Aumentano i morti sul lavoro e sono soprattutto anziani
Con i quattro operai di origine sikh morti nei giorni scorsi in un'azienda agricola del Pavese sono diventati 621 le lavoratrici ed i lavoratori deceduti per incidenti sul lavoro in Italia. I casi denunciati erano 599 al 31 luglio scorso; 18 sono state le morti bianche nel mese di agosto, a cui si aggiungono i quattro di cui sopra .
Gli incidenti mortali sul lavoro nel nostro paese sono stati in costante aumento negli ultimi tre anni: i dati del 2018 superavano del 10,1% quelli dell'anno precedente e la tendenza sembra tragicamente destinata a perpetuarsi. Morire di lavoro non è colpa del destino; è una diretta conseguenza della diminuita attenzione alla sicurezza dei luoghi di lavoro e del generale appesantirsi delle condizioni di lavoro, frutto anche del protrarsi della crisi economica. Le aziende investono meno in sicurezza. le lavoratrici ed i lavoratori sono pressati anche dal timore della perdita del posto di lavoro e riescono assai meno del passato ad organizzare iniziative di resistenza contro l'arretramento delle condizioni materiali nelle quali prestano la propria opera. Inoltre, l'ultima legge di bilancio nazionale, pur aumentando di un milione di euro il fondo per il sostegno delle famiglie delle vittime di gravi infortuni sul lavoro, ha portato ad una riduzione media del 32% delle tariffe a carico delle imprese. Il provvedimento, presentato in modo un pò stravagante dal governo allora in carica come un contributo al taglio del cuneo fiscale (cioè la differenza tra quanto dichiarato in busta paga e quanto effettivamente percepito dal lavoratore), ha in realtà mortificato gli sforzi per far crescere la cultura della sicurezza, premiando le aziende e contemporaneamente riducendo le risorse a disposizione dell'INAIL per la prevenzione. Una contraddizione che è stata oggetto di una forte denuncia e di iniziative di mobilitazione unitarie da parte di Cgil, Cisl ed UIL.
La caduta di attenzione e capacità di intervento sui temi della sicurezza del lavoro, sommata agli effetti di provvedimenti legislativi sbagliati, è alle origini della tragica impennata del numero dei morti, tanto che non sarebbe eccessivo definire gli incidenti mortali come “omicidi bianchi. Ognuno deve assumere le proprie responsabilità ed è necessario alzare il livello della mobilitazione di massa per richiamare l'attenzione dell'intero paese sulla drammatica condizione di chi esce da casa per guadagnarsi il pane quotidiano e va incontro ad un tragico destino provocato non dalla malasorte ma da precise responsabilità delle aziende e degli enti preposti ai controlli. Il paradosso, poi, è che gli incidenti mortali crescono di più nella parte d'Italia dove c'è meno lavoro e nei settori in cui le condizioni della prestazione sono più pesanti, come l'agricoltura, dove la lotta per la sicurezza del lavoro si intreccia strettamente con quella al caporalato.
La Sicilia è una delle regioni in cui si constata una drammatica impennata del numero dei morti di lavoro. Basta consultare gli open data INAIL per rilevare che rispetto al periodo gennaio-luglio 2018 (36), nei primi sette mesi di quest'anno vi sono stati ben 13 morti bianche in più (49): 29 nell'industria e servizi, 8 in agricoltura, 2 nel pubblico impiego. Ad essi vanno aggiunti, tra agosto e la prima decade di settembre, gli incidenti con esito fatale di Randazzo, Alcamo e Polizzi Generosa. Una vera e propria strage alla quale bisogna por fine mettendo il tema al centro dell'attenzione della pubblica opinione e delle iniziative sindacali.
Non ci sono solo i morti: confrontando luglio 2018 con il luglio dell'anno in corso,le denunce mensili di infortuni sono salite da 1955 a 2020 ( sono tuttavia leggermente diminuite - da 16275 a 16126- se si confronta il periodo gennaio-luglio); di esse ben 1814 nell'industria e servizi. Anche recarsi a lavorare è pericoloso: sono state 243 le denunce di infortunio in itinere presentate nel corso del mese di luglio. Gli infortuni sono aumentati in modo significativo a Palermo, Messina, Ragusa e Trapani e riguardano lavoratori sempre più anziani: ben 516 nella classe d'età compresa tra 55 e 69 anni. Segno, questo, che la famosa “quota cento”non ha risolto i problemi creati dalla “legge Fornero”e che lavoratori sempre più vecchi pagano a prezzo più caro le carenze nella sicurezza determinate dai mancati investimenti aziendali, dalla non attuazione dei percorsi formativi pur esistenti e dall'insufficienza delle strutture della Regione addette ai controlli, Ispettorati del Lavoro ed ASP in particolare.
Andrebbero studiati approfonditamente i numeri pubblicati dall'Istituto, soprattutto da coloro che assumono (o dovrebbero assumere) decisioni politiche: servirebbe a rendersi conto di quanto la mancanza di sicurezza sul luogo di lavoro sia l'altra faccia della fame di lavoro esistente nell'isola. Pur di guadagnarsi un salario si accetta di tutto: sotto-retribuzione, lavoro nero, il rischio di cadere da un'impalcatura precaria in un cantiere non a norma, di finire schiacciato da un carrello in un supermercato oppure di venire ucciso da una trave mal collocata. Non basta più esprimere cordoglio dopo ogni morte; ora è tempo di rimboccarsi le maniche e di fare di tutto per sottrarre chi lavora al ricatto del rischio come unica alternativa alla disoccupazione.
Ultimi articoli
- La nuova Cortina
di ferro grande campo
di battaglia - La riforma agraria che mancò gli obiettivi / 2
- Mattarella, leggi
di svolta dall'incontro
con il Pci - Mattarella fermato
per le aperture al Pci - La legalità vero antidoto per la cultura mafiosa
- Natale, un po' di rabbia
e tanta speranza
nella cesta degli auguri - Lotte e sconfitte
nelle campagne siciliane
al tempo di Ovazza / 1 - La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica