Cadono i veli e diventa romanzo il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro

Cultura | 30 ottobre 2017
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Non so se vale per altri miei coetanei, ma ricordo nitidamente che stavo salendo le scale della Camera del Lavoro di Catania nell'antico convento di via Crociferi, quando nella prima mattinata del 16 marzo 1978 si diffuse la notizia dell'attentato di via Fani. Il rapimento e l'assassinio del presidente della DC Aldo Moro è stato uno dei momenti decisivi della recente storia italiana e, con i suoi diversi aspetti ancora non chiariti, resta un nodo irrisolto che ancor oggi pesa sulla nostra vita politica. Quella mattina era previsto alla Camera dei deputati il dibattito parlamentare sulla fiducia al IV governo Andreotti con l'appoggio esterno del PCI, che avrebbe dato il via alla politica della solidarietà nazionale con l'astensione- per la prima volta- del principale partito comunista dell'Europa Occidentale. Fiducia rapidamente votata, nell'emozione del momento, con un'amplissima maggioranza sia alla Camera che al Senato. Ministro degli Interni era Francesco Cossiga che si sarebbe dimesso l'11 maggio due giorni dopo la scoperta del cadavere di Moro. 

Erano anni difficili; una pesante crisi economica, il terrorismo insanguinava quasi quotidianamente le strade, il “Movimento del '77” aveva assunto connotazioni violente e aveva aperto un terreno esplicito di scontro con il sindacato, con la dura contestazione al segretario della Cgil Luciano Lama all'Università romana nel febbraio 1977. Il 24 gennaio dell'anno successivo sarebbe stato ucciso Guido Rossa, delegato di fabbrica della Fiom-Cgil all'Italsider di Genova. Il rapimento e l'uccisione del presidente della DC rappresentano probabilmente l'episodio centrale di quella che è stata definita la “guerra civile a bassa intensità” che l'Italia conobbe per lunghi anni (G. Fasanella-G. Pellegrino, La guerra civile, BUR 2005), con i 55 giorni di prigionia, le lettere e il cadavere del politico pugliese fatto trovare il 9 maggio nel bagaglio di una Renault rossa in via Caetani, a poche decine di metri dalla sede comunista di via Botteghe Oscure. E' l'acme del dramma a della democrazia italiana: una vicenda sulla quale si continua a scavare ancor oggi.  

La Commissione bicamerale presieduta dall'on. Giuseppe Fioroni, insediata dall'ottobre 2014, ha finora prodotto una serie di risultati che rimettono in discussione alcune delle conclusioni acquisite in sede processuale. Per esempio, la Commissione Fioroni ha reso pubblica un'informativa del 18 febbraio 1978 proveniente dal responsabile dei servizi segreti italiani di stanza a Beirut secondo la quale un contatto appartenente al FPLP di Gorge Habash (un'organizzazione terroristica in conflitto con l'OLP di Arafat) lo aveva avvisato di un prossimo attentato terroristico in Italia; o ancora la rideterminazione del numero di terroristi che parteciparono all'agguato (non dodici come si era sempre sostenuto, ma addirittura venti). Per quanto mi riguarda, penso che l'assassinio di Aldo Moro segni l'inizio della fine della prima repubblica ed abbia molti punti di contatto con le successive vicende del nostro paese, rappresentando una ferita ancora aperta nella coscienza nazionale. Forse anche per questo, oltre che per essere ben scritto, ha suscitato tanto interesse (pubblicato a settembre 2017, è giunto in un mese alla seconda edizione) il romanzo “Il segreto” del l'inviato speciale del Corriere della Sera Antonio Ferrari (A.Ferrari, Il segreto, Chiarelettere, pgg. 323). Consiglio di cominciarlo a leggere dalla post-fazione: si comprenderà in tal modo il perché della folgorante definizione di “rompiscatole della memoria “ che ne ha dato l'ambasciatore Sergio Romano. 

