Carissime bollette

L'analisi | 2 settembre 2022
Condividi su WhatsApp Twitter
1.Con il gas si può anche morire

Chiamiamo le cose con il loro nome. Con franchezza. Se non si approntano con urgenza rimedi all’impennata shock della bolletta del gas l’Italia finisce a carte quarantotto. Al punto che crisi finanziaria-economica dal 2008-2009 al 2020 e crisi economica dal 2020 provocata dal lockdown per il Covid-19 a confronto somiglierebbero a modeste punture di spillo. Stavolta l’Italia accappotta. Travolta da un intreccio di crisi energetica, geopolitica conflittuale, speculazioni e scommesse in borsa sul fallimento del nostro paese, chiusure di centinaia di migliaia di attività finite fuori mercato nei settori commercio, artigianato, servizi, accoglienza, ristorazione, industria, agricoltura. Con milioni di disoccupati. Con un micidiale calo del tenore di vita collettivo e con una esplosione della povertà.
Il criminale di guerra russo Vladimir Putin ci ha messo del suo scatenando un conflitto che lascerà niente come prima stante la sequela di azioni e reazioni che si trascina dietro l’avventurarsi in ostilità belliche. Ma la crisi in corso, di certo ingigantita dal conflitto, è iniziata “prima” dell’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. Nel 2021 la pandemia allenta la presa. Può essere combattuta con i vaccini. Mercati e scambi commerciali riprendono fiato nel mondo. E’ allora che economisti, analisti ed esperti vari commettono un colossale errore di valutazione. Non si rendono conto che la ripresa sarà forte, sostenuta. Perciò richiederebbe “macchine avanti tutta” in termini di energia, materie prime, semilavorati da mettere a disposizione. Invece si è in ritardo su tutti i fronti. Le consegne rallentano. Ricordate quanti mesi occorrevano per la consegna di una automobile nuova acquistata? Il rimettersi al passo non è uniforme. Con l’impietosa legge della domanda e dell’offerta che impera su tutto, i prezzi cominciano la loro inarrestabile salita, la produzione non basta. Nel mondo globalizzato entrato in crisi scatta l’incontrollabile spirale degli aumenti. Nelle materie prime, nei trasporti. Un iniziale carico pesante lo mettono al tavolo da gioco Cina e India con la loro impennata della domanda di energia e materie prime.
Qualcosa di simile si è rivissuto ancora recentemente, nell’estate 2022, nel trasporto aereo. Spettacolare il rilancio del settore. Tante compagnie aeree europee importanti sono state costrette a cancellare migliaia di voli. Erano rimaste a corto di equipaggi e dipendenti a terra, licenziati in massa nel 2020 nell’anno funesto di fermo dei velivoli nel mondo bloccato. Quando nei mesi scorsi ci si è resi conto della situazione era già tardi, considerati i tempi tecnici necessari per le riassunzioni e la formazione. Risultato? Disservizi giganteschi al pari dei danni economici. Anche in questo caso il boom degli spostamenti per turismo ma anche per lavoro dopo quasi due anni di magra non era stato previsto nella consistenza con cui si è verificato. Non ci si è saputi attrezzare per gestirlo.
Petrolio e gas sono sempre stati strumenti della geopolitica prima ancora che dell’economia. Figuriamoci adesso con una guerra di serie A in corso. Così il gioco è fatto: chi non dispone di energia prodotta in casa – ovvero per primo il continente europeo, con poche eccezioni come quelle di Norvegia e Gran Bretagna – barcolla e crolla. E qui arriva il secondo carico da undici, pesante, buttato sul tavolo da gioco: l’uso politico del gas da parte della cricca oligarchica affaristico-militare-cekista che regna a Mosca. Anche in questo caso: azione e reazione. Tu Occidente vari sanzioni economiche contro di me perché mi consideri aggressore di uno stato sovrano? Ti sfido; io Russia ti ripago con la stessa moneta alimentando con accorte manovre la crisi del gas. Del resto è assodato che voi europei nel giro di qualche anno non vorrete più comprare un solo metro cubo di gas russo. Era ora – aggiungiamo noi – che l’Europa si liberasse dalla dipendenza strategica dal gas russo. La Russia di Putin già da prima del 2014, anno dell’avvio dello scontro con l’Ucraina, è diventata per noi uno stato ostile, con mire imperialistiche che contrastano equilibri e ordine internazionale nel continente europeo. A Mosca sostengono che è inevitabile fare così visto che sia NATO sia Unione Europea in Europa orientale hanno fatto campagna acquisti accogliendo dopo il crollo dell’URSS del 1991 stati su stati ex sovietici ed ex Patto di Varsavia. Ma fino a prova contraria nessuna di queste nazioni è stata invasa o costretta a fare parte della UE e della NATO. Si è trattato di scelte nazionali volute, votate in modo democratico da elettori e/o da parlamenti. Contrariamente alla prassi praticata a Mosca - sovietica prima (Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968) e putiniana poi (Cecenia 1994 e 1999, Ucraina 2014 e 2022) – da Bruxelles nessuno ha mai mandato carri armati ad invadere un solo paese indipendente per costringerlo a fare parte dell’Unione Europea e/o della NATO.

2.Proposte per ridurre i costi fuori controllo dell’energia

Sia come sia, dal cilindro della geopolitica ora escono fuori non solo i venti di guerra – oramai soffiano con la violenza degli uragani – ma anche connesse crisi economiche, finanziarie e, a monte, energetiche. Appunto, in tema di energia, come arginare il finimondo che è scoppiato? Fioccano decine di proposte. Logico in tempi di insensata campagna elettorale estiva seguita al Draghicidio del premier italiano più ascoltato, considerato, autorevole nel mondo. Ma, si sa, noi italiani siamo fantasiosi. Siamo italiani. Ed è tutto dire. I nostri leader partitici probabilmente non sarebbero capaci di amministrare un piccolo condominio di un paio di appartamenti, non parliamo neppure di governare un Paese. Però è come se entrassero in orgasmo quando si tratta di spazientirci in interminabili, ripetitive campagne elettorali. Di turlupinarci. Di proporre di tutto e di più nelle campagne elettorali, anche frottole costituzionalmente irrealizzabili. Perché hanno un pregio le campagne elettorali: il verbo che si usa è sempre coniugato al futuro. Faremo, realizzeremo, organizzeremo, approveremo, provvederemo. Come dire: poi si vedrà. Forse è per questo che per il politico medio italiano ciò che conta non è governare o fare opposizione. Il vero scopo della carriera politica dei nostri eroi consiste nell’essere immersi in una perenne campagna elettorale.
