Il rispetto della donna è il rispetto della persona, contro ogni prevaricazione

Junior | 7 febbraio 2023
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Le riflessioni degli studenti dell'ITI A. Pacinotti di Fondi aderenti al progetto educativo del Centro Pio la Torre sulle tematiche affrontate nella conferenza sulla violenza di genere nella società civile e nelle organizzazioni mafiose. Docenti Carta, Corpolongo e Vecchio.

Francesco Maria Anselmo 5B LSA
La III conferenza del Progetto Educativo Antimafia 2022-2023, tenutasi presso il Centro Studi Pio La Torre a Palermo il giorno 23 Gennaio 2023, si è basata sul delicato e particolarmente sentito tema della violenza di genere nella società civile e negli ambiti mafiosi. Abbiamo avuto modo di ascoltare le voci della sociologa UNIPA Alessandra Dino e dell’avvocatessa Monica Genovese, che attraverso dati riportati e testimonianze hanno saputo affrontare il tema con grande sensibilità. La prima ad esporsi è stata Alessandra Dino che ha preso in considerazione una serie di dati ottenuti a seguito di ricerche, da cui inizialmente si può osservare come la percentuale di omicidi per quanto riguarda il genere femminile non sia diminuita con il passare degli anni, a differenza della percentuale di omicidi in generale. La violenza di genere non è episodica, è diffusa in tutte le classi sociali anche se con modalità diverse ed in tutte le fasce di età, come se uccidere fosse banale e di facile accesso sfociando di conseguenza in una disuguaglianza sociale in cui l’uomo si sente in una condizione di superiorità rispetto alla donna, fortunatamente questo non accade in tutto il mondo ma l’idea che questa concezione esista ci deve far riflettere. È possibile vedere come il corpo stesso della donna diventi il luogo in cui avvengono le violenze, viene chiamato fenomeno della “localizzazione”, che riguarda anche i contesti mafiosi e consiste nel voler devastare il corpo della donna rendendolo irriconoscibile. Ci vengono elencati gli interventi di legge che nel corso degli anni sono stati introdotti, differenziando ulteriormente l’uomo dalla donna, infatti è ormai necessario distinguere un atto di violenza se provocato ai danni di un uomo o di una donna. Un dato che ho ritenuto particolarmente interessante e preoccupante al tempo stesso è quello che emerge dal riscontro basato sulle condizioni mentali degli uomini che si sono macchiati di femminicidio, che ci mostra come solo il 7.8% dei colpevoli è risultato portatore di disturbi mentali, di conseguenza l’uomo che uccide è prevalentemente sano. I contesti mafiosi tendono a far credere che la donna non si tocchi e sia sostanzialmente sacra, ma in realtà il numero di violenze che avvengono all’interno di essi è inimmaginabile ed inoltre hanno caratteri di stampo simbolico, come la defenestrazione di Cosa Nostra o l’ingestione di acido da parte della ‘Ndrangheta per rimarcare l’errore commesso dalla vittima nel parlare alle autorità. La relatrice Dino conclude dicendo che le soluzioni potrebbero essere identificate in un passo avanti di tipo culturale, dove le figure stereotipiche dell’uomo e della donna vengano destrutturate e rivalutate, opinione con cui mi trovo perfettamente d’accordo perché al giorno d’oggi è inammissibile una concezione basata su modelli classici, totalmente distanti dal mondo che viviamo attualmente. La parola passa successivamente all’avvocatessa Monica Genovese che esordisce esprimendo il suo dissenso sul tempismo della legislatura nei confronti della violenza di genere, considerandolo sempre un po’ ritardatario ed inoltre pronuncia delle parole degne di nota in cui dice che lo Stato e la giustizia perdono già nel momento in cui viene processato un uomo che ha ucciso la moglie, la fidanzata ecc. considerando le pene minime previste fino a 25 anni fa circa. La Convenzione di Istanbul (a cui l’Italia ha aderito nel 2013) ha espresso la condizione secondo cui le donne debbano prevedere un’eventuale molestia, prevenzione che si basa proprio su un’innovazione subculturale. Altra componente complessa della lotta alla violenza di genere è la complicità da parte della vittima stessa con il suo carnefice, per vari motivi come economici o nel peggiore dei casi di continua minaccia e impossibilità da parte della donna di essere libera o di denunciare, a causa di continui pedinamenti ed intimorimenti. La concezione di differenza tra uomo e donna nei ruoli è alimentata ulteriormente nei contesti di mafia, che come possiamo sentire dalle parole della relatrice, può giocare anche a favore delle associazioni proprio perché una donna non è ritenuta sufficiente a ricoprire un ruolo malavitoso. Purtroppo la maggior parte delle donne facenti parte di associazioni mafiose è vittima di violenze, proprio perché l’uomo mafioso ha bisogno di dimostrare amore, protezione, educazione, passione attraverso la supremazia sessuale, e la donna si trova in una situazione particolarmente complessa e pericolosa data la complicità di chi si ha vicino, magari come marito. La avvocatessa suggerisce ancora una volta una rivoluzione culturale certamente da parte dell’uomo, ma anche della donna che deve imparare a dire di no e ad analizzare la figura che si pone davanti ad essa. Il presidente emerito del Centro Studi Pio La Torre Vito Lo Monaco ha successivamente preso la parola avviandoci verso la fine della conferenza in cui le preparatissime relatrici già state protagoniste della diretta si sono dedicate a dare delle risposte alle numerosissime domande poste dagli studenti di tutta Italia. Non è sicuramente la prima volta che ci troviamo ad affrontare questo tema estremamente preoccupante, ma nonostante questo le relatrici sono state davvero abili a non renderlo ripetitivo, ma anzi sono riuscite ad aggiungere nuove sfaccettature necessarie a rendersi conto sempre di più delle situazioni che magari si verificano attorno a noi, costringendoci di conseguenza a tenere gli occhi aperti e a non far cadere nell’oblio il tema, credendo che episodi del genere accadano sempre e solo agli altri.



