media enfatizzano in questo periodo una crescente esposizione delle donne nelle organizzazioni mafiose. Ma i dati su denunce e condanne raccontano una realtà molto diversa. Pregiudizi radicati, cambiamenti di contesto e un’indagine scientifica sul ruolo e la presenza delle donne nella mafia.
Le donne di mafia nei media
Il 6 e 7 marzo è andato in onda su Sky Tg24 il documentario “Lady
‘Ndrangheta” che ha proposto una lettura dell’organizzazione criminale
‘ndranghetista in chiave femminile, sottolineando il ruolo di primo piano che le
donne sono andate assumendo al suo interno. La chiave di lettura offerta è ben
sintetizzata dalla frase pronunciata in apertura del documentario da Rita Di
Giovine, collaboratrice di giustizia, figlia di Maria Serraino, esponente della
cosca Di Giovine-Serraino, “Vuoi che ti dica che ruolo hanno gli uomini?
Nessuno”. Anche recenti articoli di giornale enfatizzano il ruolo di vertice
assunto da donne nella consorteria.
Ci troviamo, dunque, dinnanzi al
rovesciamento dello stereotipo secondo il quale le donne non possono svolgere un
ruolo attivo nell’organizzazione: inadatte per indole ed escluse per
organizzazione interna.
Le donne di mafia nelle indagini
I dati pubblicati dall’Istat relativi alle donne denunciate e arrestate dalle forze di polizia per fatti di associazione di tipo mafioso raccontano, però, una storia parzialmente diversa: i numeri di quelle implicate in indagini relative alla criminalità organizzata cui viene contestato il coinvolgimento nell’associazione sono in lieve ma costante calo. Il raffronto con i dati relativi agli uomini denunciati e arrestati sottolinea ulteriormente il ruolo marginale che, nelle indagini, ancora è riconosciuto alle donne.
Grafico 1
Fonte:Istat
Il quadro non muta se prendiamo a riferimento i dati relativi alle condanne (disponibili per una serie storica più significativa) ove i numeri assoluti appaiono ancora più modesti.
Grafico 2
Fonte:Istat
Quali le ragioni del divario
Due le ipotesi che possono dar ragione del divario. Da un lato, la
possibilità che i dati leggano un fenomeno in parte superato, mentre la
sensibilità dei media potrebbe essere in grado di cogliere i tratti in divenire
della realtà delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Il quadro
delineato dalle indagini infatti non può che ritrarre una situazione pregressa,
e tuttavia una delle principali caratteristiche delle associazioni criminali
mafiose è nelle profonda capacità adattiva: più volte hanno dimostrato di essere
in grado di rinnovarsi seguendo le trasformazioni del contesto. E quello che
possiamo definire come un nuovo protagonismo femminile si colloca, secondo gli
studi storico-sociali, proprio nella forte trasformazione del
contesto.
Dall’altro lato, è possibile che le attuali previsioni normative
poco si prestino a ricomprendere le condotte poste in atto dalle donne – tanto
più se associate a una sorta di paternalismo giudiziario condizionato da una
radicata precomprensione, secondo la quale le donne sarebbero per natura meno
inclini ad adottare comportamenti criminali di tipo mafioso – finendo per
incidere significativamente sul tasso di emersione della criminalità
femminile.
Quello che i dati non dicono
Rimane comunque oscuro il ruolo svolto dalle donne all’interno delle
associazioni di tipo mafioso. Lo si potrebbe comprendere meglio solo alla luce
di una più approfondita analisi volta a arricchire il profilo quantitativo con
elementi più squisitamente qualitativi. Su questo sta lavorando un gruppo di
ricercatori dell’Università Bocconi, con un’indagine su “L’espansione della
criminalità organizzata in nuovi ambiti territoriali e le sue infiltrazioni nel
sistema sociale e nell’attività d’impresa”. Dunque, già nei prossimi mesi
potranno essere disponibili, sul tema, riflessioni più approfondite.
Lo
studio ha come oggetto tutti i fascicoli processuali aperti dalla procura presso
il tribunale di Milano per il delitto previsto dall’articolo 416bis del codice
penale dal 2000 al 2013, rispetto ai quali è stato emesso, nell’arco temporale
indicato, un provvedimento decisorio, o nella forma della richiesta di rinvio a
giudizio o in quella dell’archiviazione.