E’ impressionante osservare in questi giorni come i nostri politici così showman da salotto televisivo e onnipresenti nei social abbiano compiuto l’ennesima veloce mutazione genetica: da tutti esperti di pandemia in men che non si dica a febbraio si sono riconvertiti in strateghi e analisti di geopolitica e conflitti. Ora, tac, tutti premi Nobel nelle discipline afferenti all’energia. Ogni giorno in campagna elettorale fioccano proposte – più o meno realizzabili e, soprattutto, immediatamente realizzabili – per contenere il peso schiacciante delle bollette di gas e luce. Divenute ormai la voce preponderante del costo di produzione e lavoro nelle aziende, in particolare in quelle cosiddette “energivore”. Dal tetto europeo al prezzo del gas (price cap) alla richiesta all’Unione Europea di un apposito nuovo “Recovery Fund Energia”. Da un intervento su base nazionale sul costo dell’energia alla sollecitazione a riprendere le trivellazioni di gas e petrolio sul suolo nazionale e nei mari adiacenti allo Stivale, specie in Adriatico dove si potrebbero sfruttare consistenti giacimenti. Dall’eliminazione delle troppe tasse che paghiamo nel conto spesa interminabile delle nostre bollette ai “ristori” ad imprese e famiglie piombate nella più cupa disperazione. Dallo sganciamento del prezzo dell’energia elettrica da quello del gas alla riduzione di uno-due gradi della temperatura del termostato dei termosifoni. Dallo slittamento di una settimana in autunno dell’accensione dei riscaldamenti all’anticipo di una settimana a primavera per lo spegnimento. Dall’emissione di obbligazioni nazionali per coprire lo tsunami dell’impennata dei costi del gas (obbligazioni che dovrebbe compare la BCE, la Banca Centrale Europea) al taglio degli oneri statali inseriti nelle tante voci presenti in bolletta. Dallo sconto sui carburanti al pagamento diretto da parte dello Stato fino a dicembre alle aziende dell’aggravio sulle bollette rispetto agli esborsi più o meno “normali” di appena pochi mesi fa. Dallo sgravio sui consumi allo spegnimento programmato dei lampioni dell’illuminazione pubblica. Dall’indispensabile ricorso ai rigassificatori per il trattamento del metano trasportato dalle navi metaniere da luoghi di produzione non collegati a noi dai metanodotti all’incremento delle riserve per l’inverno che hanno ormai superato l’80 per cento della capienza. Dai piani per il risparmio ai razionamenti. Dal divieto della pubblicità notturna e dalle insegne degli esercizi commerciali spente dopo una certa ora nelle vie (dopo la mezzanotte?) alla tassazione degli intollerabili “extraprofitti” da bengodi di tutte le aziende che producono energia. In particolare di quelle che la producono con l’eolico ed il fotovoltaico e dunque non acquistano il gas a carissimo prezzo come l’ENI, il quale ad ogni buon conto pare abbia già incassato 7 miliardi di euro di extraprofitti, mentre nel complesso si è stimato che gli extraprofitti abbiano raggiunto nel nostro Paese la colossale cifra di 50 miliardi di euro. Dal credito d’imposta alle imprese industriali - specie le “energivore” alle prese con bollette così milionarie che le costringeranno a chiudere nel giro di qualche settimana - alla riorganizzazione degli orari di lavoro, magari puntando per tanti dipendenti al lavoro notturno ossia nelle ore in cui l’energia elettrica costa un po’ meno.
Insomma, di tutto e di più; ipotesi e proposte d’ogni genere.
Occorrono soldi, tanti soldi per raffreddare in bolletta i costi del gas e dell’energia in genere. Altrimenti l’autunno sarà caldissimo, la disoccupazione e la povertà nel nostro paese finiranno per picchiare duro. Con inevitabili proteste e scontro sociale nelle città. E’ emergenza vera. Distruttiva. Può mettere in ginocchio l’Italia. Il 30 agosto 2022 Confindustria ha paventato addirittura il rischio di una “deindustrializzazione” in Italia a causa delle chiusure delle attività dovute all’insostenibilità della spesa per l’energia nelle bollette recapitate alle aziende. Il 31 agosto l’Ufficio studi di FIPE/Confcommercio avverte che a causa del caro energia da ora ai primi sei mesi del 2023 sono a rischio 120.000 imprese del terziario di mercato con la perdita di 370.000 posti di lavoro. Tra i settori più esposti ai rincari energetici il commercio al dettaglio, in particolare la distribuzione nel settore alimentare, la ristorazione, la filiera turistica, i trasporti. Settori schiacciati da un aggravio della spesa per l’energia complessivo per il 2022 di ben 33 miliardi di euro e che registrano rincari delle bollette fino a cinque volte rispetto al 2019.
I conti non tornano già adesso. E’ stato calcolato che se Putin chiude definitivamente i rubinetti e in Europa non arriva più un solo metro cubo di gas russo, in Italia e Germania - paesi tra i più esposti - ci ritroveremo presto con una recessione del 2,5 per cento. Dal canto suo la Russia, come sta già facendo, sarebbe costretta a bruciare milioni di metri cubi di gas al giorno visto che non vuole o non può venderlo ai paesi europei. E non è in grado di dirottarlo verso i mercati asiatici in quanto per ora mancano i metanodotti verso quelle destinazioni. Bruciare con quanto beneficio in termini di CO2 nell’atmosfera è facile intuire. E’ la guerra, bellezza.

3.Risorse finanziarie da reperire per sostenere famiglie e imprese. Energia alternativa al gas: le CER

In questo turbinio di proposte riteniamo di poterne avanzare altre che potrebbe aiutare a “fare cassa”. Per racimolare risorse che vanno destinate ad arginare l’impatto delle bollette su famiglie ed imprese. Foriero di generalizzati aumenti dei prezzi in tutti i settori della vita economica ovvero di una inflazione a questo punto inarrestabile. A spingere verso l’alto l’inflazione, salita ad agosto all’8,4 per cento, sono l’energia elettrica, il gas, gli alimentari lavorati, i beni durevoli.
Cominciamo dalla più elementare delle valutazioni: mai come ora è stato evidente che dobbiamo “mollare” il gas come principale carburante per l’alimentazione elettrica, delle industrie, del riscaldamento. Consumiamone quanto basta – è proprio il caso di scrivere così; q.b., come nelle ricette – per cucinare. E rivolgiamo il massimo dell’attenzione alle energie alternative per produrre elettricità e riscaldamento: solare, eolica, geotermica, biomasse, biogas. Se non ora quando?
Diamo impulso alle cosiddette CER (Comunità Energetiche Rinnovabili).
“(…) La vera soluzione, che massimizza lo sfruttamento dell’energia prodotta da pannelli solari, sono proprio le Comunità Energetiche (o Energy Community), che potranno diventare una realtà anche in Italia, secondo le disposizioni introdotte dal decreto Milleproroghe all’art.42bis.
Ma cosa sono e come si può partecipare alle comunità energetiche?
Una Comunità Energetica è un insieme di persone che condividono energia rinnovabile e pulita, in uno scambio tra pari. Le comunità energetiche rappresentano quindi un modello innovativo per la produzione, la distribuzione e il consumo di energia proveniente da fonti rinnovabili. Questo modello fonda i suoi valori sulla lotta allo spreco energetico e sulla condivisione di un bene fondamentale a un prezzo concorrenziale, grazie all’innovazione che sta rivoluzionando il mercato dell’energia.
Per spiegare meglio queste Smart Community bisogna prima ricordare il concetto di Smart Grid. La rete elettrica sta subendo una metamorfosi che tutti hanno sperimentato in altri ambiti della quotidianità: la digitalizzazione. Il mondo digitale, come quello del web, permette una connessione a nodi, peer to peer. Si è passati quindi da una rete fisica centralizzata, con delle trasmissioni one-to-many (il gestore elettrico che fornisce energia alle case), a una rete digitale decentralizzata, con collegamenti one-to-one e many-to-many. Questa rete è intelligente nella misura in cui incorpora, oltre ai necessari sensori di misura, i complessi algoritmi dell’intelligenza artificiale permettendo la partecipazione attiva anche del singolo cittadino.
