I test per i magistrati, un altro pesante attacco al potere giudiziario
L'analisi | 2 aprile 2024
“I giudici sono matti, sono mentalmente disturbati, hanno turbe psichiche e sono antropologicamente diversi dalla razza umana”.
“I giudici sono matti; bisogna proprio essere matti per fare il giudice”.
Fu così che si espresse Silvio Berlusconi, quando correva l’anno 2003 ed era presidente del consiglio. Fu un’uscita improvvida e tuttavia non produsse nulla di sconvolgente, se non lo sdegno e la collera del presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che prese le opportune distanze da quelle dichiarazioni politicamente malsane di Berlusconi.
Quell’attacco alla magistratura era assai grave e mostrava palesemente l’esistenza di un complesso e insofferente rapporto fra il potere esecutivo e il potere giudiziario.
Al diavolo Montesquieu, e la sua teoria della divisione dei poteri. Il capo del Governo dimostrava una sostanziale intolleranza verso la magistratura, che da lì in avanti dette corso a una vera “guerra” all’interno delle istituzioni.
Quelle dichiarazioni di Berlusconi risuonano ancor oggi pesantemente, nonostante la sua dipartita. E non possiamo fare a meno di richiamare la lettera-intervista, scritta da Berlusconi in punto di morte, che costituisce un vero e proprio testamento politico. Già in un articolo precedente ho espresso il mio pensiero su quella lettera che costituisce l’ultima presa in giro per gli italiani, l’ultima farsa che insulta la dignità dell’intelligenza umana della società civile. I suoi uomini, fedeli a lui anche post mortem, con la complicità politica del ministro della giustizia, Carlo Nordio, mettono in campo la necessità di legiferare circa l’adozione di test psico-attitudinale per i magistrati.
Dunque tutto si ripete. Anche quello che avevamo riposto in un cassetto, speranzosi che nessuno l’avrebbe più riesumato. Eppure dovevamo immaginarlo che un Governo autoritario e autocrate, lontano dai principi democratici, avrebbe rimesso in discussione la questione mediante l’introduzione dei test psico-attitudinali per i nuovi magistrati. Sembra che, in nome di Berlusconi, si voglia ripristinare uno scontro fra la politica e la magistratura al fine di ottenerne la totale subordinazione.
Durante questo improvvido Governo con l’altrettanto improvvida maggioranza di estrema destra, abbiamo assistito, inermi, a tante riforme della giustizia che hanno inciso non poco nel rapporto fra il potere giudiziario e i poteri esecutivo e legislativo. Il Governo è andato avanti come un treno dell’alta velocità, incurante degli appelli delle opposizioni e delle svariate manifestazioni cittadine. Parliamo di modifiche sostanziali sul fronte della pubblicazione delle intercettazioni, sul reato di abuso d'ufficio e traffico di influenze, mentre è in predicato l’inappellabilità delle sentenze di assoluzione.
Così, morto Silvio Berlusconi, il Governo Meloni, per mano del ministro Carlo Nordio, esaudisce quelli che lui stesso definisce i desideri dell’ex capo del Governo, dichiarandosi, per questo, soddisfatto. Non si risparmia Carlo Nordio nel mettere sul tavolo disegni di legge il cui contenuto definisce garantista e liberale.
Ebbene, tutto questo non è bastato al ministro, né all’intero Governo che annuncia l’introduzione di test psico-attitudinali per i giovani nuovi magistrati.
Sembrerebbe proprio che quell’eterno conflitto fra i poteri dello Stato sia insanabile; anzi rischia di acuirsi. Il Governo vuole con fermezza che i nuovi magistrati non vengano scelti solo su base culturale, curriculare e tecnicistica, ma anche sulla base del riscontro di qualità personali.
Durante uno dei governi Berlusconi, si verificò un altro tentativo di introduzione dei test sul quale esiste il parere negativo della società di psicoanalisi.
In ogni caso mi astengo dal discutere circa il precedente tentativo del governo Berlusconi – ché sarebbe piuttosto ozioso – per soffermarmi meglio sull’attuale disegno di legge.
Il Consiglio dei ministri tra gli argomenti all’ordine del giorno ha discusso e approvato parecchie modifiche alla regolamentazione del concorso per entrare in magistratura. Le nuove regole prevedono che l’esame di Stato si possa sostenere fino a quattro volte invece che tre e che comunque tutti i nuovi magistrati, a far data dal 2026, dovranno sostenere i test psico-attitudinali, al termine delle prove scritte. Di tal che i test in questione costituiranno una precondizione per potere accedere alle prove orali. Al termine di queste ultime i candidati potranno accedere ai test psico-attitudinali veri e propri.
Ebbene, è un vero pasticcio giuridico che per un verso tende a imporre le prove psico-attitudinali come precondizione per sostenere gli esami orali e, per altro verso, i test dovranno essere sostenuti non prima del completamento di tutte le prove per evitare l’incostituzionalità del disegno di legge. Infatti la Costituzione recita che agli esami per entrare in magistratura si accede per mezzo di concorso.
Non v’è dubbio che tale disegno di legge sembra scritto da soggetti scriteriati il cui intento è solo quello di screditare la magistratura e di trasferire all’organo esecutivo quanti più poteri possibili.
Ebbene, questa riforma, se dovesse essere effettivamente approvata definitivamente, unitamente alle altre, altro non fa che assuefarsi al pensiero politico berlusconiano, fortemente rinforzato dalla presenza, nell’attuale governo, di soggetti fortemente radicati a destra che condurranno il Paese in una forma di dispotico assolutismo di fronte al quale i cittadini avranno ben pochi strumenti di contrasto.
Con l’introduzione del disegno di legge sui test psico-attitudinali ai nuovi magistrati insieme alle altre riforme sulla giustizia, il Governo vuole sostanzialmente portare il potere giudiziario sotto il controllo dell’esecutivo spogliando le Procure della Repubblica della loro giurisdizionalità. “Questo è un governo classista” disse il senatore Roberto Scarpinato nel corso di un suo intervento in Commissione giustizia all’indirizzo del ministro della Giustizia. Un governo classista i cui provvedimenti sono esclusivamente indirizzati a proteggere e garantire i colletti bianchi e la ricca borghesia italiana a discapito dei cittadini deboli e sprovveduti.
Ma faremmo un torto a Roberto Scarpinato se non citassimo testualmente un pezzo del suo intervento.
“Le scelte di questo governo, quelle già attuate e quelle che si appresta ad assumere, delineano un disegno politico di restaurazione dell’assetto pre-costituzionale, quello di una giustizia classista double face: forte con i deboli e debole con i forti. È un obiettivo da raggiungere in due tappe. In una prima fase approvare una serie di leggi ordinarie che dietro motivazioni pretestuose hanno tutte l’unico comune denominatore di garantire l’impunità delle classi superiori, ridimensionando o depenalizzando i reati dei colletti bianchi. E poi, in un secondo tempo, sferrare il colpo finale riformando la Costituzione in modo da ricondurre la magistratura sotto il controllo dell’esecutivo, abbattendo l’architrave portante dell’obbligatorietà dell’azione penale”.
Le dichiarazioni di allora di Silvio Berlusconi come anche l’iniziativa di oggi del governo Meloni, hanno qualcosa di suggestivo perché all’ombra dell’introduzione dei test psico-attitudinali apparentemente intesi come necessari per riequilibrare i rapporti fra i poteri dello Stato, c’è sicuramente l’idea che i giudici siano per loro natura squilibrati. Berlusconi infatti ha detto, e lo ripeto: “I giudici sono tutti matti; bisogna proprio essere matti per fare il giudice”.
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