Il sorriso di don Pino Puglisi, ai killer disse: "Vi aspettavo"

Società | 13 settembre 2023
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Venne ucciso nel giorno del suo 56° compleanno, il 15 settembre del 1993. Era il parroco del quartiere Brancaccio a Palermo e il suo nome era Giuseppe Puglisi, detto Pino. Ai killer, che furono mandati dai boss Giuseppe e Filippo Graviano, sorrise e disse: "Me l'aspettavo". Una missione di morte ricostruita nel dettaglio dai due sicari oggi collaboratori di giustizia e con un particolare venuto alla mente ad uno dei due durante un confronto: una vincita al lotto «grazie» a don Pino Puglisi.

Padre Puglisi sorrise ai suoi carnefici, un sorriso che uno dei suoi assassini oggi pentito, dice di non dimenticare mai. Un sorriso che ’U Tignusu, Gaspare Spatuzza, l’uomo che ha permesso la riapertura delle indagini sulla strage di via D’Amelio e confermato le dichiarazioni di Salvatore Grigoli, colui che materialmente sparò il colpo di pistola che uccise il sacerdote.

Spatuzza ha anche aggiunto dei particolari che erano inediti. Una vicenda ritornata nella mente del pentito di Brancaccio durante un confronto che ha tenuto con un altro collaborante, Cosimo D’Amato, il pescatore di Porticello condannato per avere fornito le bombe della seconda guerra mondiale poi utilizzate per compiere gli attentati di Capaci, di via D’Amelio e quelli di Milano, Roma e Firenze. I due si sono «confrontati» davanti ai magistrati di Caltanissetta, all’epoca guidati dal procuratore Sergio Lari. Quest’ultimo avrebbe «punzecchiato» i due collaboranti sul ruolo avuto nel recupero delle bombe dal mare palermitano di Cosimo Lo Nigro, cugino di D’Amato e «collega» negli omicidi e nelle stragi di Spatuzza. I ricordi dei due erano in parte contrastanti sul mezzo utilizzato da Lo Nigro per recarsi a Porticello, o meglio di una motocicletta. È a quel punto che Spatuzza getta una frase: «C’è tutta una storia che...». I magistrati attendono il seguito e ’U Tignusu continua: «Che ci siamo giocati i numeri, con i soldi del povero beato don Puglisi, ci siamo giocati i numeri, di questa moto e abbiamo preso anche, al lotto, abbiamo preso la vincita». Ecco, perché, Spatuzza ricorda bene quella moto, di proprietà di Cosimo Lo Nigro, anche lui come Spatuzza assassino di padre Puglisi. Il procuratore Lari vuole saperne di più: «Che numeri vi siete giocati?» chiede. Altri magistrati presenti chiedono: «Con i soldi che avete preso a padre Puglisi?». «Non li abbiamo rubati» precisa il pentito e ancora: «Quei soldi per noi rappresentavano... erano maledetti, ma, nessuno si poteva impossessare dei soldi, quindi, che cosa dovevamo fare? Abbiamo deciso di...con Cosimo Lo Nigro di comprare, di investirli, di giocarli al lotto, di cui abbiamo preso, poi la vincita l’abbiamo suddivisa. Al lotto avevamo giocato i numeri della targa della moto». I soldi di cui parla Spatuzza fu proprio lui a prenderli a padre Puglisi. Gli si avvicinò, gli mise la mano nella mano e gli prese il borsello. E gli disse piano: «Padre, questa è una rapina». Il parroco si girò, lo guardò, sorrise e disse: «Me l’aspettavo». Quel borsello rimase nelle mani del commando che si allontanò rapidamente dal luogo dell'agguato. Il loro obiettivo, infatti, era inscenare una rapina e depistare le indagini sul delitto.

Da quel Borsello Spatuzza prelevò le marche della patente del sacerdote (utili per contraffare qualche documento) e due banconote da centomila lire, un'offerta che il sacerdote aveva avuto quel giorno per il Centro Padre Nostro.

Papa Francesco, durante la celebrazione per la sua beatificazione, il 26 maggio del 2013 a Palermo disse: "Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il vangelo vissuto li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà, però, è lui che ha vinto".

Don Puglisi era nato a Brancaccio. Divenne sacerdote a 22 anni. Fu parroco di Godrano dal 1970 al '78 e in quel paese vi era una feroce lotta tra due famiglie mafiose. L'opera di evangelizzazione del prete riuscì a far riconciliare le due famiglie.

A Brancaccio ritornò da parroco il 29 settembre 1990 e vi rimase fino alla morte. Era sera quando venne assassinato. Stava entrando nella sua abitazione dopo essere sceso dall'auto. Qualcuno lo chiamò e lui si voltò, mentre qualcun altro gli scivolò alle spalle e gli sparò un colpo di pistola alla nuca.

A compiere l'agguato furono Salvatore Grigoli e Gaspare Spatuzza, oggi entrambi collaboratori di giustizia. Fu Grigoli ad esplodere il colpo di pistola mentre Spatuzza prendeva il borsello del sacerdote mentre gli diceva "questa è una rapina".

Per i giudici il "positivo percorso intrapreso" porta a concludere che Spatuzza ha avuto un "sicuro ravvedimento". Su di lui è intervenuto anche don Massimiliano De Simone, cappellano del carcere de L'Aquila, che ha avuto per circa otto mesi, colloqui frequenti con il killer di mafia. "E' stato lui a cercarmi - ha sostenuto il sacerdote - quando è arrivato a L'Aquila aveva già iniziato un percorso, con il cappellano del carcere di Ascoli Piceno da cui proveniva. Mi ha voluto raccontare tutta la sua vita. Colloqui lunghi, ogni volta tre ore. Un giorno sì e un giorno no. Dialoghi intensi, spesso interrotti dal pianto. Ho visto con i miei occhi il rammarico e la vergogna di Spatuzza mentre raccontava tutto il male compiuto nella sua lunga carriera criminale".

Sull'uccisione di don Pino Puglisi, don De Simone aggiunge: "Mi ha raccontato che qualche giorno prima era stato mandato a fare un sopralluogo, per preparare l'esecuzione. E già allora era rimasto colpito dal sorriso mite di quel piccolo prete indifeso. Poi quello stesso sorriso lo rivide il giorno dell'omicidio mentre il suo complice, Salvatore Grigoli, stava per premere il grilletto.

 di Giuseppe Martorana

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