Come? Attraverso la Smart Grid, grazie alla quale ognuno può diventare parte di una comunità energetica: chi possiede un impianto fotovoltaico connesso in rete (ed è quindi un prosumer) può condividere con altri consumer la sua energia in eccesso. Chiunque può far parte di una di queste comunità che condividono energia pulita, abbattendo così gli sprechi energetici, le bollette e la propria impronta di carbonio.
Quali sono le caratteristiche necessarie per far parte di una Energy Community?
Sia che abitiate in un condominio o in una casa singola o abbinata, se volete essere parte attiva della rivoluzione energetica, vi servirà un impianto fotovoltaico con accumulo. Altrimenti potete essere parte del cambiamento energetico da semplici consumer: tutto ciò che vi serve è una buona dose di consapevolezza, un controller (…) e l’accesso a una piattaforma digitale che gestisce le Comunità Energetiche. (…).
Le Energy Community sono rappresentate come una realtà presente e necessaria anche allo stimolo alla produzione e al consumo di energia rinnovabile. Queste realtà sono infatti già diffuse e consolidate in altri paesi europei, come Regno Unito, Spagna, Grecia, Francia e Germania. La loro crescita è agevolata da sistemi efficaci di finanziamento e di incentivi, un quadro normativo chiaro e una sensibilizzazione dei cittadini in materia.
Innanzitutto, l’obiettivo primario della creazione delle Energy Community deve essere quello di fornire benefìci ambientali, economici o sociali alla comunità stessa e all’area locale in cui questa opera. Questa comunità non deve quindi tendere a profitti economici: l’autoconsumo collettivo di energia non deve essere la principale fonte di reddito di chi cede l’energia (i cosiddetti prosumer e procunstomer).
La partecipazione a tali comunità deve essere aperta a tutti, anche a chi non è in possesso di un impianto (i cosiddetti consumer), purché i punti di immissione e prelievo siano ubicati su reti elettriche sottese alla stessa cabina di trasformazione Media/Bassa Tensione.
I prosumer che condividono l’energia devono produrla con impianti di potenza complessiva inferiore a 200kW, attivati successivamente all’entrata in vigore del D.L. Milleproroghe e quindi connessi alla rete successivamente al 1° marzo 2020. La condivisione deve avvenire attraverso la rete distributiva esistente con lo scopo dell’autoconsumo istantaneo anche con l’ausilio di sistemi di accumulo. (…) (Fonte: “Comunità Energetiche: cosa sono e come parteciparvi” in www.regalgrid.com)
4.La Borsa del gas di Amsterdam? Va chiusa
Seconda considerazione. Facciamo il possibile e l’impossibile per far chiudere la Borsa virtuale internazionale del gas di Amsterdam e dare finalmente applicazione alla collegata proposta italiana perorata da Draghi nei consessi internazionali di un tetto europeo al costo del gas (price cap). Il TTF, acronimo di “Title Trasfer Facility”, è un indice, come tanti altri indici di borsa. Ma si rivela inappropriato, anzi pericoloso, quando si applica in situazioni costanti di prezzi crescenti.
Ha scritto il 25 agosto 2022 Salvatore Carollo, un Oil and Energy Analist and Trader, su www.rivistaenergia.it in un convincente contributo intitolato “Svincoliamoci dal TTF: una proposta semplice e immediata per non aggravare la crisi gas”:
“Mentre il valore del TTF (prezzo del gas nella borsa di Amsterdam) supera il valore di 300 €/MWh, tutti stanno a chiedersi cosa sta succedendo e cosa succederà nei prossimi mesi.
La domanda di gas è pressocché costante anzi forse in lieve diminuzione. Sul piano dell’offerta, mentre è stata riaffermata la necessità di avviare il processo di indipendenza dalla Russia, i flussi di approvvigionamento da Mosca sono stati pressoché costanti, salvo qualche momento di crisi, dovuto alle fermate temporanee del gasdotto Nord Stream 1 per problemi tecnici.
La campagna di ri-stoccaggio estiva è stata lenta e contradditoria (operatori hanno spesso esportato gas anziché metterlo a scorte, per lucrare sui prezzi alti).
Siamo stati bombardati da messaggi tranquillizzanti circa le nuove fonti di approvvigionamento del gas, alternativo a quello russo, proveniente dall’Africa (Algeria e Libia, Nigeria) e dagli USA.
In questo quadro il valore del TTF sopra i 300 €/MWh appare assolutamente privo di riferimento al mercato reale del gas ed è quindi essenzialmente il frutto di gigantesche speculazioni.
Forse è arrivato il momento di dirci chiaramente che il vero elemento anomalo, malato, del sistema di formazione del prezzo del gas è proprio il TTF generato nella borsa di Amsterdam. Se non ci liberiamo di questo parametro finiremo con il subire una crisi generata artificialmente da un pugno di speculatori internazionali che giocano in una specie di fiera paesana, che usurpa il nome di Borsa del gas europeo.
È come se volessimo misurare la temperatura corporea con un termometro guasto. Leggo 42 °C e chiamo l’ambulanza, ma in realtà ho solo bisogno di comprare un termometro nuovo.
Chiariamo alcuni elementi importanti. A Londra esiste la borsa del Brent, dove ogni giorno vengono scambiati contratti di acquisto e vendita di petrolio per un valore di circa 2.000 miliardi di dollari. Qualunque operatore petrolifero è in grado, in ogni momento, di effettuare acquisti e vendite nonché operazioni di copertura del rischio trovando la liquidità necessaria.
Sebbene i volumi fisici di gas consumati siano paragonabili a quelli del petrolio, la cosiddetta borsa del gas di Amsterdam vede scambi di contratti per circa 1-2 miliardi di euro al giorno, ovvero migliaia di volte meno della borsa petrolifera.
Non esiste alcuna possibilità per gli operatori di usare i tipici strumenti di risk management nella borsa di Amsterdam. Non c’è sufficiente liquidità e non ci sono volumi fisici a supporto dei contratti finanziari scambiati. Ad ogni richiesta aggiuntiva alla normale routine (fatta di pochi volumi) si verifica un impazzimento del prezzo. Non una borsa, quindi, ma un mercatino di paese.
Sicuramente andremo incontro ad autunno-inverno difficile, dove potrà verificarsi un deficit dell’offerta di gas, ma certamente non abbiamo bisogno di autopunirci adottando come prezzo di riferimento al consumo un indicatore fasullo che amplifica ogni riduzione dell’offerta di 100/200 volte, creando situazioni di drammatica sofferenza a consumatori ed imprese ed opportunità di profitti smisurati agli speculatori.
In Italia abbiamo il modo di intervenire con provvedimenti amministrativi semplici e immediati.
Anzitutto disporre della piena trasparenza dei prezzi di acquisto del gas relativi ai contratti di lungo periodo, che sono decisamente ordini di grandezza più bassi del TTF. Abbiamo due grandi operatori nazionali quotati in borsa, il cui azionista di maggioranza è il Ministero dell’Economia. Il Governo ha quindi il pieno diritto di conoscere il prezzo di acquisto del gas da parte di queste due compagnie. Negli USA, il paese modello del libero mercato, lo Stato pretende la trasparenza da parte di tutte le compagnie che operano nel paese. Perché noi invochiamo il libero mercato ma non accettiamo i principi che lo regolano?
