Dia: anche la mafia economica ora uccide
Società | 1 ottobre 2022
Pur in un contesto in cui la criminalità organizzata continua tendenzialmente a preferire «l'infiltrazione economica finanziaria» alle «manifestazioni di violenza», tornano a crescere gli omicidi di mafia: erano stati 7 nel secondo semestre del 2020, sono stati 15 nel secondo semestre del 2021. E’ uno dei dati che emergono dall’ultima Relazione semestrale della Dia. «Analizzando il dato suddiviso tra le macroaree nord-centro-sud - notano gli analisti - l’aumento riguarda solamente i contesti meridionali» mentre «calano le fattispecie collegate all’associazione di tipo mafioso e per delinquere, nonchè ai delitti commessi nelle circostanze di cui all’art. 416. Il che conferma in linea generale la maggiore propensione delle organizzazioni criminali ad operare secondo logiche di sommersione e di mimetizzazione nel tessuto sociale ad eccezione del sud Italia dove si assiste alla persistenza del ricorso alle tradizionali metodologie cruente per un’affermazione territoriale». Il deciso decremento del fenomeno del riciclaggio su tutto il territorio nazionale, già osservato per il primo semestre 2021,» potrebbe ricollegarsi al ricorso dei gruppi criminali a strategie finanziarie sempre più raffinate e quindi di non facile individuazione. Ciò si affianca alla diminuzione dei reati di corruzione, frode nelle pubbliche forniture, trasferimento fraudolento di valori: tuttavia occorre precisare che si tratta di fattispecie di reato che emergono generalmente in seguito ad attività investigative complesse e di ampio respiro spesso condotte in tempi che valicano ampiamente il semestre». Estorsioni ed usura «mostrano invece dati generalmente in flessione con una leggera controtendenza per le estorsioni rilevate nelle regioni settentrionale generalmente più attive dal punto di vista produttivo e commerciale. La diminuzione del traffico di stupefacenti in tutte le regioni non deve indurre a facili ottimismi poichè le indagini anche recenti non mostrano alcuna perdita di interesse delle organizzazioni mafiose per questo genere di crimine molto remunerativo».
In Sicilia privilegiati gli affari
In Sicilia si conferma «minimale» il ricorso alla violenza, mentre si continua registrare la convivenza sullo stesso territorio delle organizzazioni mafiose per la spartizione degli «affari». Nella relazione al Parlamento la Dia segnala come in uno scenario di stagnazione economico-produttiva, «trovano terreno fertile le consorterie criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del Pnrr destinati all’Isola». La criminalità organizzata siciliana si presenta con caratteristiche diverse nelle varie aree della regione e la Relazione ricostruisce la geografia mafiosa. In Sicilia occidentale ‘cosa nostrà resta strutturata in mandamenti e famiglie: nella provincia di Agrigento si continua a registrare una «zona» permeabile anche all’influenza di un’altra organizzazione, la cosiddetta «stidda», «che è riuscita con gli anni a elevare la propria statura criminale fino a stabilire con le altre famiglie patti di reciproca convenienza“; mentre a Trapani non può prescindere dal ruolo di Matteo Messina Denaro, che nonostante la decennale latitanza resterebbe la «figura di riferimento per tutte le questioni di maggiore interesse».
Resta inoperativa la «commissione provinciale di Palermo», e “la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà», a questi personaggi mafiosi si affiancano poi giovani criminali «forti di un cognome o parentela ‘di spessorè». In Sicilia occidentale, e i particolare nella città di Catania, alle storiche famiglie si affiancano altri sodalizi, più fluidi e non organici a ‘cosa nostrà.
Aumentano i sequestri ai boss
Tuttavia, le indagini confermano ancora una volta che il modello ispiratore delle mafie è «sempre meno legato a eclatanti manifestazioni di violenza ed è, invece, rivolto verso l’infiltrazione economico-finanziaria“: una ulteriore conferma della «strategicità dell’aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale». Le attività della Dia sono quindi orientate a proteggere il tessuto economico del Paese, nel semestre sono stati effettuati sequestrati per 165 milioni, confische per 108 milioni; 373 interdittive antimafia, 69mile segnalazioni per operazioni sospette.
