Da Trapani a Siracusa, così le mafie dominano in Sicilia
L'analisi | 15 settembre 2023
“Sono trascorsi trent’anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio e sono stati raggiunti risultati straordinari nel contrasto alla sfida lanciata alle Istituzioni democratiche da Totò Riina, come dimostra la cattura di Matteo Messina Denaro, della quale occorre rendere onore e merito alla Dda di Palermo ed alle forze dell’ordine che l’hanno consentita. Ma proprio la cattura di Matteo Messina Denaro dimostra che Cosa nostra esiste ancora e, superata la frattura fra corleonesi e perdenti, prosegue nei suoi traffici attraverso la strategia della sommersione che ha consentito al latitante più ricercato dell’organizzazione di farsi curare in una clinica di Palermo per un lungo periodo, come negli anni Ottanta, allorché le reti di protezione e l’omertà, ben miscelate, consentivano ad altri mafiosi latitanti di girare indisturbati per le vie della città”.
E' quanto viene sottolineato nell'ultima relazione della Dia (Direzione Incvestigativa Antimafia), presentata al Parlamento.
La Dia sottolinea che Cosa nostra è ancora forte, nonostante i colpi inferti con gli arresti, i sequestri e le confische dei capitali illeciti. Cosa nostra manterrebbe ancora il controllo del territorio in un contesto socio-economico tuttora fortemente cedevole alla pressione mafiosa.
"Nonostante le numerose attività di contrasto eseguite nel tempo - viene aggiunto nella relazione - Cosa nostra continuerebbe a manifestare spiccate capacità di adattamento e di rinnovamento per il raggiungimento dei propri scopi illeciti".
Essa, infatti, continua ad evidenziare l’operatività delle sue articolazioni in quasi tutto il territorio dell’Isola con consolidate proiezioni in altre regioni italiane e anche oltreoceano tramite i rapporti intrattenuti con esponenti di famiglie radicate da tempo all’estero. In Cosa nostra palermitana, come in quelle attive nelle province occidentali e orientali della Sicilia, la prolungata assenza al vertice di una autorevole e riconosciuta leadership starebbe favorendo l’affermazione a capo di mandamenti e famiglie di nuovi esponenti che vantano un’origine familiare mafiosa. Non mancherebbero, tuttavia, i tentativi da parte di anziani uomini d’onore, recentemente ritornati in libertà, di riaccreditarsi all’interno dei sodalizi di appartenenza. Nel territorio siciliano si registra altresì la presenza di altre organizzazioni mafiose sia autoctone, sia straniere, che riescono a coesistere con cosa nostra in ragione di un’ampia varietà di rapporti e di mutevoli equilibri.
La Dia traccia quindi un bilancio positivo per quanto riguarda la battaglia di opposizione alle consorterie mafiose ma mette anche le mani avanti affinché non si abbassi la guardia.
La relazione della Dia ha analizzato le situazioni nello specifico, provincia per provincia.
Ad Agrigento continua a registrarsi l’operatività anche della stidda e di altri sodalizi paramafiosi, come paracchi e famigghiedde.
In provincia di Catania e, più in generale nella Sicilia Orientale, risultano ancora attive importanti famiglie mafiose riconducibili a Cosa nostra che al suo modello fanno riferimento sotto gli aspetti organizzativo, funzionale e criminale. In tale contesto territoriale, operano, inoltre, altri sodalizi di tipo mafioso non ricompresi in cosa nostra che possiedono la medesima articolazione delle famiglie di Catania e, in altri casi, alternano ad una matrice banditesca schemi organizzativi adattivi e fluidi tipici dei quartieri in cui i tali gruppi insistono. Le “…organizzazioni mafiose del distretto si sono mosse con una strategia tesa a consolidare il controllo sociale del territorio, ritenuto elemento fondamentale per la loro stessa sopravvivenza e condizione imprescindibile per qualsiasi strategia criminale di accumulo di ricchezza; si confermano quindi le caratteristiche strutturali ed operative delle associazioni di tipo mafioso radicate sul territorio e la loro composizione organica.”
Evidente, inoltre, è la propensione dei sodalizi catanesi ad espandere la loro zona di influenza nei contesti circostanti. Difatti, nelle province di Siracusa e Ragusa risultano tangibili le influenze di Cosa nostra catanese e, in misura più ridotta, anche della stidda gelese. Tuttavia, grazie al “…meritorio impegno della polizia di Stato, dell’arma dei carabinieri, della guardia di finanza, della Direzione Investigativa Antimafia, sono stati sviluppati efficaci interventi nei confronti delle diverse articolazioni di Cosa nostra e nei confronti delle altre consorterie criminali di tipo mafioso insediate nel distretto - tra queste ultime i clan della stidda di Ragusa - con l’esecuzione di numerosissime ordinanze di custodia cautelare, per il delitto previsto dall’art. 416-bis del codice penale...”.
L’ormai consolidata strategia di “sommersione” dettata dalle organizzazioni siciliane prevede il minimale ricorso alla violenza al fine di evitare allarme sociale e garantire, nel contempo, un “sereno” arricchimento economico tramite l’acquisizione di maggiori e nuove posizioni di potere. Nel periodo di riferimento dalla Dia vengono confermati quali principali interessi criminali delle mafie siciliane, il traffico di stupefacenti, le estorsioni, l’infiltrazione nei comparti della pubblica amministrazione, nell’economia legale, nel gioco e nelle scommesse online, settore quest’ultimo che garantisce una singolare modalità di controllo del territorio, strumentale anche per il riciclaggio dei capitali illecitamente accumulati. Nel traffico degli stupefacenti si conferma la capacità di cosa nostra di instaurare relazioni commerciali e di stringere alleanze o forme di cooperazione con altre matrici mafiose, quali ‘ndrangheta e camorra, per l’acquisto di ingenti quantitativi su larga scala. Dalle attività investigative concluse nel periodo di riferimento è emerso come Cosa nostra, per l’approvvigionamento di cocaina, abbia mantenuto un privilegiato canale di negoziazione soprattutto con le cosche calabresi. Tuttavia non può escludersi che cosa nostra riesca, nel tempo, a riattivare i vecchi flussi con i fornitori del continente americano e riacquisire lo storico ruolo di player internazionale nell’ambito del narcotraffico.
Un altro ambito criminale preferito dalle organizzazioni mafiose è quello delle estorsioni, considerato strategico per il sostentamento dei familiari dei detenuti e mediante il quale i clan esprimono un più incisivo “controllo” del territorio. Oltre alla richiesta del tradizionale “pizzo”, tuttavia, emergono modus operandi alternativi in base ai quali le organizzazioni criminali tenderebbero a prediligere forme più subdole e meno evidenti di imposizione estorsiva: alle consegne di denaro, ad esempio, si sostituirebbero le assunzioni o le forniture di materiali. La datata rinuncia a strategie di aperta contrapposizione allo Stato, unitamente all’assenza di una leadership carismatica che governi la struttura di vertice, non può tuttavia indurre all’errata convinzione che cosa nostra sia ormai indebolita né che abbia perso la sua contiguità con il tessuto vitale nel territorio palermitano o regionale. Le dichiarazioni rese dal procuratore della Repubblica di Palermo in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario vanno esattamente in questa direzione: “Cosa nostra è in un’oggettiva situazione di profonda difficoltà che deriva anche dalle indagini che sono state svolte e che hanno portato il 16 gennaio alla cattura di Matteo Messina Denaro, ma non solo da quello. Ma cosa nostra… è tutt’altro che sconfitta. In questo momento mentre stiamo parlando le evidenze investigative attuali ci dimostrano che esiste una fortissima tensione all’interno dell’organizzazione volta a tentare l’ennesima ristrutturazione…. Nessuno può pensare appunto – e questo è fenomeno per me di preoccupazione – perché è stato detto anche da autorevoli esponenti anche della magistratura, non di quella palermitana naturalmente, che cosa nostra sia stata sconfitta e basta…. Attenzione allora a fare passare, e il pericolo c’è, un messaggio profondamente sbagliato… è il momento questo di incrementare gli sforzi per arrivare alla sconfitta di Cosa nostra e non di limitarsi ad una manifestazione astratta di soddisfazione per i risultati più importantissimi che sono stati conseguiti”. Cosa nostra palermitana è tradizionalmente suddivisa ancora in mandamenti e famiglie la cui consistenza numerica rimarrebbe invariata sia nel capoluogo, sia nella provincia.