Non può succedere che il Ministro della Transizione, Cingolani, dichiari di aver chiesto il prezzo di acquisto del gas alle società di cui lo Stato è azionista di maggioranza e di aver ricevuto un netto rifiuto. Occorre che il Presidente del Consiglio governi la triangolazione con i due Ministri dell’Economia (azionista) e della Transizione (energia) perché la trasparenza sia assicurata ed i diritti dei consumatori garantiti.
La piena trasparenza dei prezzi di acquisto consentirebbe la fissazione equa del prezzo del gas al consumo e la verifica della reale dimensione di ogni eventuale crisi.
Si è molto parlato del tetto al prezzo del gas, ma in modo astratto ed a volte fumoso. Esiste una soluzione semplicissima che si potrebbe adottare domattina.
Il gas più caro che importiamo è quello liquido dagli USA. Si tratta di un prezzo, chiamato Henry Hub, che viene stabilito attraverso le transazioni che si effettuano al terminale di esportazione in Florida per tutti i volumi esportati verso tutto il mondo. Si può quindi ritenere un indicatore globale trasparente ed accettato in tutti i mercati mondiali. Tanto per essere chiari, in questa fase di crisi, il prezzo Henry Hub è circa 1/3 o 1/4 del TTF, nonostante sia gas liquido, più costoso.
Se adottassimo il valore del Henry Hub come tetto massimo del prezzo del gas avremmo dei vantaggi indiscussi:
1. Nessun rischio che il prezzo sia artificiosamente troppo basso scoraggiando alcuni fornitori internazionali dal vendere gas agli operatori italiani;
2. Avremmo eliminato il TTF dal nostro paniere di riferimento dando un colpo pesante alla speculazione internazionale che opera nella borsa di Amsterdam;
3. Eviteremmo che la speculazione sviluppata nel finto mercato di Amsterdam continui ad influenzare negativamente gli altri mercati mondiali (Henry Hub, vari indicatori asiatici);
4. Diminuirà la spinta al rialzo del prezzo sui contratti a lungo termine che fanno riferimento anche al TTF.
La soluzione potrebbe essere adottata immediatamente con un provvedimento amministrativo implementato con una circolare di ARERA, basata sui due capisaldi:
a) trasparenza sul costo di acquisto del gas importato;
b) tetto massimo basato sul valore di Henry Hub”.

5.Le casseforti per destinare liquidità a famiglie e imprese se la situazione energetica degenera

Terza considerazione. Se dovessimo avere disperato bisogno di risorse finanziarie aggiuntive per sostenere per chissà quanti mesi famiglie e imprese nell’inarrestabile costo del gas (aumentato di venti volte da inizio 2021 ad ora) mettiamo in vendita i gioielli di famiglia. L’Italia ha in deposito nel nostro e in altri paesi 2.452 tonnellate di riserve auree per un valore complessivo che varia secondo le quotazioni dell’oro ma che si avvicina ai 100 miliardi di euro. Se ne vendiamo un 10 per cento non ci crolla il mondo addosso e potremmo mettere sul piatto della bilancia una decina di miliardi di euro.
Quarta ipotesi. Se fosse necessario non dimentichiamo che i depositi dei musei e delle pinacoteche italiani sono stracolmi di centinaia di migliaia di opere d’arte “minori” e di reperti archeologici “minori”, mai esposti. Se non vendibili quanto meno affittabili. Ad esempio per un periodo predeterminato – un lustro, un decennio - a musei stranieri. Con un ritorno in termini monetari sborsato da quelle istituzioni culturali per l’affitto. Così da fare cassa nella più disperata delle eventualità di crisi finanziaria e per salvare dal tracollo famiglie e imprese nel caso di perdurante crisi generata dal costo insostenibile degli approvvigionamenti energetici.
Altra possibile fonte di recupero di risorse finanziarie: in tutti gli enti pubblici (Stato, Regioni, Province, Comuni, partecipate) e nello loro tesorerie giacciono miliardi di residui non spesi. All’occorrenza utilizzabili con un prelievo forzoso per fare cassa e contribuire a salvare l’economia nazionale se la situazione dovesse precipitare.
Ma prima che si arrivi a simili amputazioni a beneficio dei signori del gas, cioè dei paesi produttori e dei venditori/speculatori, perché non operare nella stessa direzione in ambito UE reinvestendo residui ed appostamenti di risorse destinati a progetti fantasiosi (che non hanno più motivo di esistere in anni di crisi che morde) a Bruxelles per dare corpo al citato “Recovery Fund Energia”?
Non si vuole mettere mano allo scostamento dal pareggio di bilancio ovvero non si vuole gravare lo Stato di ulteriore pesante debito pubblico (lo scostamento peraltro metterebbe in allarme i mercati nelle principali piazze finanziarie mondiali e diverrebbe un invito a nozze per la speculazione internazionale). Così la pensa il governo Draghi dimissionario. Dubitiamo che la penserà alla stesso modo il prossimo governo Meloni dato per certo dai sondaggisti. Ma c’è un punto su cui occorre fare una importante riflessione. Una ricerca della FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiani) ha calcolato in 5.256 miliardi di euro a fine 2021 l’ammontare dei risparmi degli italiani. E’ questa la vera ricchezza finanziaria del nostro paese. Malgrado ed alla faccia dei 2.759 miliardi di debito pubblico che tante speculazioni finanziarie internazionali e tanto spread alimentano. L’estrema risorsa in caso di perdurante e strangolante impennata del costo del gas o in generale dei costi dell’energia potrebbe essere – modello governo Amato 1992 – una tassa minima di assai meno dell’1 per mille sui nostri risparmi. Dato l’ammontare complessivo del risparmio così elevato, consentirebbe anche mettendo le mani su minuscole percentuali di rastrellare molti miliardi di euro. In grado di alleggerire con l’intervento dello Stato il macigno-bollette nelle aziende e nelle case e di calmierare di conseguenza l’inflazione.
Esistono dunque diverse leve e strumenti per intervenire se si dovesse arrivare, per restare in tema, “alla canna del gas”. Misure anche estreme, finora impensabili. Ma la situazione è diventata talmente delicata da apparire critica. E dunque a mali estremi estremi rimedi pur di salvare il paese in una transizione non più rinviabile – ma per forza di cose ora attardata e con “stop and go” – verso le energie alternative e verso la maggiore autonomia energetica possibile dall’estero. Abbiamo finalmente capito che per un paese l’autonomia energetica è nel nostro tempo e per il futuro indispensabile al pari della sovranità nazionale, dell’autonomia idrica, dell’autonomia alimentare. Al punto che sovranità nazionale, autonomia energetica, autonomia alimentare, autonomia idrica debbono considerarsi di fatto sinonimi.

6.Nucleare di “nuova generazione”? No, mille volte no. Rilanciamo l’idroelettrico

Ci rimangono tre temi da affrontare in questa analisi: l’energia nucleare, l’idroelettrica e l’elettrica prodotta dall’energia cinetica.
