A Medicina numero chiuso, in servizio pochi e anziani: la sanità nemica dei cittadini
L'analisi | 1 novembre 2022
1.C’era una volta una sanità degna d’un paese civile
Una contraddizione stridente. Inaccettabile. Intollerabile.
Da una parte i reparti ospedalieri chiudono a decine, specie nei nosocomi dei centri minori. Per mancanza di medici. Non solo, con un disegno a tavolino, per qualcuna delle tante “riforme” dell’assetto sanitario pubblico sul territorio sempre tese a “tagliare”, “ridurre”, “accorpare”. Ma sempre più spesso perché l’ultimo dei primari in servizio va in pensione. Ed è come l’ultimo dei Mohicani. Di rimpiazzarlo neppure a parlarne, per concorsi e bandi che vanno deserti e lasciano vuota la casella da coprire, per mancanza di profili specialistici disponibili. C’è dell’altro. Intere cittadine, in particolare piccoli e sperduti paesi, restano senza alcuna assistenza sanitaria quando l’unico anziano medico di base in servizio chiude il suo ambulatorio per limiti d’età e va in pensione. A Cesarò e San Teodoro, due comuni dei Nebrodi, nel Messinese, che distano due chilometri l’uno dall’altro, questa estate è scoppiata una mezza sollevazione popolare. Da due anni sono senza medico di base e con la guardia medica che funziona a singhiozzo i quattromila abitanti che fanno insieme i due centri, in buona parte anziani. Sono rimasti a zero quanto ad assistenza sanitaria anche solo per rinnovare una ricetta per comprare le medicine in farmacia. Niente servizio pediatrico per i bambini. L’Asp di Messina ribatte che si è mossa ma non è riuscita a reperire medici di base che vogliono andare a lavorare nei due centri: “Non vuole venire nessuno”. Soluzione: l’ospedale di Bronte in provincia di Catania, a 18 chilometri, ma non è che i servizi del medico di famiglia te li presta un ospedale, per di più di un’altra Asp rispetto a quella di appartenenza del cittadino “utente” e fin troppo “paziente”. Succede prevalentemente nelle aree interne ma talvolta anche nelle aree costiere. Mentre dappertutto – nei piccoli comuni come nelle grandi città – non ha fine e piuttosto si accentua nella sua gravità lo scandalo delle liste d’attesa per prestazioni ed analisi specialistiche nel sistema sanitario pubblico. In molti casi ormai si raggiungono non troppe settimane di attesa ma troppi mesi di attesa. Ci si avvicina all’anno. Tradotto: se hai soldi da parte ti paghi di tasca tua una tac, una risonanza magnetica e ritardi di qualche anno il tuo incontro con quella che una volta si chiamava Estrema Unzione. Se sei un poveraccio non hai scampo. Stile America. Non c’è che dire: gran bella evoluzione della sanità pubblica italiana, una volta considerata tra le più efficienti ed “egualitarie” del mondo…
Dall’altra parte con una miopia ed una protervia che gridano vendetta ci si ostina in strampalati quiz di ammissione alle Facoltà universitarie di Medicina. Domande di matematica, di geometria, di logica, di attualità che non c’entrano nulla con l’arte di Ippocrate, ai quali non scamperebbero con tutta la loro pluridecennale esperienza neppure i più noti luminari della scienza medica in Italia, che pure vantano carriere e risultati inarrivabili. Così - invece di incrementare il numero dei futuri medici di cui nel Belpaese si ha un disperato bisogno considerata l’età media del personale di base ed ospedaliero in attività - non si fa altro che restringerlo, contenerlo, privare dolosamente la presente e le future generazioni del diritto all’assistenza sanitaria. L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di medici di età superiore ai 55 anni. Una situazione che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito una bomba ad orologeria invitando a prepararsi ad una carenza di personale medico per gli anni a venire in quanto molti sanitari sono ormai vicini alla pensione e provati dai due e passa anni di pandemia (Annalisa Bonfranceschi “L’Italia è il paese con più medici over 55 in Europa” in “La Repubblica”, 16 settembre 2022).