Cosa nostra trapanese, nel conservare le tradizionali connotazioni strutturali, continua a svolgere le proprie attività criminali, soprattutto, infiltrandosi nel tessuto economico legale grazie alla “inquietante riservata e putrida interlocuzione, al di là della rilevanza penale, fra esponenti mafiosi ed amministratori locali”, come dichiarato dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Palermo all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023. Il connubio politico-mafioso in questo particolare territorio risulta spesso in grado di generare inquinamenti dell’attività amministrativa nella gestione della cosa pubblica. Al riguardo, nel semestre in esame, rileva anche la sentenza della Corte d’Appello, conseguente all’operazione “Scrigno” del 2019, che ha aggravato le condanne per associazione mafiosa e scambio elettorale politico-mafioso di alcuni uomini d’onore, riformando parzialmente la decisione di primo grado emessa nel novembre 2020. Nonostante il carattere “silente e mercantistico” di Cosa nostra trapanese, non mancano atti intimidatori in danno di attività commerciali e imprenditori che, seppur di non emergente allarme sociale, continuano, comunque, a far ritenere il fenomeno ancora radicato e mai completamente sopito.
Nel territorio della provincia di Agrigento coesistono due distinte organizzazioni criminali: cosa nostra e stidda. Dagli esiti dell’indagine “Xydy”, conclusa nel 2021, è emerso, infatti, come Cosa nostra e stidda abbiamo sancito un reciproco accordo di “pace” con cui avrebbero instaurato anche rapporti finalizzati alla risoluzione di problematiche ed alla individuazione e spartizione delle rispettive attività criminali. L’inchiesta ha altresì documentato numerosi summit, tra i rappresentanti delle due compagini criminali, nello studio legale di una “…nota penalista agrigentina impegnata nell’intero Distretto di Palermo in numerosi processi alle cosche mafiose nonché compagna dell’uomo d’onore già condannato per partecipazione all’associazione mafiosa...”, la quale “aveva deciso di dismettere la toga ed indossare i panni della sodale mafiosa, assurgendo pian piano addirittura al ruolo di vera e propria organizzatrice del mandamento mafioso di Canicattì".
Tuttavia, nonostante la presenza nel territorio della stidda e di alcuni gruppi criminali su base familiare, denominati famigghiedde e paracchi, ancora oggi la principale consorteria mafiosa resta sempre Cosa nostra, articolata in 7 mandamenti (Agrigento, Burgio, del Belice, Santa Elisabetta, Cianciana, Canicattì e Palma di Montechiaro) nel cui ambito opererebbero 42 famiglie82. La mafia agrigentina, sebbene ancorata alle tradizioni, cerca di mutare strategia preferendo le pratiche corruttive all’uso della violenza, benché tra alcune articolazioni nel tempo si siano registrati contrasti interni che hanno generato azioni violente.
Nel territorio nisseno si conferma la perdurante operatività di più articolazioni mafiose sempre protese alla silenziosa infiltrazione del tessuto socio-economico in luogo del tradizionale ricorso ad eclatanti atti intimidatori e di violenza105. Nella provincia di Caltanissetta coesistono, come detto, cosa nostra e stidda i cui rapporti si mantengono tendenzialmente pacifici in ragione dei reciproci accordi intercorsi per una più remunerativa spartizione degli affari criminali. L’articolazione di cosa nostra risulterebbe invariata: nella parte settentrionale della provincia, i mandamenti di Mussomeli e di Vallelunga Pratameno sotto l’influenza della famiglia Madonia, sul versante meridionale invece i mandamenti di Riesi e Gela. Nell’ambito di quest’ultimo mandamento, oltre alla famiglia di Niscemi, operano le locali famiglie di cosa nostra degli Emmanuello e dei Rinzivillo. In tale quadro si segnalano le scarcerazioni di tre uomini d’onore delle famiglie mafiose di Gela, Campofranco e Mazzarino che potrebbero rivelarsi determinanti sulle dinamiche per la riorganizzazione interna a Cosa nostra. La stidda, invece, continua a mantenere la sua influenza nei territori dei Comuni di Gela e Niscemi.