Di Manno Raffaella, 5ACH
In questa conferenza è stato trattato l’argomento del femminicidio, che spesso e volentieri avviene proprio all’interno di contesti mafiosi. La violenza di genere soltanto di recente è stata definita tale, nonostante questa violenza nel tempo va solo che peggiorando e provocando un accrescimento di vittime sia nel contesto mafioso, sia in contesti familiari, lavorativi ecc. . Proprio nel periodo del covid-19 dove siamo stati costretti a restare chiusi all’interno delle nostre abitazioni, sono diminuiti moltissimo tutti i tipi di violenze come rapine, furti di auto e altro, ma non c’è stato un reale calo drastico della violenza di genere, che addirittura è aumentata proprio all’interno di cerchie familiari, dato le misure di sicurezza e di confine poste dallo Stato, che purtroppo hanno anche costretto moltissime donne a restare chiuse in casa con uomini che le recavano danni fisici e mentali, senza possibilità di fuga. Un caso che ci ha scombussolato e che fu portato in sentenza fu quello di un figlio che uccise sua madre poiché gli era arrivata una pizza non di suo gusto, e chiaramente il problema reale non era la pizza sbagliata, ma bensì il problema si trova insidiato all’interno della mente dell’uomo di poter prevalere sulla donna che deve solo obbedire e se sbaglia, come in questo caso, deve pagarla; la violenza di genere nasce proprio a causa di questo motivo, esiste anche la violenza della donna contro l’uomo e questo è certo, ma guardando ai dati statistici come quelli del 2021 dove si registrano 302 omicidi su 100.000 abitanti, capiamo come sia nettamente diverso e sbagliato il pensiero di alcuni ‘uomini’, se così possono definirsi, poiché appunto come dicevo credono di poter prevalere sulla donna, che in questi casi si sente in gabbia e non ha modo di liberarsi se non stare alle regole dell’uomo. Il dato analitico in cui le vittime di femminicidio sono nettamente superiori rispetto agli uomini visti come vittima è quello dell’Intimate Partner Violence, e il motivo per cui il femminicidio debba essere studiato in maniera diversa è proprio perché mentre gli uomini mediamente sono uccisi all’84% da persone sconosciute, al contrario delle donne che vengono uccise la maggior parte delle volte per mano del proprio partner, da soggetti che conoscevano o da parenti. È difficile da sanzionare la violenza di genere in reati mafiosi dove ci sono reati più gravi, e la mafia spesso utilizza l’ingestione di acido, proprio a voler colpire la parola che ha violato la regola del silenzio per le donne che collaborano con la polizia, che proprio nel contesto mafioso sono doppiamente isolate rispetto ad un contesto famigliare, e dunque dobbiamo lottare per proteggere queste donne ampliando e monitorando soprattutto le case di rifugio, donandogli un tipo di alternativa alla vita che stanno affrontando. È sbagliata anche solo l’idea che in questi casi debba essere la donna a dover lasciare casa per poter sopravvivere, per potersi allontanare dal mostro che ormai chissà da quanto abusa di loro senza una vera dignità, ma credo che il problema sia all’apice, ovvero bisogna prevenire la violenza, educando la nuova generazione che non è normale essere ossessionati da una persona, non è giusto essere calpestato e denigrato da una persona e restare in silenzio, non rendiamo queste anomalie la quotidianità, i ragazzi dovrebbero crescere in un contesto famigliare sereno, dove ogni problema deve essere risolto maturamente, e non creare traumi infantili dove addirittura bambini assistono alla denigrazione delle proprie madri, o peggio ancora vengono picchiati anche loro. Il diritto deve giocare le proprie carte dando delle regole, anche se in maniera tardiva, intervenendo su questi ambiti che sono oltretutto difficili da normare, soprattutto perché il diritto è un assetto della società che ‘nasce’ al maschile, quindi anche questa mascolinità del diritto e l’accesso delle donne a ruoli come quelli della magistratura è cosa molto recente, ed è per questo che nonostante la nostra costituzione attraverso le madri costituenti abbiamo imposto l’accesso dell’ uguaglianza tra uomini e donne, tuttavia è chiaro che in una struttura creata dall’uomo sia difficile da scalpitare un’idea, come quella della violenza, dunque il diritto lavora ma è sicuro che si adegui in modo molto lento. È importante comprendere la delicatezza del tema affrontato, e dunque aprire gli occhi alla reale situazione in cui giornalmente viviamo, non è chiaro ancora a tutti quanto questo argomento tocchi la vita di tutti noi, le violenze di genere accadono giornalmente, e dobbiamo fermare quest’ingiustizia sociale per cui l’uomo prevarichi la donna in qualsiasi azione, scelta o parola. Anche solo restare in silenzio ci rende partecipi di queste violenze, perché restare fermi senza far nulla se possiamo salvare la vita di migliaia di donne, ragazze e bambine? Pensiamo al legame indissolubile che c’è tra giustizia e verità, educhiamo i nostri futuri figli a vivere senza cercare di possedere un’altra persona, che sia essa uomo o donna, cerchiamo di salvare i nostri futuri figli da questi orchi, privi di cuore e sporchi nell’anima, e proviamo a non crescerne nemmeno uno che sia convinto che prevalere sull’altro sia la soluzione ad ogni problema, perché non lo è, mai.



Martina Mirabella 3°A Chimico
Con l’espressione violenza di genere si intende tutte quelle forme di abuso nei confronti di persone discriminate in base al sesso e sono una vera e propria violazione dei diritti umani. Come mai nel corso degli anni c’è stata una diminuzione degli omicidi, ma non diminuisce la violenza sulle donne? Le motivazioni sono tante ma non facilmente classificabili ed è un problema sociale, non personale, bisogna superare la credenza che vede le donne involontariamente complici, perché in qualche modo tendono a giustificarla. Il problema è sicuramente il modo in cui vengono costruiti i rapporti all’interno della società tra uomini e donne fino a diventare diseguaglianza. Sicuramente il corto circuito nasce da uno sbilanciamento di potere tra uomini e donne, in questo caso quando la donna ha più potere dell’uomo e quest’ultimi impreparati, si sentono minacciati, così scattano le forme di violenza. Ma la violenza viene esercitata anche per forme di maschilismo che sono figli di una cultura patriarcale ancora oggi esistente. Spesso il luogo dove si consumano è proprio la casa, le armi utilizzate sono nella maggior parte dei casi da taglio e con colluttazioni personali che testimoniano brutalità, spesso gli omicidi sono opera dei partner e di persone che le vittime conoscono. Frequentemente chi maltratta e compie questi atti disumani non è alcolizzato, o pazzo o un soggetto criminale e solo in alcuni casi ha precedenti penali, pochi i casi già di violenze di questo genere e purtroppo molte quelle pregresse, che non vengono denunciate. Spesso è l’uomo con chi vive la donna piuttosto che la persona che lascia o viene lasciata e in alcuni casi chi commette questi omicidi poi si suicida, questo è un dato in aumento negli ultimi anni. Nella normalità si attribuiscono questi atti violenti a gelosie e tormentate passioni, non a rabbia ma a volontà improvvisa e diverse sentenze avvallano questa teoria. Ma mi chiedo anche come è possibile dare attenuanti a chi maltratta e toglie la vita a un altro essere umano, è ingiustificabile. Quindi ci viene da pensare, se anche i giudici che pur condannando questi gesti utilizzano la prudenza nel sentenziarli non si abbasseranno mai le soglie degli omicidi nei confronti delle donne. Per quanto riguarda la violenza di genere nei contesti mafiosi si registra una grande percentuale di violenze sessuali. Non è vero che le donne in questi contesti non si toccano, anzi sono sottoposte a una maggiore brutalità e con le collaboratrici di giustizia, che quindi hanno violato la regola del silenzio vengono punite facendole buttare giù dalla finestra e con l’ingestione dell’acido, in questo caso proprio a colpire la parola. Anche in questo contesto le donne che subiscono violenza, tendono a giustificare l’uomo, chiaramente da parte della donna denunciare una violenza in questo contesto presuppone anche raccontare tutti i segreti che coinvolgono l’uomo nell’ambito mafioso. Temono che salti quell’equilibrio legato a questo, perché entrano in gioco la famiglia, l’onore, la fedeltà che è solo apparenza perché tutti i giorni vengono traditi questi principi. In generale possiamo dire che per essere più incisivi nel combattere queste violenze bisogna cercare di cambiare proprio quella cultura patriarcale, di cui parlavamo prima e di educare prima di tutto le nuove generazioni alla sensibilizzazione e al riconoscimento delle pari opportunità a cui ogni essere umano ha diritto.