Anche quest’anno a settembre è andato in scena il rito suicida degli esami di ammissione alle Facoltà di Medicina e Chirurgia. Costa talvolta anni di preparazione e tentativi ai ragazzi. E una barca di soldi alle loro famiglie, spesso sperperati invano. Un rito suicida che in un colpo solo uccide le speranze di decine di migliaia di aspiranti medici che sarebbero sostenuti da un forte vocazione - indispensabile per “credere” in quel lavoro impegnativo come una missione e svolgerlo al meglio - e uccide le prospettive di milioni e milioni di pazienti di essere seguiti e curati in modo più civile di quanto avviene adesso. L’Italia – lo sappiamo – non è un paese per giovani e non sarà, anzi ha già cominciato ad esserlo, un paese per malati ed assistiti.
2.E allora cerchiamo medici all’estero
A questo punto non stupisce che - alle prese con ospedali chiusi, reparti soppressi, ambulatori di medici inesistenti perché i titolari sono andati in pensione - Regioni, Aziende sanitarie provinciali, Comuni si siano dati da fare, tentando di reclutare personale medico in altri paesi. Sempre più ricorrenti i casi. Come in Calabria. “La Calabria e i medici cubani costituisce la notizia del momento. Chi è d’accordo e chi no. Chi ne discute tecnicamente e chi “politicamente”. Sta di fatto che è stato perfezionato un accordo preliminare firmato tra la Regione Calabria (rectius, dal commissario governativo ad acta) e una società cubana di intermediazione di lavoro, nello specifico di operatori sanitari. Sta di fatto che 500 medici potranno approdare in Calabria per essere ivi utilizzati per dare vita ad una sanità che, come l’isola di Bennato, non c’è. Perché tali medici divengano professionalmente attivi, ci vorrà il tempo utile per abilitarli all’esercizio. (…)”. Così scrive Ettore Jorio il 24 agosto 2022 su “quotidianosanita.it” in un articolo intitolato “Medici cubani in Calabria. Una scelta “estemporanea” ma giusta, ecco perché”.
Il quotidiano economico “Italia Oggi” traccia la seguente panoramica del fenomeno: “E’ caccia al medico. Per assumerlo. Di fronte a un’emergenza che riguarda la salute sarebbe opportuna una direttiva nazionale, cioè il problema andrebbe affrontato in un quadro complessivo. Invece, complice le competenze regionali sulla sanità, ognuno va per conto suo e non manca la fantasia. Manca il personale sanitario (in un Paese ad alta disoccupazione giovanile) e, come avviene per il gas, si va all’estero per cercare di turare le falle. Le Asl ora arruolano medici stranieri: 500 da Cuba, 250 dall’Ucraina, 100 dall’Albania. A Ravenna, per esempio, sono andati in missione alla ricerca di personale in Albania, India e Tunisia” (“Italia Oggi” “Le Asl ormai arruolano medici all’estero: 500 cubani, 250 ucraini e 100 albanesi”, 24 agosto 2022).