La principale organizzazione mafiosa attiva nel territorio ennese permane Cosa nostra, naturale propagazione delle limitrofe espressioni criminali nissene, messinesi e, soprattutto, catanesi. Queste ultime hanno portato avanti un processo di progressiva espansione, soprattutto nella zona nord-est dell’ennese, stringendo rapporti di collaborazione con la criminalità locale e approfittando delle affievolite capacità dei sodalizi ennesi notevolmente ridimensionati dai numerosi arresti. Le articolazioni mafiose non risulterebbero variate rispetto al passato e il territorio provinciale appare suddiviso in 5 storiche famiglie che agiscono tra Enna, Barrafranca, Pietraperzia, Villarosa e Calascibetta. Alle predette risultano collegati alcuni gruppi attivi a Piazza Armerina, Aidone, Agira, Valguarnera Caropepe, Leonforte, Centuripe, Regalbuto, Troina e Catenanuova.
In provincia di Catania agiscono importanti famiglie mafiose riconducibili a cosa nostra e che al suo modello fanno riferimento sotto gli aspetti strutturale e operativo. In questo versante siciliano, cosa nostra è rappresentata dalle storiche famiglie Santapaolo-Ercolano e Mazzei a Catania, La Rocca a Caltagirone nel comprensorio “Calatino-Sud Simeto”, mentre a Ramacca si riscontra l’operatività dell’omonima famiglia. Tuttavia, nel capoluogo e nel territorio della provincia catanese, unitamente alle famiglie sopraelencate, risultano attive organizzazioni di tipo mafioso, non appartenenti a Cosa nostra e neanche sottoposte a questa.
Nella città di Siracusa viene confermata la presenza di organizzazioni mafiose che esercitano la loro influenza in ambiti territoriali ben definiti. Nel quadrante nord della città risulterebbe attivo il gruppo Santa Panagia, frangia cittadina della ramificata compagine Nardo-Aparo-Trigila collegata, a sua volta, alla famiglia Santapaola-Ercolano di Cosa nostra catanese.
Sul piano criminale, la provincia di Messina è caratterizzata da un crocevia di traffici illeciti in cui si registrano alleanze tra diverse matrici mafiose. La mafia messinese, infatti, si confronta con cosa nostra palermitana, con quella catanese e con le cosche ‘ndranghetiste assumendo, di fatto, caratteristiche mutevoli in base ai differenti territori della provincia in cui agisce. Nell’area nord-ovest, risultano presenti articolazioni mafiose con peculiarità e modus operandi assimilabili a Cosa nostra palermitana, mentre nel capoluogo, nella fascia ionica e in quella a sud della provincia sino ai confini con quella di Catania, risente dell’influenza dei gruppi criminali etnei. In tali contesti, si manifestano gli effetti sia dei tradizionali reati di criminalità mafiosa, sia dell’ingerenza nei settori nevralgici dell’economia e della finanza grazie, anche, a taluni comportamenti collusivi di imprenditori, professionisti e locali funzionari pubblici.
In provincia di Ragusa coesistono, ormai da tempo, due distinte organizzazioni mafiose: la stidda radicata nei territori di Vittoria, Comiso, Acate e Scicli e cosa nostra che, influenzata dalle consorterie catanesi, è attiva nel restante ambito provinciale. A Vittoria si registra un assetto sostanzialmente stabile dell’organizzazione stiddara in cui il clan Dominante-Carbonaro si confermerebbe quale sodalizio di maggiore influenza nonostante lo stato di detenzione del promotore e del reggente, quest’ultimo esponente del sodalizio stiddaro dei Marmarari. Proprio nella città ipparina, le consorterie mafiose continuano ad infiltrarsi, prevalentemente, nel settore dell’agroalimentare. È noto come il mercato ortofrutticolo di Vittoria rivesta una particolare importanza nel piano nazionale costituendo l’hub principale per la raccolta e lo smistamento della produzione agricola. Nel semestre in esame, è emersa la figura di un imprenditore vittoriese che, grazie all’appoggio della stidda, avrebbe assunto una posizione dominante nel settore degli imballaggi dei prodotti ortofrutticoli. Quest’ultimo, peraltro, è già stato colpito anche da una confisca203 di beni per un valore complessivo di circa 23 milioni di euro.