FRANCESCA CAPOTOSTO IV B LSA


La violenza sembra sempre un argomento così lontano da ognuno di noi, soprattutto se si parla di violenza domestica, ma i tristi dati oggigiorno parlano chiaro e, in fondo, non è sempre così.
Ѐ un problema generale, che va affrontato aumentando la prevenzione, le punizioni ed il senso civico.
La videoconferenza sull’argomento mi ha palesato un mondo veramente triste. Ho iniziato ad ascoltare gli annunci mattutini del telegiornale e sono rimasta davvero stupita dai femminicidi o forme di violenza denunciati giorno per giorno. Vogliamo davvero continuare a perdere così tante vite ingiustamente?
Anche se, come sostenuto dalla prof.ssa Dino e dall’avvocatessa Genovese, è difficile prevedere chi potrebbe essere l’uomo violento non potendo stipularne un’ identità generale, una grande campagna di sensibilizzazione nelle scuole, nei centri sportivi e sui social network, darebbe un grande aiuto alla comunità intera. Creare una coscienza comune permetterebbe alle ragazze di essere più obiettive e consapevoli di poter denunciare senza paura una violenza inaccettabile in ogni caso, e spingerebbe poi i ragazzi ad essere più consapevoli delle loro azioni e delle conseguenze che hanno sulla persona.
In passato l’argomento dei femminicidi era tralasciato quasi del tutto; si parlava di uccisione di “donne in quanto tali” o di carnefici del tutto assolti a seguito della violenza sulla persona; solo a partre dal 1996 troviamo un piccolo aiuto da parte della legge, che ha spostato il reato di abuso nella sezione del codice penale in cui si condanna per violazione dei diritti della persona.
Anche se solo da poco siamo riusciti ad avere una maggior tutela per le donne maltrattate e più giustizia per le vittime, ci sono alcuni casi in cui la legge non è abbastanza; una mancanza di sostegno economico o psicologico, o un mancato controllo dell’aggressore da parte delle autorità sarebbe fatale per la vita di chi denuncia.
Inoltre, con una maggiore conoscenza, possiamo combattere la violenza psicologica e fisica, portando le donne a riconoscere la differenza tra passione e violenza, evitando così giustificazione o perdono ai continui maltrattamenti.
Non bisogna mai tentare di scusare nessuno, che sia per pena, per bisogno, per dipendenza affettiva o per amore; i gesti non sono mai casuali ed uno schiaffo vale più delle scuse che seguono.

ENRICO PIO GENTILE IV B LSA
Nei giorni scorsi in classe abbiamo trattato un tema molto delicato, che ha toccato gli animi e i cuori di tutti i presenti, suscitando emozioni contrastanti quali rabbia, dolore e impotenza, verso un argomento sempre più presente nei notiziari nella pagina di cronaca nera, la violenza sulle donne e la violenza di genere.
La violenza di genere è una violenza strutturale, capillare, sistemica, complessa e trasversale a tutte le classi sociali, infatti essa non risparmia nessuno, colpisce talvolta in luoghi che vengono reputati posti sicuri come casa, è constatato che le violenze domestiche sono diventate vere e proprie forme di comunicazioni tra mariti o compagni che sfogano le proprie frustrazioni contro le compagne di vita, le quali accettano, loro malgrado, queste sopraffazioni senza denunciare, innescando un vortice vizioso in cui la donna crede di meritare gli abusi per qualche mancanza. Di conseguenza, le statistiche hanno difficoltà a raccogliere la reale entità del fenomeno.
Altro contesto in cui per anni la donna è stata vittima, sono gli ambienti mafiosi; le donne all'interno di Cosa Nostra per decenni sono state custodi dell'omertà e garanti dei disvalori mafiosi, senza che potessero esprimere i loro pensieri o idee, mamme costrette a vedere i propri figli allevati come violenti, talvolta uccise nel tentativo di salvarli.
Spesso questi atti di coartazione sono dettati, ignorantemente dal concetto di possesso dell’uomo nei confronti delle donne; difatti sradicare gli stereotipi è il primo passo necessario per poter eliminare la dolorosa piaga del femminicidio e dei delitti in famiglia. Occorre imparare a chiamare le cose con il proprio nome, distinguere l’amore dal possesso, la realtà dall’immaginazione, la sostanza all'apparenza.
Anticamera di tutto, vi è una violenza psicologica di base, che tende a segregare la vittima in un tunnel senza uscita, con il carnefice che tende a spaventare con sguardi e parole, denigrare umiliare, e minacciare di violenza fisica o di morte il partner, costringere a sopportare la presenza dell'amante nel domicilio coniugale, colpevolizzare in pubblico e in privato, ridicolizzare e svalutare, e in tantissimi casi negargli un indipendenza economica.
Purtroppo a causa delle poche denunce i dati che vengono divulgati sono sottostimati, però, fortunatamente, grazie alle campagne di divulgazioni nelle scuole e nei centri sociali le giovani donne stanno prendendo consapevolezza che l’unica arma che hanno per difendersi è “la denuncia”, senza vergognarsi, ma avere coscienza di essere vittime, così sempre più numerose decidono di rivolgersi ai centri di ascolto aperti negli ultimi anni, invertendo la rotta. Di grandissima importanza è la preparazione professionale dei centri di ascolto, nei quali medici psicologi intraprendono insieme alla vittima un percorso terapeutico.
Spero che questa esperienza segni nei resti cuori e formi una coscienza civica in cui ognuno di noi bocci e condanni questi tipi di soprusi, che resti indelebile nelle nostre menti le atrocità perpetrate, cosi che in futuro non si commettano più tali crimini.
