Addio al santo laico Biagio Conte, rifugio degli ultimi a Palermo

Società | 12 gennaio 2023
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«La Missione nasce dall’esperienza profonda di chi ha incominciato a cercare la verità, la vera libertà e la vera pace, distaccandosi dal mondo materialistico e consumistico. Stanco e dalla vita mondana che conducevo, ho sentito nel cuore di lasciare tutto e tutti; me ne andai via dalla casa paterna il 5 maggio 1990, a 26 anni, con l’intenzione di non tornare più nella città di Palermo, perchè questa città e società mi avevano tanto ferito e deluso». Così si è raccontato il missionario laico di Palermo, Biagio Conte, morto oggi a 59 anni dopo una grave malattia. Aveva lasciato gli agi della sua condizione, la famiglia e l’impresa edile del padre. Una scelta che lo accosta al Poverello d’Assisi che lo ispirò. Circa trenta anni fa ha fondato la cittadella dei poveri, la Missione di speranza e carità.
«Mi addentrai tra la natura e le montagne all’interno della Sicilia - aggiunse una volta - iniziando un’esperienza di eremitaggio tra montagne, laghi, fiumi, sotto il sole, la luna e le stelle. Poi successivamente cominciai a sentire sempre più che Gesù, l’uomo giusto che ha donato la vita per noi, mi portava con lui per fare una esperienza che successivamente avrebbe stravolto tutta la mia vita; ho camminato molto scaricando le tensioni e le scorie della vita mondana, nel silenzio e nella meditazione mi sentivo sempre più libero e pieno di pace, non avevo nulla con me, eppure era come se avessi tutto».
Come spinto da «un vento impetuoso», disse ancora Biagio Conte spiegando come nacque la sua vocazione per i poveri, «ho iniziato a camminare, da pellegrino, attraverso le regioni d’Italia fino ad arrivare ad Assisi, da San Francesco, a cui ho tanto sentito di ispirarmi per la sua profonda umiltà e semplicità e per l’aver donato la sua vita per Gesù e per il nostro prossimo. Durante il lungo viaggio ho incontrato diversi poveri e trasandati che mi riportarono alla mente quei volti poveri e sofferenti che vedevo nella città di Palermo».
Piano piano ha iniziato a capire il progetto «Missione": «Dedicare la mia vita per i più poveri dei poveri». Non aveva mai avuto nessuna esperienza del genere: «Dopo l’arrivo ad Assisi, davanti la tomba di San Francesco, nei luoghi dove il Santo ha dedicato e donato la sua vita, sentii nel mio cuore di vivere la mia vita da missionario. Ebbi una reazione impulsiva, volevo andare in Africa o in India, e invece mi sento riportare nella città dove non volevo più tornare, Gesù ha voluto che la Missione nascesse proprio nelle strade di Palermo; partendo dalla stazione centrale tra i vagoni e le sale d’aspetto, angoli di strada, marciapiedi, panchine dove tanti fratelli dormivano e passavano intere giornate tra l’indifferenza più assoluta». La società li chiama barboni, vagabondi, giovani sbandati, alcolisti, ex detenuti, separati, prostitute profughi, immigrati, «ma dal momento che ho sentito il coraggio di incontrarli e abbracciarli, li ho chiamati fratelli e sorelle, senza farli sentire inferiori o diversi da noi tutti. Ero felice - disse Biagio Conte - di vivere con loro alla stazione, di aiutarli e confortarli, mi prodigavo a portare loro thermos con latte e the caldo, panini e coperte per ripararli dal freddo».
Fu un’esperienza forte «e cominciai a chiedere aiuto a tutti, e andai pure alla Curia di Palermo dal cardinale Pappalardo, il quale capì quel giovane che andò a bussare alla sua porte e decise di venire alla stazione per celebrare una messa insieme a tutti i fratelli ultimi sotto i portici della stazione; è stato un momento indimenticabile che mi incoraggiò molto e soprattutto aprì gli occhi della città sui tanti fratelli poveri che vivevano per strada, non considerati da nessuno, come se fossero scarto e rifiuto».
Da questa esperienza alla Stazione Centrale di Palermo, decise di non tornare più a casa dei genitori, per condividere per sempre la sua vita con i fratelli ultimi: «Inizia così la Missione che sentii di chiamare Missione di speranza e carità. Si scopre un progetto di Dio sconvolgente, ricco di Speranza e Carità, che a distanza di quasi trent'anni dal suo nascere ha coinvolto e continua a coinvolgere uomini e donne di ogni ceto sociale, anche capaci di cambiare radicalmente il loro modo di vivere per diventare missionari e missionarie della speranza e della carità, per operare nei luoghi di emarginazione delle grandi metropoli». 