Non abbiamo finora scritto una sola parola sull’energia nucleare, da qualche anno a questa parte sempre più evocata malgrado gli italiani abbiano detto “no” nei referendum dell’8 e 9 novembre 1987 e 12-13 giugno 2011. Alla quale noi restiamo invece contrarissimi, ben più che al petrolio e al gas naturale. Non crediamo alle centrali nucleari di nuova generazione che comunque, bene che vada, anche a cominciare a costruirle domani, entrerebbero in funzione tra almeno dieci-quindici anni. Un no più che convinto. E non per una posizione ideologica. Per un dato di fatto che la guerra in Ucraina non ha fatto altro che attestare. Il pericolo di una, dieci, cento Chernobyl e Fukushima per un incidente tecnico ai reattori rimane sempre e comunque. Ma c’è di più. Come dimostra in questi giorni la centrale nucleare ucraina di Zaporzhzhia, la più grande d’Europa, una “pacifica” centrale atomica che produce energia elettrica può essere trasformata in qualsiasi momento in caso di conflitto o di azione di esaltati gruppi terroristici nella porta dell’inferno. Colpendola deliberatamente con bombe. E, soprattutto, con missili lanciati anche da migliaia di chilometri di distanza. Le nubi radioattive sprigionate provocherebbero morti – centinaia, migliaia, centinaia di migliaia? – senza che sia esplosa la tanto temuta bomba termonucleare. E’ solo esplosa la centrale nucleare.
Chiudiamole e smantelliamole le centrali nucleari nel mondo. L’energia atomica è la più letale, la più catastrofica tra tutte le fonti energetiche per l’esistenza delle vite e delle civiltà sul pianeta. Cerchiamo altre fonti energetiche. Che fine ha fatto l’idrogeno come nuova fonte energetica? Se ne parla da decenni ma ancora si va avanti troppo lentamente nella ricerca applicata.
Veniamo adesso all’energia idroelettrica. Tra le alternative agli idrocarburi può definirsi senz’altro la meno condizionabile dalle interferenze del tempo cronologico (giorno/notte) e del tempo climatico (vento/assenza di vento, cielo sereno/cielo nuvoloso). Inoltre la sua stabilità, al parti del suo sfruttamento, assume ormai un rilievo storico. Consolidato. L’energia idroelettrica si è meritata aggettivi importanti: pulita, continua, integrativa, consistente, “risparmiosa”. Non commettiamo l’errore fatale di trascurarla o, peggio, non implementarla. Anche se la siccità crescente di questi ultimi anni non la aiuta. Ma – solo in apparenza paradossale e contraddittorio – è proprio in ragione del disastroso cambiamento climatico che “dobbiamo” insistere sull’idroelettrico. Nel quadro delle mutazioni climatiche così veloci e distruttive in corso, dello scioglimento dei ghiacciai, della secca dei fiumi, lo stoccaggio dell’acqua comunque e dovunque, con “contenitori” di tutte le portate ed estensioni, diventa una priorità vitale. In questo contesto può trovare spazio una destinazione che, a seconda delle modalità e dei contesti orografici, in Italia possa rimettere assieme ove possibile negli invasi sbocchi civili (uso potabile), irrigui e, appunto, idroelettrici.
Ma conosciamo meglio il settore idroelettrico nel nostro paese.
“Durante tutta la prima metà del Novecento, e fino agli anni Cinquanta inclusi, si realizzò il massimo sfruttamento del potenziale idroelettrico italiano, con la costruzione di parecchie grandi centrali. Poi, però, in parte per la carenza di ulteriori sorgenti vantaggiose da utilizzare e in parte per una perdita di prestigio dovuta a disastri ambientali come il Vajont, dagli anni Sessanta del Novecento fino al primo ventennio del nuovo secolo gli aumenti nella produzione sono stati modesti. Negli ultimi sessant’anni le variazioni sono state nel complesso inferiori al 10%, peraltro con un andamento altalenante che, rapportato con la crescita di altre fonti energetiche, fossili e non, ha significato una notevole perdita di importanza relativa dell’idroelettrico nel paniere energetico italiano.
Il computo degli impianti italiani alimentati ad acqua ha raggiunto quota 4.331 alla fine del 2018 secondo le rilevazioni dettagliate del Gestore dei servizi energetici (GSE) e 4.337 secondo Terna per il medesimo periodo. La stessa Terna ha calcolato poi, per il 2019, una crescita netta di 64 impianti, con 74 nuovi ingressi e 10 dismissioni, che porta il totale a quota 4.401. Se ci si ferma ad analizzare il numero di centrali, si può parlare di un decennio d’oro: nel 2009 erano appena 2.249, da allora c’è stato un sostanziale raddoppio che ha avuto come anni cruciali il 2010 (+480 impianti), il 2016 (+270) e il 2017 (+348).
Tuttavia, alla crescita in numero non è corrisposto un uguale incremento della potenza generata, perché è diminuita la taglia media degli impianti stessi: da un anno al successivo, infatti, la crescita media in potenza totale è stata dello 0,7%. L’installazione di impianti di piccole dimensioni, il cosiddetto “mini-idroelettrico”, è iniziata nei primi anni Duemila, tanto che la taglia media complessiva a livello nazionale è scesa da 8,4 megawatt per impianto di inizio secolo fino a circa la metà, a quota 4,4 nel 2018. La media dei soli nuovi impianti installati, poi, è stata bassissima: 1,2 megawatt nel 2018, addirittura 0,3 nel 2010 e nel 2014.
L’idroelettrico non è distribuito in modo uniforme sul territorio italiano. La stragrande maggioranza degli impianti, e della potenza installata, si trova lungo le Alpi. A fine 2018 in Piemonte sono risultati registrati 930 impianti, corrispondenti a più di un quinto di quelli italiani e al 14,6% del dato nazionale in termini di potenza. Segue poi la Lombardia con 661 impianti, che però si colloca al primo posto in assoluto in termini di potenza, con il 27,2%. E ancora, le province autonome di Trento e di Bolzano che, rispettivamente con 268 e 543 impianti, rappresentano insieme il 19,3% della potenza italiana. La classifica prosegue poi con Veneto (392 impianti e 6,2% della potenza), Valle d’Aosta (173 e 5,2%) e Friuli Venezia Giulia (233 e 2,8%).
Lungo la dorsale degli Appennini si distinguono invece l’Abruzzo, con soli 71 impianti ma il 5,4% della potenza nazionale, la Calabria (54 impianti e 4,1%) e l’Umbria (45 impianti e 2,8%). Infine, altri contributi non trascurabili arrivano da Lazio, Campania, Sardegna, Toscana, Emilia-Romagna e Marche. Viceversa, Liguria, Molise, Puglia, Basilicata e Sicilia raccolgono invece nel complesso il 2,5% della potenza totale installata. (…)
Secondo i dati raccolti dal GSE alla fine del 2018, l’Italia ha una potenza complessiva installata per l’idroelettrico pari a 18,94 gigawatt. Un valore che corrisponde più o meno al 35% della potenza nazionale da fonti green. Dieci anni prima, nel 2008, la potenza era di 17,6 gigawatt, con incrementi medi da un anno al successivo appena sopra gli 0,1 gigawatt. Leggermente sotto la media, secondo le rilevazioni di Terna, il 2019 che si è concluso con un incremento della potenza installata di soli 0,04 gigawatt.
In termini di energia prodotta, sempre a fine 2018, il computo annuo per l’idroelettrico ha raggiunto i 48,8 terawattora, pari a poco più del 15% del fabbisogno energetico nazionale e al 43% della produzione da fonti rinnovabili. È interessante notare che i 308 impianti italiani di grosse dimensioni (ossia di potenza superiore a 10 megawatt) producono da soli i tre quarti dell’energia complessiva, mentre gli oltre 3mila impianti piccoli (con potenza inferiore al megawatt) contribuiscono per meno di un sedicesimo del totale, attestandosi intorno al 6%.