Linichuk Valeria IV B LSA
Oggigiorno circa un terzo delle donne di tutto il mondo è vittima di violenza, fisica o sessuale, nell’ambito della famiglia o al di fuori di questa. La maggior parte degli atti di violenza avviene tra le mura domestiche, soprattutto da parte del partner, senza distinzione di età, ceto sociale ed economico od etnia. Il primo errore da evitare e pensare che gli stereotipi, le discriminazioni e le violenze di genere non possano riguardare la nostra vita. La violenza degli uomini sulle donne è sempre stata considerata una "questione privata" della famiglia, solo negli ultimi 40 anni si è parlato di questo problema come di un problema di tutta la società. L’uomo che pratica la violenza può essere il fidanzato, il marito, il partner in generale e spesso l’ex partner che non si rassegna al fatto che una relazione sia finita. L’abitudine più comune è quella di giustificare gli episodi di discriminazione o di violenza, cioè trovare una scusa al fatto che un uomo è violento (con le parole o con le mani). Purtroppo, solo una piccola percentuale di tutte le vittime si rivolge alla polizia o alle organizzazioni pubbliche. Ci sono molte ragioni per questo, e una di queste è la mancanza di comprensione di cosa sia esattamente la violenza. Innanzitutto dobbiamo sapere che oltre a quella fisica e sessuale, esistono altri due tipi di violenza: economica (si tratta di divieto di lavoro, studio, gravi restrizioni finanziarie) e psicologica (insulti verbali, minacce, persecuzioni a scopo intimidatorio, costrizione a sentirsi costantemente in colpa, isolamento forzato dal mondo esterno, divieto di incontrare amici e persino parenti). Un altro motivo per cui non tutte le vittime cercano aiuto è che non vogliono e non sono pronte a parlare dei propri problemi e sentimenti. Anche la sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine tra le ragioni per cui le vittime non denunciano. Tante sono le forme di violenza sulle donne e tutte devono essere condannate: nessuno, in nessun modo, deve limitare la libertà di una donna, che deve sempre sentirsi libera e di essere ciò che vuole.

DANIELE DI CIOLLO 3 B Lsa
Nella videoconferenza del Centro studi Pio La Torre, tenutasi lunedì 23 gennaio 2023, è stato trattato un tema molto delicato, cioè quello della violenza di genere nella società civile e nelle organizzazioni mafiose. A partecipare come relatrici sono state Alessandra Dino (sociologa UNIPA) e Monica Genovese (avvocato). A moderare la conferenza è stato Vito Lo Monaco, il presidente onorario del Centro Studi Pio La Torre. La prima a prendere la parola è stata la sociologa Dino che ha descritto il fenomeno e i numeri preoccupanti della violenza di genere in Italia. Il fenomeno è in crescita, infatti, anche se il tasso di omicidi e diminuito, quello dei femminicidi è aumentato e sta aumentando in maniere preoccupante. Nelle mura domestiche iniziano gli abusi, che prima possono essere di tipo verbale e poi diventano fisici. La donna ha paura di riferire il suo dramma ma facendo questo peggiora la situazione, però bisogna comprenderla perché l’amore per quell’uomo che tanto la maltratta è così forte che le impedisce di denunciare. L’aspetto molto toccante è stato quando la sociologa ha descritto alcuni episodi di violenza che illustrano in maniera chiara il fenomeno e come la Sicilia abbia il tasso più alto di femminicidi in Italia. La sociologa ha poi passato la parola all’avvocato Genovese che, riprendendo le parole della Dino, ha parlato del ruolo della donna nelle organizzazione mafiose. La sua figura all’interno di Cosa Nostra è stata opportunatamente oscurata e resa invisibile, infatti ha una posizione di subordinazione all’uomo ed il suo unico compito è quello di far nascere ed educare i futuri discendenti della famiglia. Anche se sembra una vittima della mafia, svolge un ruolo fondamentale nella famiglia mafiosa. Le donne di mafia, infatti, hanno tradizionalmente svolto delle funzioni attive volte a rafforzare il potere delle organizzazioni mafiose, conservando e trasmettendo le regole e i valori di Cosa Nostra, ed educando i figli al loro rispetto. Valori come l’omertà, la virilità, la forza, l’obbedienza cieca a Cosa Nostra sono fondamentali in queste famiglie e se i figli maschi li rispettano vengono amati ed accuditi. Le figlie femmine invece è essenziale che vengano educate ad essere subordinate all’uomo, imparando ad essere passive ed ad ascoltare il maschio in tutto e per tutto. L’ultima differenziazione fatta dalla Genovese è la provenienza o meno della donna da famiglie mafiose. Se è moglie del boss, acquista un valore diverso da quello di subordinazione quando egli viene a mancare perché ucciso, arrestato, oppure diventato collaboratore di giustizia. In questi casi le donne appaiono più conservatrici dei valori mafiosi rispetto agli uomini, addirittura si oppongono alla collaborazione dei figli arrivando a scagliarsi contro chi tradisce la famiglia decidendo di collaborare, colpevoli di aver tradito la regola del silenzio, alla base dell’organizzazione mafiosa. Nel caso che i figli diventano collaboratori, la madre può arrivare a rifiutarli, nel caso sia il marito a diventarlo, i figli vengono utilizzati come ricatto per far ritrarre il marito infame. Prima del termine della conferenza, le relatrici hanno risposto alle domande provenienti dalle diverse scuole collegate, ed infine la parola è andata al presidente Vito Lo Monaco, che ha congedato i partecipanti e ringraziando le relatrici. Con questa conferenza sono venuto a conoscenza della figura della donna mafiosa e del suo ruolo nell’organizzazione. Purtroppo, ero già a conoscenza del fenomeno del femminicidio e di come da un “non vali niente” si possa arrivare a quello che sentiamo nei telegiornali. L’unica cosa di cui non ero a conoscenza era la crudeltà di un uomo, che può arrivare ad uccidere per i motivi più futili, come un’ordinazione della pizza sbagliata o per la sconfitta alla partita di calcetto.
ANTONIO FAIOLA 3B Lsa
Questa volta, il tema trattato dal centro studi “Pio la Torre” è stato quello della violenza di genere. Alessandra Dino e Monica Genovese, due donne che hanno particolarmente a cuore la questione, ci hanno parlato del profilo dell’uomo maltrattante, delle criticità riguardanti la gestione di violenze e femminicidi e del ruolo della donna nell’ambiente mafioso.
Quello della violenza di genere è un tema complesso, un problema che non riguarda solo le donne, ma che si ripercuote sull’intera società. Per violenza di genere si intendono quegli atti di violenza, fisica o psicologica, su una donna in quanto tale, basati su asimmetrie di potere nella coppia: se la donna è autonoma e indipendente, il violentatore sente minacciato il suo ruolo ed esprime il suo potere tramite la violenza fisica; al contrario, in un caso di sottomissione della donna rispetto all’uomo, quest’ultimo ribadisce la sua posizione tramite percosse e violenze psicologiche.
A supporto di questi atti violenti c’è la credenza culturale della “donna che se la cerca”. Credenza che va combattuta: la violenza di genere è un reato brutale e ingiustificabile. Lo Stato si sta muovendo, ma troppo lentamente; solo nel 1996 si toglie il concetto di “delitto d’amore”, spostando i femminicidi nella parte del codice penale riguardante la persona fisica.