«Le risultanze di analisi sui fenomeni criminali di tipo mafioso - sottolinea ancora la Direzione investigativa Antimafia nella sua Relazione - continuano a presentare il rischio che i sodalizi di varia matrice, senza peraltro a rinunciare a porre in atto tutte le azioni necessarie a consolidare il controllo del territorio, possano perfezionare quella strategia di infiltrazione del tessuto economico in vista dei possibili finanziamenti pubblici connessi al Pnrr». L’inquinamento dell’economia sana è aspetto fondamentale per la sopravvivenza delle consorterie, che aumentano la propria ricchezza «invadendo il campo dell’imprenditoria legale, specie quella maggiormente colpita dalle conseguenze dell’attuale crisi economica». Le organizzazioni per altro non si limitano più al “saccheggio parassitario» della rete produttiva «ma si fanno impresa sfruttando rapporti di collaborazione con professionisti collusi la cui opera viene finalizzata a massimizzare la capacità di reinvestimento dei proventi illeciti con transazioni economiche a volte concluse anche oltre confine».
Le operazioni, spiega la Dia, sono tese quindi ad aggredire le organizzazioni sotto il profilo patrimoniale per «arginare il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati per evitare l’inquinamento dei mercati e dell’Ordine pubblico economico». Una conferma di quanto oltre 30 anni fa avevano previsto i giudici Falcone e Borsellino «che avevano fortemente voluto ed avviato quell’architettura antimafia di cui la Dia è parte integrante finalizzata a colpire i sodalizi anche sotto il profilo patrimoniale arginandone il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati nell’ambito dei mercati economici per evitarne l’inquinamento».
Il core business: pizzo, giochi e droga
Estorsioni, gestione del gaming e traffico di droga restano le «primarie fonti di guadagno» della mafia siciliana. Mentre «non mostra segni di cedimento la volontà di fare impresa penetrando la rete produttiva, commerciale e della distribuzione, nonchè infiltrando le amministrazioni pubbliche», sottolineano gli analisti della Dia. «Nonostante la continua ed efficace azione investigativa delle forze di polizia - scrivono - che anche nel semestre in esame (il secondo del 2021, ndr) ha pesantemente indebolito alcune famiglie e condotto all’arresto di imprenditori e professionisti ritenuti intranei a Cosa nostra, le consorterie mafiose siciliane continuano a manifestare un’elevatissima resilienza ed un’ostinata volontà di riorganizzarsi. Tale caratteristica si realizza sia sul versante occidentale dell’isola dove pur in assenza di un organismo decisionale di vertice, non ancora ricostituito, resiste una rigida struttura organizzativa, sia sull'assetto catanese ove le famiglie si confrontano con sodalizi meno strutturati ma non meno aggressivi stringendo all’occorrenza alleanze criminali finalizzate al raggiungimento di specifici obiettivi criminali». «Al fine di far chiara e definitiva luce sulle configurazioni anche storiche e stragiste della mafia - ricorda il documento - sta proseguendo l’azione investigativa della Dia nelle complesse e minuziose inchieste attinenti alle stragi di Capaci, via d’Amelio e quelle continentali del '93 e '94. L’impegno anche in questo campo è massimo e coglie costantemente risultati lusinghieri».
'Ndrangheta silente ma inquina l'economia legale
Le inchieste concluse nel secondo semestre del 2021 restituiscono ancora una volta l’immagine di una ‘ndrangheta «silente ma più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale, nonché costantemente leader nel narcotraffico». La definisce così la Dia nella sua relazione segnalando “la preoccupazione legata ad un modello collaudato che vede la criminalità organizzata calabrese proporsi ad imprenditori in crisi di liquidità», con l’obiettivo «di subentrarne negli asset proprietari e nelle governance».
La Dia torna a segnalare come l’impermeabilità al fenomeno del pentitismo, dovuta dalla «forte connotazione familiare», si stia cominciando a incrinare per il «numero sempre crescente» di ’ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia».