di Giuseppe Martorana
E' quanto viene sottolineato nell'ultima relazione della Dia (Direzione Incvestigativa Antimafia), presentata al Parlamento.
La Dia sottolinea che Cosa nostra è ancora forte, nonostante i colpi inferti con gli arresti, i sequestri e le confische dei capitali illeciti. Cosa nostra manterrebbe ancora il controllo del territorio in un contesto socio-economico tuttora fortemente cedevole alla pressione mafiosa.
"Nonostante le numerose attività di contrasto eseguite nel tempo - viene aggiunto nella relazione - Cosa nostra continuerebbe a manifestare spiccate capacità di adattamento e di rinnovamento per il raggiungimento dei propri scopi illeciti".
Essa, infatti, continua ad evidenziare l’operatività delle sue articolazioni in quasi tutto il territorio dell’Isola con consolidate proiezioni in altre regioni italiane e anche oltreoceano tramite i rapporti intrattenuti con esponenti di famiglie radicate da tempo all’estero. In Cosa nostra palermitana, come in quelle attive nelle province occidentali e orientali della Sicilia, la prolungata assenza al vertice di una autorevole e riconosciuta leadership starebbe favorendo l’affermazione a capo di mandamenti e famiglie di nuovi esponenti che vantano un’origine familiare mafiosa. Non mancherebbero, tuttavia, i tentativi da parte di anziani uomini d’onore, recentemente ritornati in libertà, di riaccreditarsi all’interno dei sodalizi di appartenenza. Nel territorio siciliano si registra altresì la presenza di altre organizzazioni mafiose sia autoctone, sia straniere, che riescono a coesistere con cosa nostra in ragione di un’ampia varietà di rapporti e di mutevoli equilibri.
La Dia traccia quindi un bilancio positivo per quanto riguarda la battaglia di opposizione alle consorterie mafiose ma mette anche le mani avanti affinché non si abbassi la guardia.
La relazione della Dia ha analizzato le situazioni nello specifico, provincia per provincia.
Ad Agrigento continua a registrarsi l’operatività anche della stidda e di altri sodalizi paramafiosi, come paracchi e famigghiedde.
In provincia di Catania e, più in generale nella Sicilia Orientale, risultano ancora attive importanti famiglie mafiose riconducibili a Cosa nostra che al suo modello fanno riferimento sotto gli aspetti organizzativo, funzionale e criminale. In tale contesto territoriale, operano, inoltre, altri sodalizi di tipo mafioso non ricompresi in cosa nostra che possiedono la medesima articolazione delle famiglie di Catania e, in altri casi, alternano ad una matrice banditesca schemi organizzativi adattivi e fluidi tipici dei quartieri in cui i tali gruppi insistono. Le “…organizzazioni mafiose del distretto si sono mosse con una strategia tesa a consolidare il controllo sociale del territorio, ritenuto elemento fondamentale per la loro stessa sopravvivenza e condizione imprescindibile per qualsiasi strategia criminale di accumulo di ricchezza; si confermano quindi le caratteristiche strutturali ed operative delle associazioni di tipo mafioso radicate sul territorio e la loro composizione organica.”
Evidente, inoltre, è la propensione dei sodalizi catanesi ad espandere la loro zona di influenza nei contesti circostanti. Difatti, nelle province di Siracusa e Ragusa risultano tangibili le influenze di Cosa nostra catanese e, in misura più ridotta, anche della stidda gelese. Tuttavia, grazie al “…meritorio impegno della polizia di Stato, dell’arma dei carabinieri, della guardia di finanza, della Direzione Investigativa Antimafia, sono stati sviluppati efficaci interventi nei confronti delle diverse articolazioni di Cosa nostra e nei confronti delle altre consorterie criminali di tipo mafioso insediate nel distretto - tra queste ultime i clan della stidda di Ragusa - con l’esecuzione di numerosissime ordinanze di custodia cautelare, per il delitto previsto dall’art. 416-bis del codice penale...”.