Punire l’aggressore, per fortuna, non è l’unico mezzo a nostra disposizione per affrontare la situazione; è proprio nel ’96 che si comincia a dare importanza anche alla prevenzione. Tuttavia, è possibile arginare solo le violenze domestiche, che rappresentano una piccola fetta delle violenze di genere. Laddove ci siano segnali d’allarme può iniziare un meccanismo di difesa, purtroppo inutile in caso di stupri o violenze improvvise, inflitte da sconosciuti.
Per ridurre il numero di femminicidi, sopprimendo le aggressioni ai primi segnali, è necessario innanzitutto ridurre le disuguaglianze nella coppia: bisogna dare la possibilità a tutte le donne di uscire da una relazione senza pensare a eventuali conseguenze economiche. L’istituzione di un maggior numero di case di rifugio è il primo passo per ridurre la dipendenza, e incoraggiare le donne a denunciare l’aggressore. In più, divieti di avvicinamento alla vittima e ai luoghi da lei frequentati rappresentano un’ulteriore sicurezza che possiamo garantire. In maniera più schematica, va adottato il modello “5P”:
1. Prevent (prevenire);
2. Protect (proteggere);
3. Punish (punire l’aggressore);
4. Procede (procedere a supportare la vittima);
5. Promote (parlare del fenomeno, sensibilizzare):
Parlando dell’aggressore: il suo profilo è difficile da individuare. Solo pochi presentano malattie mentali o reati pregressi; nella maggior parte dei casi sono insospettabili. L’unica persona che può riconoscerli come soggetti pericolosi è colei che subisce la violenza; ecco l’importanza di garantire alla donna la facoltà di denunciare in sicurezza, supportandola economicamente.
Analizzando i dati italiani riguardo gli omicidi e i femminicidi, si osserva la lenta diminuzione dei primi, mentre i femminicidi sono in numero spaventosamente costante. La Sicilia è al primo posto per quanto riguarda i femminicidi, e vede un continuo aumento di violenze sessuali. Viene spontaneo pensare che la subcultura mafiosa possa incidere negativamente sulla situazione.
La donna, nella famiglia mafiosa, assume un ruolo di subordinazione al capofamiglia, garante di silenzio e di trasmissione ai figli dei valori e dei segreti familiari. È proprio la concezione della donna come soggetto debole e poco importante a favorire l’aumento dei femminicidi.
Capiamo che quello della violenza di genere è un tema centrale nella nostra società, un cancro che deve essere estirpato, tramite la protezione delle donne, ma soprattutto tramite la sensibilizzazione a riguardo. È solo formando una generazione consapevole e informata che possiamo sperare di abbattere il numero di femminicidi e garantire a donne e ragazze di sentirsi protette e sicure nel nostro Paese.
ANTONIO NARDELLI 3B Lsa

Il giorno 23/01/2023 abbiamo preso parte alla conferenza del centro studi Pio La Torre intitolata “Violenza di genere e violenza criminale in Sicilia”.
È stata un’esperienza molto interessante che, a mio parere, ha arricchito molti di noi ragazzi.
Mi piacerebbe iniziare a discutere di questo evento con le seguenti parole della sociologa Alessandra Dino, dell’Università di Palermo:“La violenza di genere è una violenza strutturale, capillare, sistemica, complessa e trasversale a tutte le classi sociali. Secondo l'ultimo rapporto del ministero dell'Interno sui reati puniti dal cosiddetto “codice rosso” la Sicilia ha un triste primato: con 881 casi è la prima regione per le violazioni dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare, ed è al secondo posto per i casi di “revenge porn”, cioè la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti”.
Credo che sia lecito sottolineare, però, che questi fenomeni non sono esclusivamente tipici della Sicilia, infatti sono estesi non solo in tutta Italia ma anche in tante parti.
Il fatto che più preoccupa è che in alcuni paesi del mondo questi fenomeni di violenza di genere sono ancora giustificati da vere e proprie leggi, come poteva essere il “Delitto d’onore” in Italia fino al 1981.
Però, sembra proprio che invece di migliorare sotto quest’aspetto si vada sempre peggio!
Infatti, “le lesioni permanenti al viso nei primi nove mesi del 2022 sono aumentate del 17% rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente”. Inoltre, ancor più grave è che gli stati prima di scrivere nuove leggi per tutelare le vittime di violenza “ci vadano con i piedi di piombo”.
Infatti, come ci dice l’avvocato Monica Genovese: “Sulla violenza di genere la legge è arrivata sempre un po' in ritardo, il legislatore ha aperto un varco solo nel 1996 con una serie di provvedimenti che poi sono sfociati nell'approvazione del Codice rosso. La convenzione di Istanbul, poi, ha messo in risalto la necessità di passare dalla repressione alla prevenzione dell'abuso. La misura protettiva del ricorso alle case rifugio per le vittime è una conquista in termini di tutela, ma perché costringere le donne a subire un'ulteriore violenza lasciando la propria casa? Una misura cautelare adeguata sarebbe quella di allontanare il maltrattatore”.
Anche un’altra domanda può sorgere lecita, ovvero che ruolo hanno le donne e i bambini in un contesto mafioso?
A questa domanda ci risponde la sociologa Dino con questa affermazione: “Anche nei contesti mafiosi le donne spesso tentato di giustificare l'uomo, lo abbiamo visto con Lea Garofalo e Carmela Iuculano”.
Inoltre, riguardo questa domanda il presidente Lo Monaco ha ricordato oltre al barbaro omicidio del piccolo Giuseppe di Matteo, l'assassinio del pastore Giuseppe Letizia che nel lontano 1947, dodicenne, aveva assistito all'esecuzione del sindacalista Placido Rizzotto.
Tutto ciò è stato sottolineato per smentire lo stereotipo della mafia che “non colpisce” le donne e i bambini.
Ma è possibile prevenire questi fenomeni? “La prevenzione è possibile se ci sono dei reati sentinella, come lo stalking, che precedono il femminicidio, ma occorre una rivoluzione culturale - ha aggiunto la sociologa Dino - in una democrazia compiuta ci devono essere spazi nuovi e liberi dove la violenza possa essere immediatamente riconosciuta”.


LUDOVICA ERCOLE 3A LSA
La società in cui viviamo, la nostra condizione familiare, le tradizioni, i caratteri dei nostri genitori, gli insegnamenti dei professori, dei maestri, degli allenatori e le lezioni apprese dalle esperienze affrontate, sono fattori che influenzano la nostra crescita e il nostro pensiero. In merito a ciò uno studio conosciuto come “L’esperimento del piccolo Albert” dimostrò per la prima volta sull’uomo i principi del comportamentismo e del ricondizionamento, attraverso un processo psicologico sperimentale. Dai risultati si evince che ogni stimolo innesca una reazione e che una serie di episodi negativi uguali, o simili, originano una paura. L’ambiente in cui siamo cresciuti ci aiuta quindi a definirci; questa spiegazione psicologica unita a quella scientifica dimostra con fermezza che non tutti siamo uguali.
