia che richiede. Sicché “l’autonomia differenziata prevista dall’articolo 116 della Costituzione – che è norma eccezionale, concettualmente ristretta a pochi casi, a poche discipline – viene interpretata come regola, sovvertendo il rapporto fra Stato e Regioni.”
C'è inoltre, come ha fatto rilevare la Cgil, la concreta possibilità che l'attuazione della riforma con le modalità proposte ed a risorse invariate si traduca in un “ attacco all’unitarietà dei diritti sociali, destinato a produrre una cristallizzazione dei divari esistenti e un aumento delle disuguaglianze. Così come riconoscere una competenza regionale esclusiva su materie di rilevanza strategica, e non suscettibili di frazionamento territoriale, rappresenterebbe la rinuncia ad un governo nazionale e unitario delle politiche economiche, industriali e di sviluppo del Paese. “ Su alcune materie, poi, la polemica è divampata: per esempio l’istruzione, al punto che molti sostengono che non sia detto che la materia sarà mai effettivamente devoluta. Assai discussa anche la competenza sull’energia e le sue reti. Fermo restando che «da ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» è già molto accesa la discussione sul fondo di perequazione che si renderà necessario per la «promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale e della rimozione degli squilibri economici e sociali». Ancora Michele Ainis ha posto con molta forza la questione dei livelli essenziali di prestazioni, cioè i diritti sociali e civili che la Costituzione (art.117 secondo comma lettera m) garantisce uguali su tutto il territorio nazionale.
La dottrina prevalente li riconduce almeno a quattro ambiti:
-diritti connessi all'istruzione ed alla formazione;
-diritti connessi alla salute;
-diritti connessi all'assistenza sociale ;
-diritti connessi alla mobilità ed al trasporto.
La posizione nettamente contraria si fonda (Ainis ed altri) sul fatto che i Lep andranno definiti “nell’ambito degli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente”(legge n. 197 del 2022). Si tratterà perciò di livelli minimi, senza maggiori investimenti, lasciando a stecchetto i poveri (le Regioni del Sud), ma permettendo d’ingrassare ai ricchi.” Inoltre “nel ddl Calderoli la procedura per determinare i Lep è uno slalom gigante, che scivola fra cabine di regia e conferenze unificate, ma in ultimo taglia il traguardo con un Dpcm, un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che taglia sostanzialmente fuori il Parlamento”. Il Dpcm peraltro non è impugnabile dinanzi alla Corte Costituzionale. Il nodo dei Livelli essenziali delle prestazioni è irrisolto. Il testo approvato in Consiglio dei Ministri, infatti, prevede che il trasferimento delle competenze alle Regioni avverrà soltanto dopo la “determinazione” dei relativi fabbisogni e costi standard (esempio: i trasporti per disabili, la siringa in ospedale). Primo problema: non ci sono risorse. Determinare i Lep su carta, non significa finanziarli: vera urgenza per regioni gravate da disuguaglianze. Secondo: i Lep si fissano, dice il ddl, con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri : un atto di urgenza, assunto in sede politica, a differenza di quanto chiede la Costituzione (che predilige la legge dello Stato). La “spesa storica”, penalizzante per il Mezzogiorno, scomparsa dalla bozza, ora torna dalla finestra. Nella relazione che accompagna il disegno di legge, si afferma infatti che la cabina di regia che dovrà fissare i Lep, entro un anno, estenderà la sua ricognizione «alla spesa storica» sostenuta dallo Stato nei vari territori.
Significa che le regioni che assorbivano meno fondi ne avranno di meno, mentre saranno privilegiate quelle che hanno sempre ottenuto più risorse, in ragione dei maggiori servizi garantiti per i diritti civili e sociali. In un'intervista su Rai tre il costituzionalista siciliano Giuseppe Verde ha segnalato che l'introduzione dell'autonomia differenziata produrrebbe effetti rilevanti anche sulla struttura dell'autonomia speciale della Regione Siciliana, anche in relazione ai persistenti ritardi nella revisione dello Statuto. Da questo punto di vista è scarsamente comprensibile il parere acriticamente positivo espresso dal presidente Renato Schifani, a differenza di altri leader delle Regioni meridionali, rispetto al ddl Calderoli.