L’ormai consolidata strategia di “sommersione” dettata dalle organizzazioni siciliane prevede il minimale ricorso alla violenza al fine di evitare allarme sociale e garantire, nel contempo, un “sereno” arricchimento economico tramite l’acquisizione di maggiori e nuove posizioni di potere. Nel periodo di riferimento dalla Dia vengono confermati quali principali interessi criminali delle mafie siciliane, il traffico di stupefacenti, le estorsioni, l’infiltrazione nei comparti della pubblica amministrazione, nell’economia legale, nel gioco e nelle scommesse online, settore quest’ultimo che garantisce una singolare modalità di controllo del territorio, strumentale anche per il riciclaggio dei capitali illecitamente accumulati. Nel traffico degli stupefacenti si conferma la capacità di cosa nostra di instaurare relazioni commerciali e di stringere alleanze o forme di cooperazione con altre matrici mafiose, quali ‘ndrangheta e camorra, per l’acquisto di ingenti quantitativi su larga scala. Dalle attività investigative concluse nel periodo di riferimento è emerso come Cosa nostra, per l’approvvigionamento di cocaina, abbia mantenuto un privilegiato canale di negoziazione soprattutto con le cosche calabresi. Tuttavia non può escludersi che cosa nostra riesca, nel tempo, a riattivare i vecchi flussi con i fornitori del continente americano e riacquisire lo storico ruolo di player internazionale nell’ambito del narcotraffico.
Un altro ambito criminale preferito dalle organizzazioni mafiose è quello delle estorsioni, considerato strategico per il sostentamento dei familiari dei detenuti e mediante il quale i clan esprimono un più incisivo “controllo” del territorio. Oltre alla richiesta del tradizionale “pizzo”, tuttavia, emergono modus operandi alternativi in base ai quali le organizzazioni criminali tenderebbero a prediligere forme più subdole e meno evidenti di imposizione estorsiva: alle consegne di denaro, ad esempio, si sostituirebbero le assunzioni o le forniture di materiali. La datata rinuncia a strategie di aperta contrapposizione allo Stato, unitamente all’assenza di una leadership carismatica che governi la struttura di vertice, non può tuttavia indurre all’errata convinzione che cosa nostra sia ormai indebolita né che abbia perso la sua contiguità con il tessuto vitale nel territorio palermitano o regionale. Le dichiarazioni rese dal procuratore della Repubblica di Palermo in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario vanno esattamente in questa direzione: “Cosa nostra è in un’oggettiva situazione di profonda difficoltà che deriva anche dalle indagini che sono state svolte e che hanno portato il 16 gennaio alla cattura di Matteo Messina Denaro, ma non solo da quello. Ma cosa nostra… è tutt’altro che sconfitta. In questo momento mentre stiamo parlando le evidenze investigative attuali ci dimostrano che esiste una fortissima tensione all’interno dell’organizzazione volta a tentare l’ennesima ristrutturazione…. Nessuno può pensare appunto – e questo è fenomeno per me di preoccupazione – perché è stato detto anche da autorevoli esponenti anche della magistratura, non di quella palermitana naturalmente, che cosa nostra sia stata sconfitta e basta…. Attenzione allora a fare passare, e il pericolo c’è, un messaggio profondamente sbagliato… è il momento questo di incrementare gli sforzi per arrivare alla sconfitta di Cosa nostra e non di limitarsi ad una manifestazione astratta di soddisfazione per i risultati più importantissimi che sono stati conseguiti”. Cosa nostra palermitana è tradizionalmente suddivisa ancora in mandamenti e famiglie la cui consistenza numerica rimarrebbe invariata sia nel capoluogo, sia nella provincia.