I maggiori proventi restano legati narcotraffico: i sodalizi calabresi si confermano «interlocutori privilegiati con le più qualificate organizzazioni sudamericane garantendo una sempre più solida affidabilità» e il settore non ha fatto registrare flessioni significative, neanche nell’ultimo periodo e nonostante le limitazioni alla mobilità per la pandemia. Non solo traffici, ma anche interessi nella produzione, con «il rinvenimento di numerose piantagioni di cannabis coltivate in varie aree della regione“: si tratta - secondo la Dia - di una circostanza che allo stato non permette di escludere «il coinvolgimento della criminalità organizzata nel fenomeno della produzione e lavorazione in loco di sostanza illecita destinata alla commercializzazione».
La violenza dei clan foggiani
Quella foggiana «è una mafia molto strutturata e compatta capace di fare rete e di creare interconnessioni oltre che con le mafie storiche, campane e calabresi anche con quelle transadriatiche». E «a ciò si aggiunge la disponibilità di un vasto bacino di criminalità comune composto da giovani leve, il ricorso spregiudicato alla violenza e la pronta disponibilità di ingenti quantitativi di armi ed esplosivi che continuano ad essere i punti di forza su cui a fattor comune fanno leva i clan della provincia». L’ultima Relazione semestrale della Dia definisce la 'società foggianà «la più pericolosa delle mafie pugliesi», sottolineando come i clan «coniugando tradizione e modernità» abbiano «manifestato una crescente propensione affaristica ed una capacità di interagire nella cosiddetta zona grigia o 'borghesia mafiosà in cui convergono gli interessi della criminalità e di alcuni esponenti infedeli dell’imprenditoria e della pubblica amministrazione». Lo sfruttamento «si concretizza peraltro attraverso l’aggressione delle attività commerciali con estorsioni, furti, rapine ma anche infiltrandole. Il mantenimento del predominio sul territorio, inoltre, risulta di estrema importanza anche per la gestione dei traffici illeciti di sostanze stupefacenti un altro settore verso il quale la criminalità pugliese ha da sempre espresso il proprio interesse con particolare attitudine ai rapporti commerciali con soggetti e consorterie egemoni nelle altre regioni ed anche Stati esteri, primo tra tutti quello albanese».
Camorra, tra droga e profitti a basso rischio
Al racket e al traffico di droga, la Camorra affianca la capacità di generare ingenti profitti anche tramite attività criminali a «basso rischio giudiziario», dai tradizionali dei «magliari» del contrabbando al gaming illegale alle truffe telematiche e al controllo degli appalti, dalle aste giudiziarie, il ciclo dei rifiuti ed edilizia pubblica e privata fino alla nuova frontiera delle grandi frodi fiscali. La Dia spiega come questo ha trasformato da tempo i principali cartelli camorristici in vere e proprie “holding imprenditoriali», parti integranti dell’economia legale supportate da legami personali, molto spesso parentali, e connivenze in ampi settori dell’imprenditoria e nella pubblica amministrazione. Tutto questo rispecchia, per altro, quello che dagli stessi affiliati viene denominato il «Sistema», ovvero - spiega la Dia - una struttura di coordinamento gestionale, con obiettivi comuni, finalizzato esclusivamente al perseguimento dell’illecito arricchimento. Tuttavia, resiste la «camorra dei vicoli e delle stese», dei conflitti tra bande che si disputano il controllo dei tradizionali mercati illeciti, del racket e della droga. Infatti, «la potenza economica delle organizzazioni criminali anche campane viene assicurata principalmente dal traffico di droga».
Cults nigeriani e traffico di esseri umani
Le organizzazioni criminali nigeriane sono attive in gran parte d’Italia, con presenze importanti a Palermo, Catania e Cagliari ma anche nel Lazio e in Abruzzo, si concentrano sulla tratta di esseri umani connessa con lo sfruttamento della prostituzione e l’accattonaggio forzoso, con anche un progressivo sviluppo nel narcotraffico, gestito talvolta in collaborazione con gruppi criminali albanesi. La Relazione semestrale della Dia si sofferma con un focus sulla criminalità nigeriana, i cosiddetti secret cults, i cui tratti tipici sono l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento: un modus operandi che la Cassazione ha definito a tipica connotazione di «mafiosità».