Il 14 settembre 2022 così Salvo Catalano su “La Repubblica” (“Sicilia, il borgo senza medici assume dottori argentini: “Veniamo qui perché ci pagano 4 euro l’ora”) racconta quanto successo da noi in Sicilia: “Mussomeli è un piccolo centro nel cuore della Sicilia, il suo ospedale rientra tra quelli "di area disagiata". Eppure dei sei reparti previsti dalla rete ospedaliera, tre sono chiusi per carenza di medici specialisti. I numerosi bandi dell'Azienda sanitaria provinciale negli ultimi anni sono andati deserti. Così il sindaco Giuseppe Catania, con l'aiuto di una coppia italo argentina trasferitasi a Mussomeli, ha siglato un accordo con l'università di Rosario, in Argentina. A rispondere alla chiamata sono stati migliaia di camici bianchi sudamericani. "In Argentina - racconta uno di loro - prendo 4 euro all'ora e la criminalità dilaga". Ma l'Ordine dei medici solleva perplessità: "Chi deve riconoscere i titoli di questi medici? A questo proposito c'è confusione", sottolinea il presidente regionale dell'ordine Toti Amato. L'Asp comunque tira dritto, ha pubblicato il bando e ultimato le selezioni online. Ha infine chiesto un parere alla Regione sul riconoscimento dei titoli che, dicono dall'azienda, dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. Così nelle prossime settimane i primi dieci sanitari potrebbero iniziare il loro servizio”. Altri particolari su questa vicenda li leggiamo sul bollettino della Federazione dello associazioni italiane degli informatori scientifici del Farmacoin un articolo del 16 settembre intitolato “Dopo i medici cubani in Calabria arriveranno i medici argentini in Sicilia”: “Il sindaco di Mussomeli Giuseppe Catania in piena pandemia ha iniziato ad avere una lunga interlocuzione con i professionisti. Dopo diversi pareri richiesti in assessorato il manager di Caltanissetta ha dato l’ok agli avvisi pubblici per l’ospedale “Immacolata Longo” di Mussomeli aperti agli specializzati con titoli conseguiti nei paesi europei e nei paesi Terzi. I posti banditi dall’Asp e di Caltanissetta sono stati quelli di Ortopedia, Lungodegenza, Medicina e Chirurgia. E per ogni branca la partecipazione è stata considerevole. Per Ortopedia hanno preso parte sette medici argentini e tutti hanno la laurea in specializzazione conseguita in paesi terzi in corso di riconoscimento da parte del Ministero della Salute. Due argentini per la Lungodegenza, quattro per la Medicina e sei per la Chirurgia. E non sono pochi visto che all’ospedale “Immacolata Longo” di Mussomeli se non dovessero arrivare questi professionisti c’è il rischio di dovere ulteriormente ridimensionare le unità operative (…)”.
A Siracusa l’Asp provinciale formerà giovani medici della Tanzania. Così fa un favore a quel paese africano fornendo medici e tecnici e in cambio riceve manodopera per gli ospedali aretusei e in provincia a corto di personale medico nei centri minori e negli ambulatori ospedalieri che hanno già chiuso per mancanza di medici.
Sconcertano le reazioni di alcune sigle sindacali della categoria medica a questi tentativi di uscire dalla tragica carenza di personale medico nella sanità italiana.
Scrive Antioco Fois su “Il Giornale della Previdenza dei medici e degli odontoiatri”, numero 4/2022, in un articolo intitolato “Medici “d’importazione”. Semaforo giallo dalla federazione”:
“In principio era la Calabria, con 500 medici cubani reclutati per tamponare il fabbisogno di sanitari in corsia. Adesso “è la volta della Puglia, che ha avviato una interlocuzione per reclutare medici albanesi, e della Sicilia, che guarda invece all’Argentina” rivela Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, (la Federazione nazionale degli Ordini dei medici, n.d.r.) che ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, richiamando l’attenzione “sulla normativa che permette l’impiego di medici extracomunitari in deroga al normale iter di riconoscimento dei titoli e all’obbligo di iscrizione all’Ordine”.
La “caccia al solitario” oltre confine nelle regioni ha innescato un coro di critiche, con denunce sui rischi, che vanno dalla concorrenza sleale alle incognite sulla preparazione dei medici che vengono a esercitare in Italia. Un sistema che, facendo una ulteriore valutazione, può alla lunga avere ripercussioni sull’aspetto previdenziale, a danno di tutta la categoria dei medici.
Va dritto al punto il presidente Fnomceo, nella lettera al Quirinale: ad essere a rischio sono le garanzie sulla salute dei cittadini, attenuate da una normativa che abbassa la guardia sul controllo della preparazione dei medici “d’importazione”.