A determinare le fluttuazioni di energia prodotta da un anno all’altro sono da una parte i fattori meteorologici e, dall’altra, le nuove installazioni o dismissioni dei grandi impianti. Nel 2017, per esempio, un anno particolarmente sfavorevole per l’idroelettrico, la produzione di energia si è fermata ad appena 36,2 terawattora, per poi crescere del 35% l’anno successivo. Piuttosto regolare, invece, è la distribuzione geografica dell’energia prodotta: l’80% arriva dalle regioni del nord, e la parte restante è equamente divisa tra centro e sud, con poco più di un punto percentuale di vantaggio a favore delle regioni meridionali. (…) (Fonte: “Quanta energia idroelettrica si produce in Italia e dove” in www.enelgreenpower.com)

7.Energia elettrica prodotta dall’energia cinetica

Vogliamo dedicare l’ultimo focus all’energia elettrica prodotta dall’energia cinetica. Lo facciamo – anche per alleggerire temi così drammaticamente pesanti come quelli trattati – in modo un po’ scanzonato, partendo da un curioso film del 1975 del regista Pasquale Festa Campanile. Titolo: “Conviene far bene l’amore”. Il film è tratto dall’omonimo romanzo dello stesso Festa Campanile, edito nel 1975 da Bompiani e ripubblicato dallo stesso editore nel 1984. Trama del film: “In un prossimo futuro, in un mondo privo di risorse energetiche e tornato ad un'epoca preindustriale - il cavallo e la bicicletta quali unici mezzi di locomozione, il gas unica fonte di illuminazione - un eccentrico scienziato, Enrico Nobili (Gigi Proietti) idea un apparecchio che ricava energia elettrica dai rapporti sessuali, sperimentandolo in una corsia dell'antico Policlinico romano.
Il giovane prestante Daniele (Christian De Sica) e la procace Francesca (Agostina Belli) vengono ricoverati inspiegabilmente in una stessa stanza, avendo subìto incidenti procurati dallo stesso Nobili. Una volta sviluppatasi attrazione tra i due l'esperimento ha successo e delle antiche lampadine emanano dopo decenni la luce. Al fine di ripetere l'esperimento a conferma delle teorie, segue un esilarante tentativo di far ricongiungere le due cavie involontarie, dal momento che la giovane assistente Piera (Eleonora Giorgi) non dispone della sensualità sufficiente onde sviluppare energia apprezzabile.
L'invenzione viene in seguito rubata ma al ricercatore spetta la soddisfazione di rivedere un mondo tornato ai fasti del XX secolo, nonostante la nuova forma di sfruttamento che priverà la gente dell'ultimo piacere concesso, appunto quello sessuale”. (Fonte: Wikipedia)
Poco ci interessa per la verità la stoccata finale critica che leggiamo su “www.mymovies.it”, positiva sul romanzo ma piuttosto severa sul film: “Nel 1980 una crisi energetica ha messo in ginocchio l'Occidente industrializzato: scomparsa l'illuminazione pubblica, spenti i motori delle macchine e delle fabbriche, il mondo sembra dover regredire agli anni bui del Medioevo. Al Politecnico di Roma, un professore rispolvera una vecchia teoria di Wilhelm Reich (medico, psichiatra e psicoanalista austriaco naturalizzato statunitense, 1897-1957, n.d.r.) e attraverso un esperimento con due volontari prova che l'atto sessuale produce energia elettrica. La clamorosa scoperta, impiegata su scala industriale, potrebbe risolvere il grave problema energetico, ma per trasformarla in una politica nazionale occorre il consenso del governo e della Chiesa cattolica. I politici non oppongono resistenza e la Chiesa stessa, superate le prime perplessità, riconosce l'utilità pratica della proposta e gli indubbi benefici che essa comporterebbe per la salvezza della società. Il piano di emergenza viene dunque varato e si finanzia con il sostegno statale l'amore fatto con mentalità imprenditoriale.
Nel futuro immaginato da Campanile, i benestanti circolano a cavallo per le strade della città; gli inguaribili nostalgici perdono la testa seduti nelle automobili non più funzionanti, mimando la guida come dei bambini che giocano; la Chiesa riconsidera le proprie posizioni e si adegua agli imperativi dello sviluppo economico. Il sentimento ben presto scompare; il sesso diventa un'attività meccanica e stancante; la fantasia cerca stimolo e trasgressione nelle immagini di uomini e donne completamente vestiti... Satira e fantapolitica si mescolano in questo racconto tratto da un romanzo di successo. Ma se sulla pagina la storia funziona, sullo schermo si sviluppa ben presto sui binari della commedia erotica perdendo via via mordente e interesse”.
In gioventù da normali spettatori e non sia mai da critici cinematografici avevamo apprezzato il divertente film. Ora, se rimane tutta da ridere e per fortuna irrealizzabile l’idea fantasiosa di generare energia elettrica dai rapporti sessuali – con il conseguente carico di contraccolpi psicologici che comporterebbe… – mantiene intatta la sua potenzialità realizzativa l’idea che da altre forme di movimento umano (premere, pedalare, correre, ecc.) possa generarsi energia sfruttabile.
Al pari della ricerca sull’idrogeno quella sull’energia cinetica da trasformare in energia elettrica non è progredita con i brevetti e le applicazioni diffuse che era lecito attendersi qualche decennio fa. Per carità, esistono numerosi esempi di applicazione. Però, come dire?, ci abbiamo messo poca testa e poca ostinazione. Il risultato si è tradotto in applicazioni spot, episodiche, spesso ingegnose e affascinanti ma non sistematiche. In alcuni casi rimaste allo stadio di poco più che esperimenti. Di seguito, ricorrendo ad opportuni contributi, vediamo di conoscerne parecchie.
“Secondo la definizione correntemente più utilizzata, si definisce energia cinetica l'energia posseduta da un corpo a causa del suo movimento. In maniera assolutamente più prosaica e più calata nella realtà della vita di ogni giorno, è energia cinetica sia quella generata da un corpo in movimento, un'auto in corsa ad esempio, ma anche quella generata dai corpi stessi con il movimento di alcuni arti, come può essere l'atto di pedalare.
Non è un caso, per chi ama la ciclistica ed andare in bicicletta, che i fanali per l'illuminazione notturna del percorso siano alimentati da quella che volgarmente chiamiamo dinamo, in realtà alternatore, un semplice meccanismo che acquisisce l'energia cinetica prodotta dalla pedalata, attraverso la frizione tra una ruota ed un meccanismo a rotazione, che converte questo movimento in elettricità, e questa fa accendere la lampadina del fanalino notturno.
I casi di applicazione di questo semplice principio sono di recente balzati agli occhi grazie alla cronaca degli avvenimenti degli ultimi mesi: nel caso della protesta civica degli indignati di Occupy Wall Street, quando la polizia newyorchese ha sequestrato ai manifestanti di Zuccotti Park i generatori di energia elettrica che utilizzavano nei loro accampamenti di fortuna, gli stessi manifestanti sono ricorsi a soluzioni di fortuna ma sicure, la principale delle quali è stata l'energia elettrica prodotta con la pedalata.