Per la Dia, «appare oltremodo evidente come il contrasto alla criminalità nigeriana debba prevedere necessariamente una sua conoscenza ampia, allargata e condivisa tra le forze di polizia e la magistratura».
E’ invece impermeabile alle alleanze sul territorio a criminalità organizzata cinese, che si è dotata nel tempo di una strutturazione gerarchica incentrata principalmente su relazioni familiari e solidaristiche, chiusa e inaccessibile a “contaminazioni o collaborazioni esterne». Solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi funzionali con organizzazioni italiane o la costituzione di piccole consorterie multietniche per la gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti.
di Angelo Meli
In Sicilia privilegiati gli affari
In Sicilia si conferma «minimale» il ricorso alla violenza, mentre si continua registrare la convivenza sullo stesso territorio delle organizzazioni mafiose per la spartizione degli «affari». Nella relazione al Parlamento la Dia segnala come in uno scenario di stagnazione economico-produttiva, «trovano terreno fertile le consorterie criminali che potrebbero infiltrare le risorse della Regione anche in considerazione dei fondi del Pnrr destinati all’Isola». La criminalità organizzata siciliana si presenta con caratteristiche diverse nelle varie aree della regione e la Relazione ricostruisce la geografia mafiosa. In Sicilia occidentale ‘cosa nostrà resta strutturata in mandamenti e famiglie: nella provincia di Agrigento si continua a registrare una «zona» permeabile anche all’influenza di un’altra organizzazione, la cosiddetta «stidda», «che è riuscita con gli anni a elevare la propria statura criminale fino a stabilire con le altre famiglie patti di reciproca convenienza“; mentre a Trapani non può prescindere dal ruolo di Matteo Messina Denaro, che nonostante la decennale latitanza resterebbe la «figura di riferimento per tutte le questioni di maggiore interesse».
Resta inoperativa la «commissione provinciale di Palermo», e “la direzione e l’elaborazione delle linee d’azione operative risultano esercitate perlopiù da anziani uomini d’onore detenuti o da poco tornati in libertà», a questi personaggi mafiosi si affiancano poi giovani criminali «forti di un cognome o parentela ‘di spessorè». In Sicilia occidentale, e i particolare nella città di Catania, alle storiche famiglie si affiancano altri sodalizi, più fluidi e non organici a ‘cosa nostrà.
Aumentano i sequestri ai boss
Tuttavia, le indagini confermano ancora una volta che il modello ispiratore delle mafie è «sempre meno legato a eclatanti manifestazioni di violenza ed è, invece, rivolto verso l’infiltrazione economico-finanziaria“: una ulteriore conferma della «strategicità dell’aggressione ai sodalizi mafiosi anche sotto il profilo patrimoniale». Le attività della Dia sono quindi orientate a proteggere il tessuto economico del Paese, nel semestre sono stati effettuati sequestrati per 165 milioni, confische per 108 milioni; 373 interdittive antimafia, 69mile segnalazioni per operazioni sospette.
«Le risultanze di analisi sui fenomeni criminali di tipo mafioso - sottolinea ancora la Direzione investigativa Antimafia nella sua Relazione - continuano a presentare il rischio che i sodalizi di varia matrice, senza peraltro a rinunciare a porre in atto tutte le azioni necessarie a consolidare il controllo del territorio, possano perfezionare quella strategia di infiltrazione del tessuto economico in vista dei possibili finanziamenti pubblici connessi al Pnrr». L’inquinamento dell’economia sana è aspetto fondamentale per la sopravvivenza delle consorterie, che aumentano la propria ricchezza «invadendo il campo dell’imprenditoria legale, specie quella maggiormente colpita dalle conseguenze dell’attuale crisi economica». Le organizzazioni per altro non si limitano più al “saccheggio parassitario» della rete produttiva «ma si fanno impresa sfruttando rapporti di collaborazione con professionisti collusi la cui opera viene finalizzata a massimizzare la capacità di reinvestimento dei proventi illeciti con transazioni economiche a volte concluse anche oltre confine».