Il corto circuito denunciato dalla Federazione degli Ordini dei medici e dei dentisti è causato dalla proroga per tutto il 2023 della norma, varata durante lo stato di emergenza Covid, che aveva aperto all’esercizio temporaneo dei sanitari con una semplificazione anche nel riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero. Una misura che adesso non sarebbe “più in funzione dell’emergenza Covid, ma della carenza di medici”, spiega Anelli al “Giornale della Previdenza”. Insomma, allargare le maglie aveva un senso durante i mesi più neri della pandemia, ma “desta evidentemente notevoli perplessità – si legge nella lettera al Quirinale – se applicata ad altre circostanze, atteso che attenua le garanzie poste in via ordinaria a presidio della sicurezza delle cure in favore del cittadino”. (…) “L’Italia ha certamente ancora risorse: pensionati e specializzanti che sono impiegati in una fase temporanea limitata per fare fronte alla carenza di specialisti. Ora però – commentare Anelli al nostro giornale – occorre una risposta strutturale e complessiva che, oltre a farci superare il momento, vada a colmare le disuguaglianze di salute all’interno del Paese”.
E’ invece passata alle carte bollate la Cimo-Fesmed (il Coordinamento italiano medici ospedalieri, n.d.r.) che ha presentato un ricorso al Tar contro l’accordo della Regione Calabria per l’assunzione a tempo determinato di 500 medici cubani – continua Antioco Fois – La federazione sindacale denuncia contraddizioni formali e sostanziali nell’accordo. Il ricorso alla procedura di accordo quadro per la somministrazione di manodopera è “vietato per l’esercizio di funzioni dirigenziali quali quelle che spettano ai medici”, commenta il presidente Cimo Guido Quici. “Verrebbe da dire – si legge infatti nell’esposto presentato - che il solo fatto che si tratti di medici conduca alla esclusione della possibilità di fruire del rapporto di somministrazione”.
Invece la prima scelta, sostiene il sindacato, sarebbe dovuta essere l’assunzione di “medici specializzandi degli ultimi anni di formazione, come previsto dalla legge”. Oltre a citare la pubblicazione della statunitense Fondazione per i diritti umani, “che fa luce su un vero e proprio traffico di medici cubani nel mondo”, il presidente del sindacato punta il dito contro il ricorso ad enti esterni per il reclutamento di medici, che darebbe luogo ad “una concorrenza sleale nel mercato del lavoro”.
“Ai medici stranieri che vengono in Italia – considera Quici – vengono riconosciute retribuzioni inferiori rispetto alla media. Non vorremmo che, considerata la carenza di risorse il dumping salariale facesse il suo ingresso anche nel settore medico”.
“Quando si renderanno conto che i medici stranieri costano meno degli italiani – aggiunge il presidente del sindacato – le Regioni perennemente in difficoltà economiche andranno alla ricerca del miglior offerente, in barba a problemi linguistici, formativi, ordinistici e assicurativi”.
La via per risolvere il problema della carenza di medici – conclude Fois nel suo articolo – per il vertice del Cimo sarebbe invece quella di “formare nuovi professionisti e bandire concorsi per assumerli stabilmente all’interno del servizio sanitario nazionale. I concorsi devono essere l’unica porta d’ingresso nel Ssn” ”.
3.E le esigenze di ricoverati ed assistiti dove le mettiamo?
Perché – fatte salve le parole finali della dichiarazione del presidente del Cimo, condivisibili – sconcertano questa reazioni? Perché elencano una serie di motivazioni a tutela del personale medico in servizio, paventano i rischi di essere sottopagate per le nuove “reclute” giunte da Oltremare, ammoniscono sulla probabilità di dumping salariale. Ma non c’è posto in queste prese di posizione per il martirio degli assistiti e l’apprensione a cui la rarefazione dell’assistenza sanitaria e, a monte, la sopravvenuta scarsità di medici in Italia a causa delle barriere d’entrata a Medicina e dell’aumento dell’età media dei camici bianchi sta condannando e condannerà sempre più negli anni a venire decine di milioni di italiani. Noi pazienti, noi utenti, le nostre odissee mediche e ospedaliere non sembrano avere posto nelle motivazioni di Ordini dei medici e di alcune loro sigle sindacali. Quasi non fossimo la materia prima della medicina. Del resto che dire della strumentalità con la quale, una volta varcata la soglia d’una stanza d’ospedale, ci si ostina a tenere lontani da quel locale i familiari di un paziente? Siamo passati nel giro di non molti anni dal tragicomico al tragico. Chi non ricorda nei piccoli ospedali di paese le visite ad un degente appena reduce da un intervento chirurgico o a una puerpera appena partorita di frotte di lontani cugini, vicine di casa, comari, amici? Le stanze dei reparti nelle ore di accesso al pubblico diventavano affollate piazze dove la parola “privacy” era ancora sconosciuta. E il vociare delle discussioni si poteva ascoltare fino ai piani superiori. Assurdo. Poi venne il covid-19. Ospedali chiusi ermeticamente. Una volta superata quella soglia, il malato era solo anche per mesi. Con i suoi pensieri e le sue paure. Ora, allentatasi la presa del covid, almeno uno straccio di visita di un marito a sua moglie o viceversa, di un figlio ad un genitore – con tutte le mascherine e le precauzioni del caso – perché non consentirla? E’ più terapeutica di mille medicine la presenza anche per pochi minuti di una persona cara, una carezza, un gesto di affetto, un incoraggiamento, un bel ricordo da rivangare, un sorriso o meglio ancora una risata. Non occorre essere luminari di psicologia per capirlo.
