Così mafia e massoneria dominano Sicilia e Calabria
Se non si può affermare che «mafia e massoneria siano un unicum», quel che è certo è che tra le due organizzazioni «ci sono sicuramente delle relazioni» e che la massoneria non ha messo in campo anticorpi robusti per contrastare l’infiltrazione di mafia e 'ndrangheta nelle logge. Sono queste le conclusioni a cui arriva la Relazione della Commissione parlamentare antimafia, approvata all’unanimità e dedicata a Tina Anselmi, al termine dell’inchiesta condotta sulla massoneria, in particolare sulle logge siciliane e calabresi. La relatrice, la presidente dell’Antimafia Rosy Bindi, ha spiegato che «in diversi casi è stata tollerata e ricercata una "doppia militanza» alla massoneria e a organizzazioni mafiose" (un pentito eccellente ha raccontato l’importanza dell’adesione a mafia e massoneria), ha aggiunto che sono 193 i soggetti indicati dalla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo come iscritti in procedimenti penali, così come è consistente il numero di persone che, pur non indagate, imputate o condannate per delitti di mafia, hanno collegamenti con esponenti della mafia e possono costituire un anello di collegamento tra mafia e massoneria.
La Relazione evidenzia tra le altre cose una coincidenza tra i nominativi presenti nelle relazioni di scioglimento o di commissariamento di alcuni comuni, Asl, banche e la loro presenza in alcune logge, come il fatto che il vincolo di solidarietà tra fratelli consente il dialogo tra esponenti mafiosi e chi amministra la giustizia, legittimando richieste di intervento per mutare il corso di processi e impone il silenzio», come emerge chiaramente «in un caso di estrema gravità». Per la Commissione Antimafia ce ne è abbastanza per mettere mano alla legge impropriamente detta Anselmi e che sarebbe giusto chiamare Spadolini: «è un’offesa - ha detto Bindi - mettere il nome della Anselmi ad una legge incostituzionale, che smentisce il lavoro che lei ha fatto sulla loggia P2. La legge Spadolini ha consentito l’uso della segretezza in nome del fatto che si perseguono fini leciti, di fatto contravvenendo all’articolo 18 della Costituzione. E' indispensabile intervenire». Per Mattiello la relazione evidenzia come si siano creati in alcune obbedienze degli «ecosistemi accoglienti» all’ infiltrazione della criminalità «per il fatto che non si sono assunte contromisure sul piano della trasparenza e della denuncia». Di Lello ha evidenziato che «questo lavoro servirà al legislatore e alle procure». Nuti ha parlato di «relazione shock: mafia e ndrangheta sono infiltrate nello Stato, Mattarella deve intervenire». Gaetti ha chiarito che M5S è pronta a scendere in piazza se la legge Spadolini-Anselmi non verrà modificata. La relazione non contiene nomi, «persino per l’Antimafia è impossibile di fare i nomi degli iscritti: è un paradosso il fatto che possa essere noto il nome di un condannato per 416 bis ma non possa esserlo se è stato iscritto ad una loggia. E’ un abuso di segretezza», ha concluso Bindi.
L'ira del Gran maestro della loggia Goi
Il Gran Maestro della loggia Goi (il Grande Oriente d’Italia) ha replicato alla presidente dell’Anti - mafia Rosy Bindi a stretto giro. «In Italia – ha attaccato Stefano Bisi - qualcuno vuole riportare indietro le lancette della storia reintroducendo di fatto leggi fasciste e illiberali soprattutto contro i massoni». Il leader del Goi ha precisato inoltre, a proposito delle infiltrazioni mafiose, che «siamo disposti a collaborare per l'accertamento della verità e che ci siamo opposti al sequestro di tutti gli elenchi perché così si criminalizza un'intera associazione». Bisi tiene infatti a ribadire che «Il Grande Oriente d'Italia è pronto a difendere il suo sacrosanto diritto all'esistenza e alla riservatezza dei suoi iscritti nel pieno rispetto della legge e della Costituzione italiana». Sono oltre 17mila gli iscritti nelle obbedienze massoniche di Sicilia e Calabria: 9 mila appartengono alle logge calabresi, mentre nell’Isola si contano qualcosa come 7819 affiliati.