Uno dei più noti economisti meridionali, Gianfranco Viesti, ha recentemente scritto a proposito della proposta che “si tratta di un profondo sconvolgimento che apre le porte ad un paese gestito in maniera completamente diversa ...Bisognerebbe fare una pausa e ricominciare daccapo. (mettere al) bando le forzature politiche ..ed esaminare con pragmatismo la situazione per valutare le soluzioni più efficienti” rispetto ad una proposta che rischia di spaccare in due l'Italia ed aumentare a dismisura le diseguaglianze già tanto cresciute negli anni della pandemia e della crisi economica.
di Franco Garufi
Cos'è l'autonomia differenziata? E' bene aver chiaro il perimetro di ciò che si sta discutendo perché il tema è di estrema delicatezza, capace di condizionare negativamente le sorti della parte più debole del Paese, il Mezzogiorno e di pregiudicare fondamentali principi di solidarietà e coesione sociale e territoriale. L'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, come riformato nel 2001, prevede la possibilità di attribuire particolari ambiti di autonomia alle Regioni a statuto ordinario (c.d."regionalismo differenziato" o "regionalismo asimmetrico", in quanto consente ad alcune di esse di dotarsi di poteri diversi dalle altre). Ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale (art. 116, primo comma), il testo del terzo comma dell'articolo 116 recita: "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell'articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all'organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 (“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell'equilibrio dei rispettivi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione Europea...”) delle materie nelle quali possono essere riconosciute tali forme ulteriori di autonomia.
Con tale procedimento possono essere attribuite alle Regioni che ne facciano richiesta tutte le materie che l'articolo 117, terzo comma, attribuisce alla competenza legislativa concorrente; un ulteriore limitato numero di materie riservate dallo stesso articolo 117 (secondo comma) alla competenza legislativa esclusiva dello Stato: organizzazione della giustizia di pace; norme generali sull'istruzione; tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali. L'attribuzione di tali forme rafforzate di autonomia deve essere stabilita con legge rinforzata, che, dal punto di vista sostanziale, è formulata sulla base di un'intesa fra lo Stato e la Regione, acquisito il parere degli enti locali interessati, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione in tema di autonomia finanziaria, mentre, dal punto di vista procedurale, è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, senza necessità di doppie letture non trattandosi di norma di rango costituzionale. Il ddl dato approvato ieri dà attuazione a quanto previsto dalla riforma costituzionale del 2001 (titolo V); le Camere tuttavia dovranno esprimersi in due distinti momenti. Una prima volta sulla legge di attuazione dopo che essa abbia ricevuto il definitivo via libera del Consiglio dei ministri. In un secondo momento, il Parlamento sarà chiamato a esprimersi sull’intesa preliminare che sarà raggiunta tra lo Stato e ciascuna Regione.
L’intero percorso è concentrato tutto sulla concertazione tra governo e potere locale. La Regione richiede l’Autonomia per il numero di materie che decide (una, diverse, tutte e 23). Si aprirà poi il percorso dell'Intesa tra lo Stato e la singola Regione: ogni intesa porterà in calce due firme, quella del premier e quella del presidente della Regione. A quel punto l’accordo tornerà in Parlamento che deciderà a maggioranza assoluta senza potere di emendare l'Intesa. Insomma l'autonomia differenziata consiste nella possibilità per ciascuna Regione di chiedere allo Stato nuove funzioni insieme alla risorse «umane, strumentali e finanziarie» per svolgere adeguatamente tali compiti. Il disegno di legge approvato ieri in Consiglio dei ministri definisce «i principi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di Autonomia» nonché le «modalità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione». È insomma, anche, una sorta di programma di quanto accadrà nei prossimi mesi. Secondo il ministro Roberto Calderoli l’iter richiederà circa un anno.
Vediamo su “cosa” si eserciterà l'autonomia differenziata.
Essa comprende 23 materie:
-rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni;
-commercio con l'estero;
-tutela e sicurezza del lavoro;
-istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
-professioni;
-ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi;
-tutela della salute;
-alimentazione;
-ordinamento sportivo;
-protezione civile;
-governo del territorio;
-porti e aeroporti civili;
-grandi reti di trasporto e di navigazione;
-ordinamento della comunicazione;
-produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia;
-previdenza complementare e integrativa;]
-coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
-valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; -casse di risparmio, casse rurali.
La prima criticità, evidenziata anche dal costituzionalista Michele Ainis, riguarda proprio l'elenco delle materie ed il rischio che si crei una sorta di patchwork istituzionale. Nel 2016 la riforma costituzionale tentata dal governo Renzi sforbiciava quest’elenco di materie, e pretendeva inoltre che la Regione interessata avesse i conti in ordine. Adesso nessun limite, nessuna condizione. Ogni Regione può chiedere l’universo mondo, anche se c’è un commissariamento sulla materia che richiede. Sicché “l’autonomia differenziata prevista dall’articolo 116 della Costituzione – che è norma eccezionale, concettualmente ristretta a pochi casi, a poche discipline – viene interpretata come regola, sovvertendo il rapporto fra Stato e Regioni.”