4.E’ arrivato il momento di fare sul serio su questi temi
Ma torniamo alla carenza di medici ed alla voluta stitichezza del sistema sanitario – per carenza di risorse finanziarie, mantenimento di privilegi baronali, strapotere degli Ordini dei medici ed altre concomitanti, interessatissimi fattori – nel consentire il più ampio accesso agli studi medici per aumentare in Italia il numero dei camici bianchi negli anni a venire. Non precisamente domani. Anche a cominciare oggi considerando che la formazione di un professionista richiede tra corso di laurea e specializzazione dieci anni buoni.
A mali estremi estremi rimedi. Abbiamo una proposta drastica da fare alle associazioni di tutele dei consumatori, ai tribunali per i diritti del malato, ai segretari di categoria nazionali dei pensionati delle principali sigle sindacali: presentare alle Procure della Repubblica denunce penali nei confronti di tutti i fautori del numero chiuso – siano essi ministri, sottosegretari, rettori, capidipartimento, presidenti di ordini dei medici, presidenti o segretari di associazioni di categoria dei medici. In quanto responsabili più o meno consapevoli di reati come omicidio colposo, lesioni colpose, tentata strage, omissione di soccorso, mancata assistenza sanitaria, omissione di atti d’ufficio e via discorrendo. Chiaramente si tratta di una iniziativa molto provocatoria. Difficilmente un giudice pronuncerebbe una sola condanna. Ma una strategia del genere ripetuta in ogni Procura avrebbe come primo effetto quello di animare un vasto movimento di opinione a livello nazionale coinvolgendo milioni di cittadini in una lobby nazionale di dimensioni mai viste. Con altrettanto vasto dibattito che scalfirebbe la sicumera con cui pochi detentori di potere impongono una scelta penalizzante per decine di milioni di italiani. Compresi nella penalizzazione gli stessi medici in attività che – sempre più assottigliati come numero e stressati – soffrono condizioni di lavoro oberanti, inaccettabili. Specie in alcune collocazioni come il Pronto soccorso. Potremmo definire una mega iniziativa del genere una “class action” piuttosto atipica. Finalizzata non tanto ad intenti “risarcitori” quanto piuttosto “modificatori” di una sciagurata linea normativa che insiste sul numero chiuso a Medicina. Tra parentesi, per noi il numero chiuso in una Facoltà universitaria non dovrebbe mai esistere, in particolare in una università statale: dalla scuola dell’infanzia alle elementari, dalla media alle superiori fino all’università l’istruzione deve essere per sua natura sempre “aperta” a tutti, mai “chiusa”. Non c’è bisogno di possedere l’intelligenza, il cuore, la modernità di educatore di un grande, don Lorenzo Milani, per capirlo. Iniziative, queste denunce, che sostanzierebbero una battaglia da combattere che ha il suo primo obiettivo nell’eliminazione del numero chiuso per l’accesso alle Facoltà di Medicina. Le quali – metaforicamente – ancora di più dovrebbero anzi allargare le loro porte di ingresso. I locali dove svolgere lezioni ed esercitazioni poi si trovano. Le materie dei primi anni, le più affollate, come si è sempre fatto si suddividono in più corsi sulla base delle iniziali dei cognomi degli studenti. Se prima l’alfabeto si distribuiva in due corsi, ora se necessario si potrebbe benissimo suddividere in tre o in quattro. Lo abbiamo sperimentato in tutte le Facoltà - letterarie, giuridiche, scientifiche - per decenni e decenni. Funzionava così. Era normale. Non si capisce perché ora non si debba fare in Medicina. Poi sarà il corso universitario in sé a fare la selezione, non il quiz d’entrata.