Le operazioni, spiega la Dia, sono tese quindi ad aggredire le organizzazioni sotto il profilo patrimoniale per «arginare il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati per evitare l’inquinamento dei mercati e dell’Ordine pubblico economico». Una conferma di quanto oltre 30 anni fa avevano previsto i giudici Falcone e Borsellino «che avevano fortemente voluto ed avviato quell’architettura antimafia di cui la Dia è parte integrante finalizzata a colpire i sodalizi anche sotto il profilo patrimoniale arginandone il riutilizzo dei capitali illecitamente accumulati nell’ambito dei mercati economici per evitarne l’inquinamento».
Il core business: pizzo, giochi e droga
Estorsioni, gestione del gaming e traffico di droga restano le «primarie fonti di guadagno» della mafia siciliana. Mentre «non mostra segni di cedimento la volontà di fare impresa penetrando la rete produttiva, commerciale e della distribuzione, nonchè infiltrando le amministrazioni pubbliche», sottolineano gli analisti della Dia. «Nonostante la continua ed efficace azione investigativa delle forze di polizia - scrivono - che anche nel semestre in esame (il secondo del 2021, ndr) ha pesantemente indebolito alcune famiglie e condotto all’arresto di imprenditori e professionisti ritenuti intranei a Cosa nostra, le consorterie mafiose siciliane continuano a manifestare un’elevatissima resilienza ed un’ostinata volontà di riorganizzarsi. Tale caratteristica si realizza sia sul versante occidentale dell’isola dove pur in assenza di un organismo decisionale di vertice, non ancora ricostituito, resiste una rigida struttura organizzativa, sia sull'assetto catanese ove le famiglie si confrontano con sodalizi meno strutturati ma non meno aggressivi stringendo all’occorrenza alleanze criminali finalizzate al raggiungimento di specifici obiettivi criminali». «Al fine di far chiara e definitiva luce sulle configurazioni anche storiche e stragiste della mafia - ricorda il documento - sta proseguendo l’azione investigativa della Dia nelle complesse e minuziose inchieste attinenti alle stragi di Capaci, via d’Amelio e quelle continentali del '93 e '94. L’impegno anche in questo campo è massimo e coglie costantemente risultati lusinghieri».
'Ndrangheta silente ma inquina l'economia legale
Le inchieste concluse nel secondo semestre del 2021 restituiscono ancora una volta l’immagine di una ‘ndrangheta «silente ma più che mai pervicace nella sua vocazione affaristico imprenditoriale, nonché costantemente leader nel narcotraffico». La definisce così la Dia nella sua relazione segnalando “la preoccupazione legata ad un modello collaudato che vede la criminalità organizzata calabrese proporsi ad imprenditori in crisi di liquidità», con l’obiettivo «di subentrarne negli asset proprietari e nelle governance».
La Dia torna a segnalare come l’impermeabilità al fenomeno del pentitismo, dovuta dalla «forte connotazione familiare», si stia cominciando a incrinare per il «numero sempre crescente» di ’ndranghetisti che decidono di collaborare con la giustizia».
I maggiori proventi restano legati narcotraffico: i sodalizi calabresi si confermano «interlocutori privilegiati con le più qualificate organizzazioni sudamericane garantendo una sempre più solida affidabilità» e il settore non ha fatto registrare flessioni significative, neanche nell’ultimo periodo e nonostante le limitazioni alla mobilità per la pandemia. Non solo traffici, ma anche interessi nella produzione, con «il rinvenimento di numerose piantagioni di cannabis coltivate in varie aree della regione“: si tratta - secondo la Dia - di una circostanza che allo stato non permette di escludere «il coinvolgimento della criminalità organizzata nel fenomeno della produzione e lavorazione in loco di sostanza illecita destinata alla commercializzazione».