Con un intento pedagogico e la voglia di sperimentare, invece, un professore dell'Istituto tecnico Vallauri di Roma, Oscar Santilli, ha realizzato un interessante esperimento di produzione di Energia elettrica nell'Istituto in cui insegna, allestendo un impianto che prevede 18 postazioni di produzione, divise in 8 “spinning bike” collegate ad una dinamo oltre a due rulli liberi, dove possono essere collocate delle biciclette normali, ed otto dinamo a manovella. Il sistema così realizzato è stato completato da un'attrezzatura tecnologica di gestione, elaborata da un ex studente dell'Istituto, pensata per misurare la quantità di energia prodotta da ogni singola postazione.
L'esperimento, finanziato dalla provincia di Roma, vuole essere un intelligente progetto di trasmissione della conoscenza sull'argomento, e per avere un giusto valore didattico prevede che l'energia prodotta da ogni partecipante si traduca in crediti cosiddetti energetici, grazie ad una tessera con chip elettronico da inserire in una colonnina collegata ad ogni postazione. Con un minimo di 15 minuti al giorno ogni studente può acquisire crediti che poi possono essere riconvertiti in attività didattiche ma anche premiati con biglietti per attività di svago e culturali, come il teatro, il cinema e lo sport.
In un articolo sul Corriere della Sera, poi, Oscar Santilli ha citato anche altri esempi virtuosi e, perché no, stimolanti e divertenti di iniziative di questo tipo in giro per il mondo: dai bici-bar di New York, dove si sorseggia un drink contribuendo alla produzione dell'energia elettrica necessaria al locale, al “Crowne Plaza Hotel” di Copenaghen, dove chi produce un po' di watt con le proprie pedalate ottiene in cambio dei voucher da utilizzare al ristorante dell'hotel per mangiare.
Il caso europeo più stimolante e bizzarro, al tempo stesso, è quello del “Watt Club”, di Rotterdam, in Olanda, una discoteca attentamente progettata per convertire l'enorme quantità di energia cinetica prodotta da chi balla in elettricità, al servizio ovviamente delle necessità del locale stesso. In questo caso, però, non ci sono biciclette o sistemi abbinati al movimento rotatorio di alternatori o dinamo, ma si sfrutta l'energia trasmessa dalla pressione e dai salti dei fruitori della discoteca, con un ingegnoso sistema integrato nel pavimento. Un sistema di molle al di sotto del pavimento della pista da ballo si aziona con il movimento dei presenti, trasferendo le proprie oscillazioni ad un apparato che utilizza degli speciali cristalli che trasformano la sollecitazione meccanica in energia elettrica grazie ad una tecnologia che sfrutta un principio analogo a quello della piezoelettricità. L'energia prodotta, che può arrivare anche oltre il 50% del fabbisogno del locale, viene immagazzinata in accumulatori ricaricabili e utilizzata ridiffondendola in rete.
Un'estensione di un principio tecnologico simile alla vita di tutti i giorni è stato già messo a punto da una società americana, la “InStep Nanopower”, che ha sviluppato e di recente presentato una interessante tecnologia da integrare nelle calzature, per trasformare l'energia cinetica di una normale camminata in energia elettrica da utilizzare per i dispositivi elettronici portatili, soprattutto per quelli che utilizzano la tecnologia wireless.
Anche una grossa multinazionale come la “Philips”, qualche anno fa, ha effettuato una serie di studi per la creazione di apparecchiature che generino elettricità dal movimento, da usufruire per le apparecchiature portatili: il risultato è stato un apparecchio, denominato “Knee Mounted Power Generator”, da montare su un ginocchio per alimentare apparecchiature portatili quali lettori MP3, telefonini e dispositivi di piccole dimensioni in genere”.(“Elettricità dall’Energia Cinetica” in www.lavorincasa.it, 17 febbraio 2012)
Continuiamo la nostra carrellata sulle applicazioni di energia cinetica.
“Oggi vogliamo parlarvi di Pavegen, un sistema ideato per sfruttare l’energia cinetica e trasformarla in energia elettrica. Si tratta di un prodotto molto innovativo, che ha iniziato la sua storia nel 2009 e che ora è già installato e attivo in varie parti del mondo e potrebbe rappresentare un ottimo sistema di energia rinnovabile nel prossimo futuro.
Il principio a cui si fa riferimento è sempre lo stesso: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. In particolare, l’idea alla base di Pavegen è quella di sfruttare l’energia cinetica (che altrimenti andrebbe persa), qualsiasi sia la fonte, e trasformarla in energia elettrica da utilizzare seduta stante o da accumulare in batterie.
Di certo, non è stato Laurence Kamball-Cook (Founder di Pavegen) il primo ad aver pensato di sfruttare l’energia cinetica per ottenere elettricità. In passato, vi avevamo parlato di altri sistemi che si fondavano su questo concetto, tra cui Lybra ed Electric Pedals. Rivediamo in breve questi due sistemi prima di addentrarci in Pavegen.
Partiamo dalla seconda, Electric Pedals. Si tratta di una società londinese che si occupa di alimentare eventi come concerti, cinema, workshops e installazioni artistiche con una serie di generatori a pedali utilizzati dagli stessi spettatori.
In questo caso, viene sfruttato il lavoro meccanico che proviene dall’energia chimica che generiamo ogni giorno, attraverso le azioni quotidiane come camminare, correre o svolgere un qualsiasi tipo di attività fisica. A livello di numeri, ognuno di noi produce circa 75 W/h, che non sono affatto pochi se si pensa che con circa 8 W all’ora si può ricaricare lo smartphone o che un PC consuma in media 200 W.
Lybra, invece, è un sistema pensato e ideato per essere montato sulle strade. Si tratta di un dosso rallentatore, che ha il compito di recuperare l’energia cinetica generata dalle automobili durante la frenata per poi immetterla nella rete, ricaricare auto elettriche o alimentare l’illuminazione stradale.
Secondo le stime dell’azienda, lungo una strada mediamente trafficata, un impianto di dieci metri genera l’energia sufficiente per alimentare quaranta abitazioni. Inoltre, 15 m di Lybra producono quanto 600 mq di pannelli fotovoltaici da 80 kW.
Un altro esempio che possiamo inserire nella lista è quello di Nissan, che nel 2016 ha ideato un bar in cui si paga a energia. Questo significa che i clienti devono creare fisicamente energia, in cambio delle bevande della casa.
Passiamo ora a Pavegen e iniziamo cercando di capire “come funziona” il sistema.
In sostanza, si tratta di mattonelle a tre lati, con un volano posizionato per ognuno degli angoli e tre bobine che generano circa 5W per ogni passo. Il passo imprime una pressione in grado di flettere la mattonella di 5 mm (che poi ritorna alla sua posizione iniziale) e l’energia cinetica generata viene catturata e immagazzinata in una batteria a litio. L’energia può essere poi utilizzata direttamente o accumulata fino a tre giorni per poi utilizzarla in un secondo momento. I tipi di utilizzo possono essere vari.
Uno dei principali vantaggi del sistema Pavegen risiede nel fatto che le mattonelle sono realizzate per l’80% con materiali riciclati. In particolare, vengono utilizzati pneumatici di automobili, di camion e cemento recuperato da struttura sulla via della demolizione. Tutto ciò si traduce in energia pulita e rispetto dell’ambiente durante il ciclo di produzione.
Le mattonelle sono state sottoposte a numerosi test, dai quali si sono ottenuti dei numeri niente male. Il ciclo di vita del prodotto è stato stimato essere pari a 5 anni, oppure a 20 milioni di passi. Inoltre, le mattonelle sono impermeabili e possono essere installate, ad esempio, all’interno delle piscine.