Cosa nostra trapanese, nel conservare le tradizionali connotazioni strutturali, continua a svolgere le proprie attività criminali, soprattutto, infiltrandosi nel tessuto economico legale grazie alla “inquietante riservata e putrida interlocuzione, al di là della rilevanza penale, fra esponenti mafiosi ed amministratori locali”, come dichiarato dal procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Palermo all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2023. Il connubio politico-mafioso in questo particolare territorio risulta spesso in grado di generare inquinamenti dell’attività amministrativa nella gestione della cosa pubblica. Al riguardo, nel semestre in esame, rileva anche la sentenza della Corte d’Appello, conseguente all’operazione “Scrigno” del 2019, che ha aggravato le condanne per associazione mafiosa e scambio elettorale politico-mafioso di alcuni uomini d’onore, riformando parzialmente la decisione di primo grado emessa nel novembre 2020. Nonostante il carattere “silente e mercantistico” di Cosa nostra trapanese, non mancano atti intimidatori in danno di attività commerciali e imprenditori che, seppur di non emergente allarme sociale, continuano, comunque, a far ritenere il fenomeno ancora radicato e mai completamente sopito.
Nel territorio della provincia di Agrigento coesistono due distinte organizzazioni criminali: cosa nostra e stidda. Dagli esiti dell’indagine “Xydy”, conclusa nel 2021, è emerso, infatti, come Cosa nostra e stidda abbiamo sancito un reciproco accordo di “pace” con cui avrebbero instaurato anche rapporti finalizzati alla risoluzione di problematiche ed alla individuazione e spartizione delle rispettive attività criminali. L’inchiesta ha altresì documentato numerosi summit, tra i rappresentanti delle due compagini criminali, nello studio legale di una “…nota penalista agrigentina impegnata nell’intero Distretto di Palermo in numerosi processi alle cosche mafiose nonché compagna dell’uomo d’onore già condannato per partecipazione all’associazione mafiosa...”, la quale “aveva deciso di dismettere la toga ed indossare i panni della sodale mafiosa, assurgendo pian piano addirittura al ruolo di vera e propria organizzatrice del mandamento mafioso di Canicattì".
Tuttavia, nonostante la presenza nel territorio della stidda e di alcuni gruppi criminali su base familiare, denominati famigghiedde e paracchi, ancora oggi la principale consorteria mafiosa resta sempre Cosa nostra, articolata in 7 mandamenti (Agrigento, Burgio, del Belice, Santa Elisabetta, Cianciana, Canicattì e Palma di Montechiaro) nel cui ambito opererebbero 42 famiglie82. La mafia agrigentina, sebbene ancorata alle tradizioni, cerca di mutare strategia preferendo le pratiche corruttive all’uso della violenza, benché tra alcune articolazioni nel tempo si siano registrati contrasti interni che hanno generato azioni violente.
Nel territorio nisseno si conferma la perdurante operatività di più articolazioni mafiose sempre protese alla silenziosa infiltrazione del tessuto socio-economico in luogo del tradizionale ricorso ad eclatanti atti intimidatori e di violenza105. Nella provincia di Caltanissetta coesistono, come detto, cosa nostra e stidda i cui rapporti si mantengono tendenzialmente pacifici in ragione dei reciproci accordi intercorsi per una più remunerativa spartizione degli affari criminali. L’articolazione di cosa nostra risulterebbe invariata: nella parte settentrionale della provincia, i mandamenti di Mussomeli e di Vallelunga Pratameno sotto l’influenza della famiglia Madonia, sul versante meridionale invece i mandamenti di Riesi e Gela. Nell’ambito di quest’ultimo mandamento, oltre alla famiglia di Niscemi, operano le locali famiglie di cosa nostra degli Emmanuello e dei Rinzivillo. In tale quadro si segnalano le scarcerazioni di tre uomini d’onore delle famiglie mafiose di Gela, Campofranco e Mazzarino che potrebbero rivelarsi determinanti sulle dinamiche per la riorganizzazione interna a Cosa nostra. La stidda, invece, continua a mantenere la sua influenza nei territori dei Comuni di Gela e Niscemi.