La violenza dei clan foggiani
Quella foggiana «è una mafia molto strutturata e compatta capace di fare rete e di creare interconnessioni oltre che con le mafie storiche, campane e calabresi anche con quelle transadriatiche». E «a ciò si aggiunge la disponibilità di un vasto bacino di criminalità comune composto da giovani leve, il ricorso spregiudicato alla violenza e la pronta disponibilità di ingenti quantitativi di armi ed esplosivi che continuano ad essere i punti di forza su cui a fattor comune fanno leva i clan della provincia». L’ultima Relazione semestrale della Dia definisce la 'società foggianà «la più pericolosa delle mafie pugliesi», sottolineando come i clan «coniugando tradizione e modernità» abbiano «manifestato una crescente propensione affaristica ed una capacità di interagire nella cosiddetta zona grigia o 'borghesia mafiosà in cui convergono gli interessi della criminalità e di alcuni esponenti infedeli dell’imprenditoria e della pubblica amministrazione». Lo sfruttamento «si concretizza peraltro attraverso l’aggressione delle attività commerciali con estorsioni, furti, rapine ma anche infiltrandole. Il mantenimento del predominio sul territorio, inoltre, risulta di estrema importanza anche per la gestione dei traffici illeciti di sostanze stupefacenti un altro settore verso il quale la criminalità pugliese ha da sempre espresso il proprio interesse con particolare attitudine ai rapporti commerciali con soggetti e consorterie egemoni nelle altre regioni ed anche Stati esteri, primo tra tutti quello albanese».
Camorra, tra droga e profitti a basso rischio
Al racket e al traffico di droga, la Camorra affianca la capacità di generare ingenti profitti anche tramite attività criminali a «basso rischio giudiziario», dai tradizionali dei «magliari» del contrabbando al gaming illegale alle truffe telematiche e al controllo degli appalti, dalle aste giudiziarie, il ciclo dei rifiuti ed edilizia pubblica e privata fino alla nuova frontiera delle grandi frodi fiscali. La Dia spiega come questo ha trasformato da tempo i principali cartelli camorristici in vere e proprie “holding imprenditoriali», parti integranti dell’economia legale supportate da legami personali, molto spesso parentali, e connivenze in ampi settori dell’imprenditoria e nella pubblica amministrazione. Tutto questo rispecchia, per altro, quello che dagli stessi affiliati viene denominato il «Sistema», ovvero - spiega la Dia - una struttura di coordinamento gestionale, con obiettivi comuni, finalizzato esclusivamente al perseguimento dell’illecito arricchimento. Tuttavia, resiste la «camorra dei vicoli e delle stese», dei conflitti tra bande che si disputano il controllo dei tradizionali mercati illeciti, del racket e della droga. Infatti, «la potenza economica delle organizzazioni criminali anche campane viene assicurata principalmente dal traffico di droga».
Cults nigeriani e traffico di esseri umani
Le organizzazioni criminali nigeriane sono attive in gran parte d’Italia, con presenze importanti a Palermo, Catania e Cagliari ma anche nel Lazio e in Abruzzo, si concentrano sulla tratta di esseri umani connessa con lo sfruttamento della prostituzione e l’accattonaggio forzoso, con anche un progressivo sviluppo nel narcotraffico, gestito talvolta in collaborazione con gruppi criminali albanesi. La Relazione semestrale della Dia si sofferma con un focus sulla criminalità nigeriana, i cosiddetti secret cults, i cui tratti tipici sono l’organizzazione gerarchica, la struttura paramilitare, i riti di affiliazione, i codici di comportamento: un modus operandi che la Cassazione ha definito a tipica connotazione di «mafiosità».
Per la Dia, «appare oltremodo evidente come il contrasto alla criminalità nigeriana debba prevedere necessariamente una sua conoscenza ampia, allargata e condivisa tra le forze di polizia e la magistratura».
E’ invece impermeabile alle alleanze sul territorio a criminalità organizzata cinese, che si è dotata nel tempo di una strutturazione gerarchica incentrata principalmente su relazioni familiari e solidaristiche, chiusa e inaccessibile a “contaminazioni o collaborazioni esterne». Solo occasionalmente si rileva la realizzazione di accordi funzionali con organizzazioni italiane o la costituzione di piccole consorterie multietniche per la gestione della prostituzione, la commissione di reati finanziari e il traffico di rifiuti.
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