Il libro fu scritto nella seconda metà del 1981 su richiesta di uno dei massimi dirigenti della Rizzoli, allora proprietaria del quotidiano milanese, per dare “alla gente, ai nostri lettori inequivocabili segnali di pulizia” in un Corriere ancora sotto shock per il coinvolgimento nello scandalo P2 dell'editore Angelo Rizzoli e del direttore generale Bruno Tassan Din. Consegnato sei mesi più tardi, il volume non fu mai pubblicato dalla casa editrice che l'aveva commissionato (e pagato) e venne successivamente rifiutato da altre case editrici. Ha trovato ora la luce dopo trentacinque anni in una situazione nella quale molte delle cose che vi son scritte appaiono certificate dalle scoperte giudiziarie e dalle ricostruzioni storiografiche. L'autore altera i nomi, i tempi, il luogo della strage, le decisioni delle Brigate rosse ma non scrive un romanzo di fantasia, anzi in esso riporta “alcune confidenze che ho ricevuto da amici magistrati, preziose notizie ignorate dai giornali e indiscrezioni davvero piccanti” e le intreccia con una trama parallela. “Ti avviso – dice l'autore al suo interlocutore aziendale- che chi leggerà capirà tutto.” Ferrari ha ragione, in trasparenza si leggono molte cose non dette sul caso Moro: la parossistica e non benevola attenzione che in molti ambienti occidentali e degli stati comunisti veniva rivolta alla situazione italiana e all'ipotesi morotea di compromesso storico, che pur aveva ricevuto tiepidi consensi dall'amministrazione democratica del presidente americano Jimmy Carter; l'esistenza all'interno di ciascun paese di apparati più o meno segreti e clandestini che agivano in contrasto, almeno apparente, con le politiche ufficiali dei propri governi.  

Tuttavia non si tratta di un saggio storico. Il giornalista modenese trova modo anche di inserirvi una storia d'amore tra un quarantenne funzionario di medio rango dei servizi segreti civili francesi e una ventenne cecoslavacca dagli affascinanti occhi azzurri, a metà tra ragazzina delusa del proprio matrimonio e inquieta presenza in segreti incontri tra sinistri personaggi. La tesi centrale- il valore “politico” del libro- è che esisteva un'organizzazione che metteva insieme personaggi a cavallo tra mondo dei servizi, affarismo e delinquenza che funzionava da “camera di compensazione” e si assumeva il compito di garantire che non fossero turbati gli equilibri generali della conferenza di Yalta nel lontano febbraio 1945. I nomi citati nel libro sono di fantasia, ma facilmente individuabili in trasparenza: Alfred Greninger, statunitense reazionario che frequenta pericolosi estremisti di sinistra e il cecoslovacco Lubo Keminar probabilmente indicano genericamente ambienti dell'estrema destra statunitense e di pezzi servizi del blocco di Varsavia associati in operazioni di destabilizzazione, o più propriamente di stabilizzazione degli assetti non modificabili della guerra fredda, Ron J. Stewart, l'agente segreto che ha lasciato la CIA per mettersi al servizio di questa sorta di Spectre, corrisponde a quel Ronald Stark, agente americano che entrò realmente in contatto con le Brigate rosse. Così come nel Franco Marozzi capo militare dei terroristi si può facilmente riconoscere Valerio Morucci.

 Il personaggio più inquietante è tuttavia quel professor Mario Crotti docente di Lettere e filosofia a Milano in cui è probabilmente riconoscibile il misterioso Corrado Simioni, uno dei massimi studiosi di Luigi Pirandello, leader del Collettivo politico milanese e partecipante al convegno di Chiavari del novembre 1969 nel quale Renato Curcio dichiarò la propria adesione al progetto di lotta armata. Trasferitosi a Parigi nel 1976, vi fondò la scuola di lingue Hyperion (nel libro si chiama Kyrie) che il presidente della Commissione stragi Giovanni Pellegrino considerava il luogo di incontro tra terrorismo internazionale e servizi segreti di entrambi i blocchi e che aprì sedi in Italia immediatamente prima del' sequestro del presidente della Democrazia Cristiana, ma qui forse si intravede in trasparenza anche la figura di Toni Negri. Un libro che va letto come un romanzo ben scritto, ma anche come un contributo alla ricostruzione della verità sui buchi neri della sua storia. Una verità della quale l'Italia ha oggi, più che mai, bisogno.

 di Franco Garufi

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