Il potere delle logge Tra Palermo e Trapani
Secondo il pentito Francesco Campanella, mafioso e massone: «C’erano persone importanti che determinavano gestione di potere come pubblici funzionari, avvocati, notai, magistrati. La massoneria aveva importanza nella città di Palermo in termini di potere economico, politico, decisionale, quindi aveva senso che io stessi anche all’interno di questa organizzazione». Campanella è l’ex consigliori di Cosa nostra al Comune di Villabate, l’uomo che procurò a Bernardo Provenzano la carta d’identità per andarsi ad operare a Marsiglia. Sono due le vicende salienti del racconto riportate dall’Antimafia. In primo luogo, Campanella spiega che grazie ad alcuni confratelli massoni, era riuscito a carpire informazioni utili dai Monopoli di Stato per la gestione delle sale Bingo facenti capo alla mafia «nel momento più delicato in cui era intervenuto l'arresto di Mandalà, e si temeva che tali esercizi potessero essere sequestrati». In secondo luogo, il collaboratore di giustizia rivela che «esisteva un terzo livello di soggetti in relazione direttamente con Bernardo Provenzano, all'epoca, che consentiva alla mafia di avere benefici a livello di informazione da forze dell'ordine, magistrati, servizi segreti, ecc. (..) a un terzo livello dove c'era di mezzo la massoneria». Il pentito riferisce di uno specifico episodio di «fughe di notizie» di cui fu protagonista diretto. «In quel momento specifico in cui Mandalà era nelle grazie di Provenzano e gestiva la latitanza –dichiara Campanella - Provenzano comunica a Mandalà, esattamente la settimana prima che sarà arrestato, che si deve fare arrestare, che cambierà covo, quindi di non parlare, di mettere tutto a posto. Mandalà lo comunica a me: “Mi arresteranno, fai riferimento a mio padre” Ma le conclusioni a cui è arrivata l’indagine della commissione antimafia sulla massoneria dicono che mai come ora i “fratelli” vanno a braccetto con gli uomini delle cosche. Anche Castelvetrano, per esempio, il paese che oltre ad essere quello d’origine di Matteo Messina Denaro, è certamente uno dei luoghi d’Italia in cui si registra una grande voglia di massoneria: ben sei delle diciannove logge del Trapanese sono a Castelvetrano, quattro assessori su cinque dell’ultima giunta sono risultati iscritti alle logge così come sette consiglieri su trenta dell’assemblea poi sciolta per mafia e commissariata. Quando, a luglio dell’anno scorso, i commissari dell’Antimafia sono andati in missione tra Palermo e Trapani si sono subito resi conto che da quelle parti l’intreccio di potere venuto fuori negli anni caldi delle inchieste su mafia e massoneria nel Trapanese, dalla loggia Scontrino al caso Rostagno, è ancora attualissimo e che persino tra i più giovani c’è una grande voglia di quel vincolo di solidarietà tra fratelli che - si legge nella relazione - «consente il dialogo tra esponenti mafiosi e chi amministra la giustizia, legittima richieste di intervento per mutare il corso dei processi e impone il silenzio».
Le strane coincidenze ai vertici bancari
«C’è una coincidenza - nota l’Antimafia - tra i nominativi presenti nelle relazioni di scioglimento o di commissariamento di alcuni enti pubblici, di alcune Asl o di banche e la loro presenza in alcune logge: questo si evidenzia soprattutto a Castelvetrano. Nelle ultime due consiliature del comune di Castelvetrano hanno assunto cariche elettive o sono stati membri di giunta almeno 17 iscritti alle quattro obbedienze». Politica ma non solo. La commissione presieduta dalla Bindi ha acceso i riflettori anche sulle banche del Trapanese. Il caso più evidente è quello della Banca di credito cooperativo di Paceco ‘Senatore Pietro Grammatico’, sottoposta ad amministrazione giudiziaria e ora confluita nella Bcc Don rizzo. Negli atti si riporta che all’interno dell’istituto c’erano 326 persone con evidenze giudiziarie, undici delle quali, dipendenti della banca, collegate con la criminalità organizzata. Dalle verifiche della Commissione antimafia, emerge che ben undici tra esponenti della dirigenza aziendale e dipendenti hanno fatto parte di una loggia massonica.
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