Una casa sicura per chi non ha più niente 

La Missione di speranza e carità opera in nove comunità, destinate all’accoglienza maschile e di donne singole e mamme con i loro bambini. Le strutture si trovano a Palermo e in provincia; in città, vicino alla Stazione centrale, sono state trovate in uno stato di grave incuria e degrado, in quanto abbandonate e inutilizzate da decenni (alcuni locali erano dei veri e propri ruderi con il tetto crollato). Gli stessi fratelli accolti e tanti volontari, gruppi e associazioni, con grande spirito di solidarietà hanno iniziato «una pietra dopo l’altra», come diceva san Francesco, il restauro e la ricostruzione dei locali, trasformando dei ruderi, in case di accoglienza, pace e speranza. La Missione è un progetto aperto. Non ci sono limiti. Molte iniziative sono state avviate. Altre devono esserlo.
Le tre comunità principali sono quella di via Archirafi 31, denominata «Missione speranza e carità», dove tutto è nato tra i ruderi trasformatisi in miracolo; la comunità di via Garibaldi 3, «Accoglienza femminile"; la comunità di via Decollati 29, «La Cittadella del povero e della speranza». Ci sono anche tre realtà agricole, una a Palermo, «Villa Florio», dove si coltivano per lo più ortaggi, una a Tagliavia, frazione di Corleone, dove si coltiva il grano, una a Scopello, dove si producono olive per realizzare olio; una a Giacalone per il campo estivo dei bambini. Altre realtà sul monte Innici e un’altra in provincia di Enna.
La Missione non prevede un termine preciso di permanenza in comunità; l’accoglienza viene normalmente garantita fino a quando chi è accolto trova una sistemazione abitativa. Ogni comunità è dotata di una cucina e di una mensa dove vengono distribuiti tre pasti al giorno; è inoltre garantita un’assistenza medica e farmaceutica e dei servizi docce e vestiario per i tanti poveri che ogni giorno bussano alla porta della Missione. La struttura di via Archirafi 31 (l'ex disinfettatoio comunale) accoglie solo uomini. Molti vivevano per strada e grazie al servizio di Missione notturna sono stati portati in comunità e recuperati da una condizione di grave emarginazione e totale abbandono. Qui sono concentrate le persone più sofferenti che hanno bisogno di cure infermieristiche perchè affette da malattie croniche o da disabilità fisiche e mentali. Sono anche presenti alcolisti cronici che si tenta di disintossicare dalla schiavitù dell’alcol, grazie a lavori artigianali o di tipo agricolo svolti in un terreno fuori Palermo.
La Missione Femminile di via Garibaldi (ex convento di Santa Caterina) accoglie sorelle senza tetto tra donne singole e mamme con bambini. Molte delle sorelle accolte sono giovani ragazze madri o donne sole e abbandonate dalla famiglia. Sono anche presenti donne con disagi mentali o ex prostitute che hanno deciso di iniziare una nuova vita. Dal 2003 sono state accolte tante donne straniere profughe dall’Africa singole o con bambini o in stato di gravidanza. La Cittadella del povero e della speranza (ex caserma dell’aeronautica militare), è la seconda comunità maschile della Missione nata per far fronte al dilagante richiesta di aiuto di centinaia di profughi provenienti dall’Africa e dall’Asia. Qua accolti tanti fratelli in diversi dormitori.
La maggiore parte dei fratelli accolti in questa comunità sono giovani sopra i diciotto anni di età, rifugiati politici, richiedenti asilo o titolari di un permesso di protezione internazionale. In missione è stato e dedicato un apposito dormitorio per curare i migranti ammalati o fortemente debilitati dop il viaggio in mare intrapreso per raggiungere le coste della Sicilia. Molti di questi ragazzi dopo avere riacquistato le forze, decidono di andare via dalla Missione per cercare lavoro fuori; altri, spesso bloccati dalle lungaggini burocratiche connesse al rilascio del permesso di soggiorno, decidono di vivere più a lungo in Missione, in questo caso vengono impegnati in comunità per imparare un mestiere e la lingua italiana.



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