Esistono padri di famiglia, lavoratori e uomini di cuore che farebbero di tutto per il bene dei propri figli, per il piacere delle mogli, per conoscenza, cultura e lavoro; al contempo vivono tra noi creature mostruose che si nascondono dietro una maschera e dietro un sorriso. Questi ultimi sono coloro che non si chinano davanti al grido di una donna dolorante e sono gli stessi che sfogano rabbia e dolore uccidendo, violentando e implicando sofferenza agli altri. La donna, virtuoso essere dai lineamenti angelici e dall’intenso e pieno sguardo amorevole, vista da sempre come componente fragile, sensibile ed emotiva della coppia, diviene spesso il capro espiatorio di tali violenze. L’animo guerriero femminile, che per secoli ha lottato contro le disuguaglianze di genere, soccombe alla brutalità dei carnefici. Da poco più di trent’anni, in seguito ad anni e anni di maltrattamenti, è entrato a far parte del nostro vocabolario il termine “femminicidio” (una qualsiasi forma di violenza esercitata ripetutamente e sistematicamente sulle donne). Coloro che si rendono protagonisti di questi particolari delitti sono spesso parenti, coniugi o conoscenti che talvolta, a seguito dell’uccisione, decidono di levarsi la vita.
Sentir parlare di femminicidi fa rabbrividire, ma viverli è un altro tipo di dolore. La parola inizia ad essere vista come un’arma a doppio taglio, i lividi sul corpo iniziano a trasmettere terrore e l’uscita di emergenza sembra ormai non esistere più; l’abitazione che dovrebbe essere “il proprio posto sicuro”, nell’85% dei casi perde tutta la confortevolezza che dovrebbe trasmettere.
La condizione in cui viene posta le causa un enorme dolore fisico e psichico. Sono tante, troppe, coloro che tacciono per paura di alzare la voce e di rischiare così la morte. Esistono tanti mezzi per aiutarle: le denunce in primis, ma il tipo di rapporto di sottomissione che il carnefice impone alla vittima, le impedisce mentalmente di affrontarlo. Non parliamo di debolezza della donna, parliamo invece di inspiegabile violenza da parte del disumano criminale che non si preoccupa della sofferenza che comporta né alla vittima né a coloro che la chiamano “mamma”.
LUISA SANTOSPIRITO 3 A LSA
Ai giorni nostri è consuetudine accendere la televisione e ascoltare al telegiornale racconti di femminicidi. Ma ci siamo mai soffermati a riflettere sulle radici di questo fenomeno? Innanzitutto, il termine femminicidio comparve per la prima volta nel 1976, per indicare gli omicidi contro le donne in quanto donne. Tuttavia tale parola non si limita soltanto ad indicare l'uccisione della vittima, ma include una serie di comportamenti intenti a ledere la libertà delle donne come la violenza fisica, psicologica e verbale.
Sebbene ad oggi ci sia stato un decremento degli omicidi di ambo i sessi, la soglia di quelli in ambito familiare è rimasta molto alta: 150 nel 2019, di cui 93 donne vittime. Con l'arrivo delle Pandemia tutti siamo stati catapultati in una realtà nuova, caratterizzata dalla paura verso qualcosa di ignoto e dall'incertezza del futuro; ciò ha portato a un incremento dei femminicidi, causati da una situazione di maggiore stress durante una convivenza h24, tant'è che, secondo i dati dell'Istat, i femminicidi sono arrivati ad essere pari al 50% degli omicidi nel 2020. Ma come si è arrivati a una così capillare diffusione? Alla base vi è un pensiero retrogrado, maschilista e patriarcale. Tale visione però, sebbene sia molto antica, non ha sempre caratterizzato l'uomo. Difatti nella Preistoria la donna deteneva un ruolo centrale, legato in particolare alla sua capacità di donare la vita, tant'è che esisteva il culto della dea Madre.
Successivamente, a partire dal Paleolitico e dal Neolitico, i cambiamenti climatici e le invasioni dei popoli stranieri portarono ad un'epoca in cui acquistò sempre maggiore importanza la forza fisica e quindi l'uomo, che iniziò ad imporsi sulla donna, il cui ruolo invece si limitava nel prendersi cura della casa e dei figli. Con il tempo vi sono stati vari mutamenti, che hanno portato ad una difesa maggiore verso atti che in precedenza erano considerati giustificabili; un passo importante è stato l'abolizione del delitto d'onore nel 1981 e quindi la comprensione che l'uccisione di una persona non ha niente a che vedere con l'onore di un'altra. Esso stabiliva una pena dai tre ai sette anni per l'assassinio del coniuge che intratteneva una relazione con un’altra persona. Oltre ciò, si sono sviluppate famiglie in cui gli uomini e le donne sono diventati possessori di uguali diritti. Tuttavia, sebbene la società odierna sia molto sviluppata sotto molteplici punti di vista, vi sono ancora individui che sono proiettati verso una visione antica riguardante il rapporto uomo-donna. Ad esempio Il modello della famiglia patriarcale lo si ritrova ancora nei contesti mafiosi. Sebbene il ruolo della donna abbia subito un'evoluzione e oggi occupi un ruolo di collaborazione e di maggior considerazione, in tale contesto quest'ultima è subordinata ancora al marito; infatti per entrare nel circolo mafioso, a differenza dell'uomo che deve fare un rito di iniziazione, per la donna basta giurargli fedeltà .
Possiede vari compiti, come la trasmissione della cultura mafiosa ai figli, l'incitamento alla vendetta, la salvaguardia della reputazione maschile e costituisce merce di scambio per la creazione di alleanze tra gruppi criminali.
Per fermare i femminicidi si deve superare questa mentalità superata e retrograda, basata sulla disuguaglianza e sulla percezione della donna come essere inferiore. Ma in che maniera? Innanzitutto bisogna far passare il messaggio che il femminicidio è un problema che non riguarda solo le donne, bisogna sensibilizzare gli uomini su tale tematica, informare le donne sulle protezioni di cui godono dopo aver denunciato il partner, farle capire che sono tutelate dalla legge, ad esempio grazie al Codice Rosso, ma che tutto deve partire da loro, le quali devono smettere di colpevolizzarsi e giustificare comportamenti inammissibili.

ANGELICA RANUCCI 3ALS
L’uomo di oggi ha perso l’abitudine di esprimere le proprie idee e i propri sentimenti, come se non sapesse più relazionarsi con l’altro, nonostante egli sia stato definito “animale sociale”, che per natura necessita del prossimo per sopravvivere.
