"Bastava un'altra strage, un altro colpo e Salvatore Riina avrebbe vinto"

Società | 24 giugno 2023
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"Bastava un'altra strage, un altro colpo e Salvatore Riina avrebbe vinto", parola di Giovanni Brusca libero dopo 25 anni di carcere. Lui che ha premuto il pulsante del telecomando che scatenò l'inferno a Capaci, lui che diede l'ordine di sciogliere nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, lui che posizionò l'autobomba in via Pipitone Federico dove venne trucidato, tra gli altri, il giudice Rocco Chinnici, lui che ha confessato decine e decine di delitti.

Brusca ha "analizzato" davanti a diversi magistrati e Corti di Assise il periodo delle stragi. Ha dato una sua verità sul perché sono state compiute, oltre naturalmente ad indicare nomi e cognomi dei protagonisti.

Ha anche parlato di un progetto di Cosa nostra di spaccare in due l'Italia. Lo ha fatto quando parlò dell'ormai famosissimo "papello". U' Verru disse che Riina aveva già presentato il cosiddetto papello e lo ha affermato allorquando ha cercato di spiegare la sua motivazione politica della strage di Capaci. Parlando del papello ha detto che si trattava di una serie di richieste scritte su due fogli protocollo. Ed ecco l'attualità di quella richiesta, di quel papello, che sembra essere erroneamente finito nel dimenticatoio. "Cosa nostra pretendeva la chiusura dei processi, l'abolizione del carcere duro e altro ancora" ha detto Brusca. Dopo 31 anni da quella strage e da quelle richieste si discute ancora di come "cambiare" lo status quo di come attuare le richieste del "papello". Già, il "papello", La parola è mutuata da un vecchio gergo universitario e indica una "carta" di doveri delle giovani matricole. Un elenco di "pegni" che devono pagare agli "anziani" laureandi.

Secondo Brusca, o meglio come lui afferma, secondo Riina, dunque, lo Stato (come una matricola) doveva pagare il pedaggio e sperare così che si fermasse la violenza stragista di Cosa nostra.

Ci fu, questo il senso del "teorema Brusca, un periodo di attesa da parte della mafia, dopo l'assassinio di Salvo Lima e l'eccidio di Capaci. Gli uomini d'onore si aspettavano una reazione "politica". E lui, Brusca, chiese a Riina - incontrandolo dopo Capaci e prima di via D'Amelio - se vi fossero novità. Il capo dei capi avrebbe spiegato: "Mah! Mi vogliono portare questo Bossi. Ma chistu è pazzu, è inaffidabile. Io non ci voglio avere a che fare". I due si sarebbero rivisti a distanza di qualche settimana e nel frattempo era stato uccuiso anche Paolo Borsellino e Brusca apprende che "finalmente si sono fatti sotto". Chi? Certamente non Bossi. Ai magistrati, anni fa, l'ex boss di San Giuseppe Jato ha detto: "Non so. Avrà avuto contatti con persone dello Stato, ma non so se fossero imprenditori, avvocati o massoni. So, perché me lo disse Riina, che a questi, il capo aveva consegnato il "papello"". "Riina - aggiunse Brusca - aveva sfruttato la debolezza dello Stato, dopo le stragi, per un accordo. Se Riina non veniva arrestato, con la magistratura di Palermo a terra, le stragi continuavano e Riina avrebbe vinto". Brusca insomma ha affermato che: l'accordo non venne rispettato proprio per l'arresto del capo dei capi, "a Riina si ubbidiva per amore o per timore, quello che faceva lui stava bene a tutti noi". Come è finito è ormai storia e anche storia giudiziaria (processo Stato-mafia docet).

Brusca ha parlato di una dittatura di Riina. H affermato che le regole in Cosa nostra anche se ancora erano esistenti venivano trasformate. "Salvatore Riina - ha aggiunto - decise di agire autonomamente. Lo decise per diversi omicidi. Cominciò con quello del colonnello Russo. Quando il colonnello andò nel territorio di Riina lo fece uccidere. Tra gli esecutori vi era anche Giuseppe Greco "Scarpa", questo per compromettere il mandamento di Ciaculli di cui Greco faceva parte. In quella occasione ricordo che mio padre Bernardo commentò "ma cumpari ava stari cu li pedi in terra", quasi a voler dire che Riina rischiava grosso, ma con sé aveva la forza militare. Ma anche per l'uccisione del capitano Emanuele Basile, Riina agì senza chiedere il permesso, ma lo comunicò ai capimandamento a fatto compiuto. Così fece anche per la strage Chinnici. In quella occasione la commissione non si riunì, ma alla strage parteciparono uomini di Ciaculli, e poi lo sapevano i cugini Ignazio e Nino Salvo e quindi ritengo che anche se non ci fu riunione dovevano sapere".

L'ex boss di San Giuseppe Jato, oggi uomo libero, parlò anche di un depistaggio che Cosa nostra mise in atto all'indomani della strage di Capaci. Per Brusca Cosa nostra non si mascherò dietro la rivendicazione della strage fatta dalle Falange Armate, ma una sorta di depistaggio venne ugualmente compiuta. "Noi abbiamo cercato di depistare che fu solo Cosa nostra a compiere la strage di Capaci. Abbiamo messo in giro la voce tra gli uomini d'onore, quelli meno importanti che non sapevano nulla sull'attentato, per poi diffonderla ad altri, che non erano appartenenti a Cosa nostra. Per fare questo abbiamo detto che per essere una strage così perfetta era necessario che vi fosse stato qualcuno dei servizi segreti. Fu un depistaggio spontaneo, non programmato".

Giovanni Brusca ha raccontato molte "sue verità". In qualche occasione ha ripercorso il collaudato schema di Cosa nostra: tagliare anche un braccio incancrenito per salvare il resto del corpo. Ma oggi è un uomo libero Giovanni Brusca, libero con le "sue verità".
 di Giuseppe Martorana

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