Attualmente, il sistema Pavegen è in uso sulla Bird Street (traversa di Oxford Street) di Londra, dove i pedoni creano energia per illuminare la strada, a Washington D.C. (nei pressi della Casa Bianca), in un centro commerciale di Londra e in un campo di calcio a Rio de Janeiro. Nel prossimo futuro, grazie anche alla collaborazione con Siemens, il sistema dovrebbe essere installato anche in ospedali, aeroporti e sulle strade, in modo da sfruttare anche l’energia cinetica dei veicoli, sicuramente superiore a quella dei pedoni” (Angelo Falcone “Da Cinetica a Elettrica: Pavegen trasforma l’Energia” in www.EnergyCue.it, 9 maggio 2020).
Altre ipotesi appaiono ancora più fantasiose o fantascientifiche. Nel senso che appaiono più proiettate nel futuro ed ancora in fase sperimentale. Come quella di cui scrive il 5 giugno 2018 la divulgatrice Roberta de Carolis in www.GreenMe.it in un articolo intitolato “Il generatore che crea elettricità dalla forza di gravità potrebbe rivoluzionare le energie rinnovabili”: “La gravità come fonte di energia elettrica: questa l’idea di Janjaap Ruijssenaars, inventore olandese di Gravity Energy Ltd, che ha appena messo a punto un dispositivo in grado di convertire l’energia cinetica generata dalla caduta di un peso in corrente elettrica. Energia pulita e rinnovabile, nonchè ad altissima efficienza.
Solo un prototipo per ora, ma molto promettente. Il sistema funziona sbilanciando un peso in modo che l’energia generata dalla sua “caduta” sia usata per attivare un generatore piezoelettrico, ovvero un apparecchio che produce elettricità se “compresso”. In altre parole il peso comprime il generatore, il quale emette corrente elettrica.
E a quanto sembra è sufficiente una piccola pressione a generare elettricità. Non solo: Ruijssenaars sostiene che il suo generatore potrebbe raggiungere il 93% di efficienza energetica. Il che significa che quasi tutta l’energia gravitazionale verrebbe convertita, con appena il 7% di dispersione. 93%: una percentuale di conversione così, se confermata anche su larga scala, appare nettamente superiore a quella di altre fonti di energia rinnovabile, come il solare e l’eolico.
Siamo di fronte ad una svolta in campo energetico dunque? In realtà attualmente il dispositivo messo a punto da Ruijssenaars è solo un prototipo, quindi ben lontano dall’industrializzazione.
Ma le sue prestazioni sembrano così elevate da aver spinto l’investitore Jeroen van den Hamer ad acquistare la società olandese. E si sa che i businessmen non spendono soldi se non hanno la percezione che l’investimento sia valido e con ottime prospettive di guadagni”.
Concludiamo questa rassegna sull’energia cinetica con un tassello rivoluzionario (ma ancora sperimentale): un tessuto che genera energia elettrica:
“È stato scoperto un tipo di tessuto in grado di convertire l’energia cinetica in energia elettrica. L’effetto responsabile di tale trasformazione si chiama piezoelettrico. L’ultima tecnologia è alla base di un progetto finanziato dall’European Research Council presso l’Università del Salento. Vediamo, dunque, in cosa consiste.
Il passaggio dall’energia cinetica all’energia elettrica generato da un tessuto è stato testato dalla Chalmers University of Technology in collaborazione con la Scuola svedese dei tessili di Borås e l’Istituto svedese di Ricerca Swerea IVF. Tra le rinnovabili, quindi, andrebbero inseriti materiali e tessuti che a tutti gli effetti possono diventare fonti di energia pulita, generando una potenza sufficiente ad accendere un Led, inviare segnali a una rete wireless o ad azionare piccoli dispositivi elettronici. Una simile scoperta era stata fatta anche dai ricercatori del Georgia Institute of Technology. Nella fattispecie, questo team ha creato a sua volta un innovativo materiale polimerico, costituito da microcelle solari e nanogeneratori, capace di ottenere elettricità dalla luce del sole e dal vento.
A proposito del tessuto testato dagli studiosi svedesi, capace di trasformare l’energia cinetica in elettricità, il materiale dal quale è costituito è dato dall’intreccio di fili piezoelettrici con fili conduttori di energia elettrica. Questi ultimi sono necessari a trasportare la corrente generata dal movimento dei fili piezoelettrici. Il tessuto, flessibile e morbido, diventa ancora più efficiente quando è umido o bagnato. Non solo. Durante i test di laboratorio, i ricercatori hanno inserito un pezzo di tale materiale nella tracolla di una borsa. Si è notato che maggiore era il carico, maggiore era pure la potenza elettrica ottenuta. Cosa potrebbe comportare questo? Lo sviluppo di tecnologie sempre più accessibili, nonché il consumo di energia pulita attraverso dispositivi, quali i computer ad esempio, che potrebbero essere indossati in futuro sotto forma di capi di abbigliamento.
La piezoelettricità è la proprietà che caratterizza alcuni materiali cristallini, la cui tendenza è la polarizzazione. Sottoposti a una deformazione meccanica, generano una differenza di potenziale elettrico. È l’ennesima conferma che ormai la produzione di energia elettrica non è più solo una prerogativa dei combustibili fossili, tra l’altro in via di esaurimento e altamente inquinanti, ma è resa possibile anche da impianti, microsistemi e addirittura tessuti che sfruttano sole, vento, acqua, biomasse”. (Fonte: “Un tessuto che trasforma l’energia cinetica in elettrica” in www.teampowersrl.it, 20 aprile 2018)
Ammettiamolo. I tanti Archimede Pitagorico che inventano di tutto e sfornano brevetti d’ogni genere non hanno sfondato in questo specifico settore dell’energia. Tanti esperimenti, tante iniziative. Ma la svolta epocale in questo campo ancora non è arrivata. Eppure è in mesi difficili come quelli che attraversiamo e, ancor più, attraverseremo a partire dall’imminente autunno che capiamo quanto sia decisiva l’energia cinetica trasformata in energia elettrica. Forse la più economica che si possa generare e sfruttare. Proviamo ad immaginare una grande palestra nella quale centinaia di signore e signori si cimentano ogni giorno su cyclette e con attrezzi per rassodare muscoli e bruciare qualche etto di grasso. E proviamo a pensare che la somma di tutti i movimenti e dunque dell’energia cinetica prodotta dai movimenti di pedali ed attrezzi possa essere trasformata in energia elettrica. Altro che bolletta da pagare all’Enel o ad altri distributori. Al contrario, la palestra diventerebbe essa stessa una mini centrale di produzione di energia elettrica. Per la palestra prima di tutto e, sicuramente in esubero, da vendere. Rimane sempre il tema di come conservare l’energia, di come stoccarla. Anche in questo campo la ricerca può e deve fare di più.
Se i nostri movimenti, i nostri passi, possono produrre energia in quantità tale se non altro da contenere i consumi che paghiamo con i costi da capogiro della bolletta elettrica, la nostra dipendenza dal gas importato – che sia russo, algerino, qatariota, azero, congolese, statunitense o di qualsivoglia altro paese – non sarà azzerata. Ma di sicuro sarà ridotta. E di tanto. Non bisogna essere intransigentemente ambientalisti per capirlo. Basta essere realisti.
 di Pino Scorciapino

Ultimi articoli

« Articoli precedenti