Tale deficit comportamentale lo si riscontra in tutti i tipi di relazioni e causa numerosi episodi spiacevoli; se non si riesce a comunicare ciò che si pensa con le parole, qual è l’alternativa che l’uomo possiede per esprimersi? Attraverso gesti e più nello specifico attraverso la violenza. Si parla quindi di “violenza di genere” che nasce da un problema sociologico, che vìola i diritti umani. Saper affrontare ogni situazione ci rende liberi, ma al contempo la libertà si basa sul rispetto ed è proprio questo il valore carente della società. Comprendiamo dunque che qualsiasi lotta è vana se si parla ad un popolo non educato a questo valore; perciò la famiglia, i professori , la realtà in generale in cui si vive e ci si relaziona, svolgono un ruolo fondamentale per la crescita individuale. L’azione che lega il rispetto e la comunicazione è la denuncia, la chiave per ogni lotta sociale, ed è proprio qui che molte vittime, non rispettando se stesse, diventano complici del proprio aggressore, non denunciando i fatti; alcune lo fanno per timore della reazione del maltrattante, altre perché dipendenti da quest’ultimo e altre ancora perché non si sentono tutelate dalla legislazione italiana, che purtroppo frequentemente ha assolto il carnefice stesso. Notiamo dunque che in realtà la violenza di genere nasce da una condizione ancora più insidiosa: la precarietà e la paura. E’ quindi necessario formulare un piano di consapevolezza e di analisi sin da bambini per combattere la paura stessa, per capire chi si ha di fronte, per prevenire queste situazioni e sapersi comportare al meglio, per sentirsi pronti e pronte, cosicché le generazioni successive potranno avere alle spalle uomini e donne fortificati nell’animo.


GIULIA TRANI, III C LSA
In una società in cui ci sono grandi squilibri di potere e le disuguaglianze aumentano, il ruolo della donna rimane difficile da difendere.
Nonostante le faticose lotte per i diritti delle donne, è inutile negare che siamo reduci di una società patriarcale in cui l’essere donna espone a rischi, discriminazioni, e problemi per il solo fatto di esserlo. Non è un argomento di discussione: lo dicono i dati sull’occupazione, sulla posizione della donna in politica e nei ruoli di potere, sui salari e soprattutto quelli sulle violenze. Di per sé è vero che la violenza è tale indipendentemente dalla persona che la subisce, tuttavia parlare del problema solo in generale escluderebbe una grossa fetta di realtà: la soggettività di chi subisce quella violenza, nonché le ragioni che ne sono alla base.
Da un recente studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è emerso che nel mondo una donna su tre ha subito violenze fisiche o psicologiche dal proprio partner. E’ evidente che le violenze siano in generale da condannare, ma nel parlare del fenomeno non si può prescindere dai dati e dalle evidenze. Quello che è particolarmente preoccupante in questo caso è che l’86% dei femminicidi sono stati commessi nell’ambito di una relazione. Ci rendiamo conto quindi di come, nonostante la violenza di genere sia un problema che colpisce entrambi i sessi, le donne siano maggiormente vulnerabili a causa di questioni culturali, sociali e di potere.
Infatti, a causa della tradizione maschilista della nostra società, sono stati interiorizzati i valori dell’uomo virile che non può mostrare segni di debolezza e della donna sottostimata relegata all’ambito domestico. C’è chi pensa che per il tema del femminicidio sia già stato fatto tanto, eppure le cose non cambiano velocemente perché millenni di patriarcato non si cancellano in quarant’anni. Sebbene, a partire dalla fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo siano stati raggiunti importanti traguardi, dal diritto al voto ai diritti sul lavoro, la situazione a casa è ancora stagnante, e naturalmente con la pandemia è stato reso evidente dall’ aumento del numero di violenze domestiche.
E’ un problema dilagato nelle disuguaglianze tra donne e uomini ed è sintomatico del fallimento dei diritti umani perché è inaccettabile che una donna debba sentirsi privata della propria libertà per il solo fatto di essere donna. E’ chiaro che dal momento in cui accadono queste violenze, uno Stato civile ha già perso. Nella conferenza di Istanbul è stata affrontata la questione della prevenzione, che è il presupposto essenziale per estirpare il problema. Infatti, spesso non si tratta di violenze capillari, ma di casi sistematici perché l’uomo maltrattante la maggior parte delle volte non è un delinquente o un alcolizzato, ma un partner che mostra chiari segni di gelosia e possessione. Aumentano i casi di violenze non denunciate, paradossalmente per una dipendenza sentimentale oppure per una dipendenza economica perché spesso la donne non sono titolari di nessun contratto d’affitto e non lavorano.
Ci sono dei pregiudizi anche per quanto riguarda la persona lesa, perché lo statuto di vittima è quello di una persona che aderisce perfettamente ai canoni della morale pubblica; di fatto spesso sono state assolte delle persone poiché la vittima non si comportava come tale.
Dalla stessa legge italiana in passato l’uomo e la donna non erano visti allo stesso modo, per esempio era punito l’adulterio femminile, e questa la dice lunga sulla “giusta punizione” da impartire quando la donna sfugge al controllo maschile.
Fortunatamente il nostro Stato offre supporto alle vittime attraverso centri di accoglienza e si fa carico della donna sotto il punto di vista psicologico ed economico, e per quanto riguarda l’aspetto legale attraverso il patrocinio gratuito indipendentemente dal reddito. E’ importante sensibilizzare l’opinione pubblica sulla questione e impartire modelli relazionali sani alle nuove generazioni.
ELISA INGOGLIA, III C LSA
Nel XXI secolo sono stati raggiunti importanti traguardi su tutti i fronti, eppure la violenza è una piaga sociale che non è ancora stata estirpata dalla nostra società.
Con il termine violenza non si intende solo la violenza fisica, come si è soliti pensare, ma anche minacce, violenza sessuale, stalking, molestie psicologiche, ricatti finanziari e molto altro. A volte si arriva anche alla forma più estrema di violenza, l’uccisione; nel caso delle donne chiamato “femminicidio”.
Con il termine femminicidio si intende l’uccisione della donna in quanto donna, perché nonostante tutte le lotte portate avanti da donne nel corso della storia per essere considerate al pari degli uomini, da molti sono ancora reputate e trattate come inferiori, con un ruolo marginale rispetto all’uomo, considerate un oggetto con cui fare ciò che si desidera. Di base c’è la non accettazione dell’ indipendenza e capacità delle donne. Questo lo possiamo definire un fenomeno sociale legato soprattutto a ruoli e comportamenti che la società ha stabilito per i due sessi.
La violenza è trasversale, capillare, riguarda persone di tutte le età, etnie, classi sociali indipendentemente da condizione economica, aspetto esteriore, professione. Ma va ben oltre ciò, è un problema complesso e allarmante perché i dati ci mostrano che nonostante ci riteniamo in un’epoca definita “civilizzata” e moderna il numero di omicidi di donne non diminuisce ma resta costante. Le donne sono quella con il più alto numero di omicidi in casa. Nel 2021 i femminicidi sono stati 104 su 119 omicidi con una vittima donna, come riportato dai dati Istat; la maggior parte sono uccise dal partner o ex partner, altre uccise in ambito familiare e altre ancora da conoscenti, amici; la particolarità che ricorre in quasi tutti questi omicidi è che sono stati fatti da persone conosciute dalla vittima.