La principale organizzazione mafiosa attiva nel territorio ennese permane Cosa nostra, naturale propagazione delle limitrofe espressioni criminali nissene, messinesi e, soprattutto, catanesi. Queste ultime hanno portato avanti un processo di progressiva espansione, soprattutto nella zona nord-est dell’ennese, stringendo rapporti di collaborazione con la criminalità locale e approfittando delle affievolite capacità dei sodalizi ennesi notevolmente ridimensionati dai numerosi arresti. Le articolazioni mafiose non risulterebbero variate rispetto al passato e il territorio provinciale appare suddiviso in 5 storiche famiglie che agiscono tra Enna, Barrafranca, Pietraperzia, Villarosa e Calascibetta. Alle predette risultano collegati alcuni gruppi attivi a Piazza Armerina, Aidone, Agira, Valguarnera Caropepe, Leonforte, Centuripe, Regalbuto, Troina e Catenanuova.
In provincia di Catania agiscono importanti famiglie mafiose riconducibili a cosa nostra e che al suo modello fanno riferimento sotto gli aspetti strutturale e operativo. In questo versante siciliano, cosa nostra è rappresentata dalle storiche famiglie Santapaolo-Ercolano e Mazzei a Catania, La Rocca a Caltagirone nel comprensorio “Calatino-Sud Simeto”, mentre a Ramacca si riscontra l’operatività dell’omonima famiglia. Tuttavia, nel capoluogo e nel territorio della provincia catanese, unitamente alle famiglie sopraelencate, risultano attive organizzazioni di tipo mafioso, non appartenenti a Cosa nostra e neanche sottoposte a questa.
Nella città di Siracusa viene confermata la presenza di organizzazioni mafiose che esercitano la loro influenza in ambiti territoriali ben definiti. Nel quadrante nord della città risulterebbe attivo il gruppo Santa Panagia, frangia cittadina della ramificata compagine Nardo-Aparo-Trigila collegata, a sua volta, alla famiglia Santapaola-Ercolano di Cosa nostra catanese.
Sul piano criminale, la provincia di Messina è caratterizzata da un crocevia di traffici illeciti in cui si registrano alleanze tra diverse matrici mafiose. La mafia messinese, infatti, si confronta con cosa nostra palermitana, con quella catanese e con le cosche ‘ndranghetiste assumendo, di fatto, caratteristiche mutevoli in base ai differenti territori della provincia in cui agisce. Nell’area nord-ovest, risultano presenti articolazioni mafiose con peculiarità e modus operandi assimilabili a Cosa nostra palermitana, mentre nel capoluogo, nella fascia ionica e in quella a sud della provincia sino ai confini con quella di Catania, risente dell’influenza dei gruppi criminali etnei. In tali contesti, si manifestano gli effetti sia dei tradizionali reati di criminalità mafiosa, sia dell’ingerenza nei settori nevralgici dell’economia e della finanza grazie, anche, a taluni comportamenti collusivi di imprenditori, professionisti e locali funzionari pubblici.
In provincia di Ragusa coesistono, ormai da tempo, due distinte organizzazioni mafiose: la stidda radicata nei territori di Vittoria, Comiso, Acate e Scicli e cosa nostra che, influenzata dalle consorterie catanesi, è attiva nel restante ambito provinciale. A Vittoria si registra un assetto sostanzialmente stabile dell’organizzazione stiddara in cui il clan Dominante-Carbonaro si confermerebbe quale sodalizio di maggiore influenza nonostante lo stato di detenzione del promotore e del reggente, quest’ultimo esponente del sodalizio stiddaro dei Marmarari. Proprio nella città ipparina, le consorterie mafiose continuano ad infiltrarsi, prevalentemente, nel settore dell’agroalimentare. È noto come il mercato ortofrutticolo di Vittoria rivesta una particolare importanza nel piano nazionale costituendo l’hub principale per la raccolta e lo smistamento della produzione agricola. Nel semestre in esame, è emersa la figura di un imprenditore vittoriese che, grazie all’appoggio della stidda, avrebbe assunto una posizione dominante nel settore degli imballaggi dei prodotti ortofrutticoli. Quest’ultimo, peraltro, è già stato colpito anche da una confisca203 di beni per un valore complessivo di circa 23 milioni di euro.
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