C'è inoltre, come ha fatto rilevare la Cgil, la concreta possibilità che l'attuazione della riforma con le modalità proposte ed a risorse invariate si traduca in un “ attacco all’unitarietà dei diritti sociali, destinato a produrre una cristallizzazione dei divari esistenti e un aumento delle disuguaglianze. Così come riconoscere una competenza regionale esclusiva su materie di rilevanza strategica, e non suscettibili di frazionamento territoriale, rappresenterebbe la rinuncia ad un governo nazionale e unitario delle politiche economiche, industriali e di sviluppo del Paese. “ Su alcune materie, poi, la polemica è divampata: per esempio l’istruzione, al punto che molti sostengono che non sia detto che la materia sarà mai effettivamente devoluta. Assai discussa anche la competenza sull’energia e le sue reti. Fermo restando che «da ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» è già molto accesa la discussione sul fondo di perequazione che si renderà necessario per la «promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale e della rimozione degli squilibri economici e sociali». Ancora Michele Ainis ha posto con molta forza la questione dei livelli essenziali di prestazioni, cioè i diritti sociali e civili che la Costituzione (art.117 secondo comma lettera m) garantisce uguali su tutto il territorio nazionale.
La dottrina prevalente li riconduce almeno a quattro ambiti:
-diritti connessi all'istruzione ed alla formazione;
-diritti connessi alla salute;
-diritti connessi all'assistenza sociale ;
-diritti connessi alla mobilità ed al trasporto.
La posizione nettamente contraria si fonda (Ainis ed altri) sul fatto che i Lep andranno definiti “nell’ambito degli stanziamenti di bilancio a legislazione vigente”(legge n. 197 del 2022). Si tratterà perciò di livelli minimi, senza maggiori investimenti, lasciando a stecchetto i poveri (le Regioni del Sud), ma permettendo d’ingrassare ai ricchi.” Inoltre “nel ddl Calderoli la procedura per determinare i Lep è uno slalom gigante, che scivola fra cabine di regia e conferenze unificate, ma in ultimo taglia il traguardo con un Dpcm, un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che taglia sostanzialmente fuori il Parlamento”. Il Dpcm peraltro non è impugnabile dinanzi alla Corte Costituzionale. Il nodo dei Livelli essenziali delle prestazioni è irrisolto. Il testo approvato in Consiglio dei Ministri, infatti, prevede che il trasferimento delle competenze alle Regioni avverrà soltanto dopo la “determinazione” dei relativi fabbisogni e costi standard (esempio: i trasporti per disabili, la siringa in ospedale). Primo problema: non ci sono risorse. Determinare i Lep su carta, non significa finanziarli: vera urgenza per regioni gravate da disuguaglianze. Secondo: i Lep si fissano, dice il ddl, con decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri : un atto di urgenza, assunto in sede politica, a differenza di quanto chiede la Costituzione (che predilige la legge dello Stato). La “spesa storica”, penalizzante per il Mezzogiorno, scomparsa dalla bozza, ora torna dalla finestra. Nella relazione che accompagna il disegno di legge, si afferma infatti che la cabina di regia che dovrà fissare i Lep, entro un anno, estenderà la sua ricognizione «alla spesa storica» sostenuta dallo Stato nei vari territori.
Significa che le regioni che assorbivano meno fondi ne avranno di meno, mentre saranno privilegiate quelle che hanno sempre ottenuto più risorse, in ragione dei maggiori servizi garantiti per i diritti civili e sociali. In un'intervista su Rai tre il costituzionalista siciliano Giuseppe Verde ha segnalato che l'introduzione dell'autonomia differenziata produrrebbe effetti rilevanti anche sulla struttura dell'autonomia speciale della Regione Siciliana, anche in relazione ai persistenti ritardi nella revisione dello Statuto. Da questo punto di vista è scarsamente comprensibile il parere acriticamente positivo espresso dal presidente Renato Schifani, a differenza di altri leader delle Regioni meridionali, rispetto al ddl Calderoli.
Uno dei più noti economisti meridionali, Gianfranco Viesti, ha recentemente scritto a proposito della proposta che “si tratta di un profondo sconvolgimento che apre le porte ad un paese gestito in maniera completamente diversa ...Bisognerebbe fare una pausa e ricominciare daccapo. (mettere al) bando le forzature politiche ..ed esaminare con pragmatismo la situazione per valutare le soluzioni più efficienti” rispetto ad una proposta che rischia di spaccare in due l'Italia ed aumentare a dismisura le diseguaglianze già tanto cresciute negli anni della pandemia e della crisi economica.
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