Molti considerano questa tematica poco importante perché li ritengono solo stereotipi sugli uomini, difatti il pensiero comune di questi è che anche le donne uccidono gli uomini quindi quello della violenza è un problema che riguarda entrambi i sessi, senza distinzioni. Spesso basano il proprio pensiero su dati che riportano che il numero di omicidi è più alto per gli uomini rispetto alle donne.
Il numero di vittime di omicidi è maggiore per gli uomini, ma bisogna ragionare sul fatto che solo il 4,3% di questi sono commessi dal partner, la maggior parte, circa il 42,9%, vengono uccisi da sconosciuti per motivi quindi esterni, ad esempio risse o durante rapine o per mano di persone pazze, ubriache, sotto effetto di stupefacenti. Nel 2021 le vittime uccise in una relazione di coppia o in famiglia sono state 139, di queste, 39 sono uomini e le restanti 100 sono donne. Anche questi sono dati da tenere in considerazione perché anche se il numero di omicidi maschili prevale su quelli femminili, bisogna analizzarne la situazione. Una donna può sempre essere in pericolo perché considerato il sesso debole, quindi la paura è costante, per l’uomo invece l’omicidio di solito è una cosa inaspettata commessa da sconosciuti e non da persone che lo circondano.
Per le donne il problema è diverso perché gli omicidi sono volontari, avvengono per vari motivi, di solito perché si ritiene che la donna abbia avuto comportamenti considerati “sbagliati” dall’uomo o fatto azioni che non doveva fare, e la violenza ne è quindi la conseguenza.
Pochissime sono le donne che trovano il coraggio di denunciare questa violenza: alcune per paura di ritorsioni nei loro confronti o in quelli dei figli, altre perché credono che denunciando la situazione possa solo peggiorare, in quanto per la legge italiana non esistono ancora pene dure per le persone denunciate o comunque c’è bisogno di prove e il processo sarebbe lungo; ulteriori ragioni sono la paura che vengano tolti i figli e affidati agli assistenti sociali o perché di solito è l’uomo che lavora e la donna è dipendente da lui; altre ancora perché semplicemente cercano di auto convincersi che la violenza subita sia stato solo uno sbaglio da parte dell’uomo dettato dalla rabbia o gelosia e che non riaccadrà più un episodio simile. La realtà è che quasi mai la violenza è un errore, ma è una cosa voluta e quasi sicuramente riaccadranno episodi simili.
A volte succede che le donne che trovano la forza di denunciare poi vengono costrette dagli stessi uomini violenti a ritirare la denuncia, usando di solito la violenza psicologica o le minacce. La violenza porta anche molte conseguenze , di solito a lungo termine; succede spesso che la donna si isoli, non curi più ne lei ne i suoi figli, non riesca a lavorare e a relazionarsi con altre persone. Ritengo che sarebbe adatto rivolgersi a centri specializzati che ascoltino queste donne e le aiutino e riiniziare a vivere la propria vita senza persone tossiche che provano ad affossarle costantemente.
Bisogna cercare di sensibilizzare il più possibile questi temi, che non sono problematiche da sottovalutare, ma anzi sono questioni sociali, violazioni dei diritti umani, che mirano alla distruzione dell’identità della persona, infatti le parti più sfregiate sono di solito il viso e gli arti.
Questa situazione complessa deve essere risolta il prima possibile; è fondamentale agire sulle rappresentazioni mediatiche che formano l’opinione pubblica e impartire sani principi di uguaglianza.

DOMENICO RINALDI, III C LSA
Il 23 gennaio si è tenuta la quarta conferenza del Centro Studi Pio La Torre, in cui si è affrontato il tema del femminicidio. Le due relatrici sono state la sociologa Alessandra Dino, che insegna all’Università di Palermo, e l’avvocato Monica Genovese.
Il femminicidio è un fenomeno che consiste nell’uccisione di una donna in quanto tale. È un fenomeno diffuso nella nostra società e che ha gravi ripercussioni sociali.
Ci sono diverse tipologie di femminicidio e si distinguono in base alla vittima, all’autore e al contesto della violenza. Infatti bisogna distinguere il caso in cui si fa riferimento agli omicidi di donne da parte del partner, a quelli di donne da parte di un altro parente o di donne da parte di un’altra persona attraverso determinato un modus operandi.
Nel 58,8% dei casi il femminicidio si è verificato nell’ambito della relazione di coppia: il 45,4% delle donne è vittima del partner, il 13,4% di un ex partner. Fra i partner assassini si tratta di solito del marito, o degli ex conviventi o ex partner. Il 25,2% delle donne è invece vittima di un altro parente, il 5% di un conoscente e il 10,9% di uno sconosciuto. Quindi, il femminicidio è compiuto, di solito, dai partner delle donne, al contrario degli omicidi, che avvengono, nella maggior parte dei casi, a causa di sconosciuti, a volte durante una rapina o un furto. I dati dell’Istat riferiscono inoltre che il numero di omicidi è in notevole diminuzione, al contrario del numero di femminicidi che rimane costante.
Molti si domandano il perché si discuta tanto del fenomeno del femminicidio quando in realtà il numero di omicidi è maggiore di quello dei femminicidi. Ritengo che la questione su cui ci si debba concentrare sia il fatto che la probabilità di scoprire l’autore di un omicidio è più alta nel caso di una vittima donna, dato che si verificano per lo più in ambito familiare, e con conseguente restrizione del campo delle indagini a una cerchia ben delimitata.
I dati dell’Istat rivelano anche che solo meno del 10% degli assassini fa uso di droghe e quindi l’azione del femminicidio non è dovuta, nella maggior parte dei casi, a scatti d’ira. Quindi credo che lo Stato debba introdurre delle nuove misure di prevenzione e protezione per limitare questo fenomeno. Una misura di prevenzione potrebbe essere l’allontanamento dell’uomo dalla vittima e l’emanazione di un ordine restrittivo rispetto alla vittima e ai luoghi da essa frequentati.
Purtroppo, il fenomeno del femminicidio è a volte legato alla mafia. Infatti molte donne vengono assassinate dalle organizzazioni criminali, malgrado si creda a molti stereotipi, come il fatto che esse non facciano male a bambini e donne.
Generalmente nella mafia entrano a far parte i soli uomini, ma a volte possono entrare a farne parte anche le donne. Un esempio è Anna Messina Denaro, la quale, durante parte del periodo di latitanza del fratello, Matteo Messina Denaro, è stata in contatto con l’organizzazione criminale Cosa Nostra.
Nel 2011 è stata introdotta la convenzione di Istanbul, la quale ha lo scopo di tutelare la donna. La prima nazione ad aderire è stata la Turchia, nel 2013 ne è entrata a far parte anche l’Italia. Credo che sia importante discutere della violenza di genere e dei suoi effetti sociali per far sì che ci sia maggiore consapevolezza. Ritengo inoltre che lo Stato debba adottare nuove misure di prevenzione e protezione in maniera tale che ci sia una diminuzione di tale fenomeno.





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