Perché non includere con sempre più considerazione l’assistenza sanitaria tra i diritti civili essenziali e conseguentemente sostenere come si deve in tutti i modi e in tutte le occasioni questa inclusione?
I diritti civili - si ripete spesso - non sono per sempre. Consolidati e immutabili. Vanno difesi - in modo non violento ma con determinazione - sempre e dovunque. Non per essere rivoluzionari ma semplicemente perché li contemplano costituzioni storiche, come la nostra, e le carte fondamentali delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. Li prevedono e li sanciscono. Molto spesso di questa esigenza di attenzione e difesa costante ci dimentichiamo. E siamo d’una indifferenza vigliacca. Diamo dunque spazio a questi temi perché i diritti civili sono come le piante: vanno coltivate se si vuole che producano frutti e non secchino.
Mobilitiamoci. 1) Contro il numero chiuso nelle facoltà di Medicina. 2) Perché aumenti sensibilmente il numero dei medici in Italia. 3) Perché pazienti e malati (cioè tutti i cittadini, prima o poi) non siano sempre più ogni giorno che passa solo numeri e vuoti a perdere.
di Pino Scorciapino
Una contraddizione stridente. Inaccettabile. Intollerabile.
Da una parte i reparti ospedalieri chiudono a decine, specie nei nosocomi dei centri minori. Per mancanza di medici. Non solo, con un disegno a tavolino, per qualcuna delle tante “riforme” dell’assetto sanitario pubblico sul territorio sempre tese a “tagliare”, “ridurre”, “accorpare”. Ma sempre più spesso perché l’ultimo dei primari in servizio va in pensione. Ed è come l’ultimo dei Mohicani. Di rimpiazzarlo neppure a parlarne, per concorsi e bandi che vanno deserti e lasciano vuota la casella da coprire, per mancanza di profili specialistici disponibili. C’è dell’altro. Intere cittadine, in particolare piccoli e sperduti paesi, restano senza alcuna assistenza sanitaria quando l’unico anziano medico di base in servizio chiude il suo ambulatorio per limiti d’età e va in pensione. A Cesarò e San Teodoro, due comuni dei Nebrodi, nel Messinese, che distano due chilometri l’uno dall’altro, questa estate è scoppiata una mezza sollevazione popolare. Da due anni sono senza medico di base e con la guardia medica che funziona a singhiozzo i quattromila abitanti che fanno insieme i due centri, in buona parte anziani. Sono rimasti a zero quanto ad assistenza sanitaria anche solo per rinnovare una ricetta per comprare le medicine in farmacia. Niente servizio pediatrico per i bambini. L’Asp di Messina ribatte che si è mossa ma non è riuscita a reperire medici di base che vogliono andare a lavorare nei due centri: “Non vuole venire nessuno”. Soluzione: l’ospedale di Bronte in provincia di Catania, a 18 chilometri, ma non è che i servizi del medico di famiglia te li presta un ospedale, per di più di un’altra Asp rispetto a quella di appartenenza del cittadino “utente” e fin troppo “paziente”. Succede prevalentemente nelle aree interne ma talvolta anche nelle aree costiere. Mentre dappertutto – nei piccoli comuni come nelle grandi città – non ha fine e piuttosto si accentua nella sua gravità lo scandalo delle liste d’attesa per prestazioni ed analisi specialistiche nel sistema sanitario pubblico. In molti casi ormai si raggiungono non troppe settimane di attesa ma troppi mesi di attesa. Ci si avvicina all’anno. Tradotto: se hai soldi da parte ti paghi di tasca tua una tac, una risonanza magnetica e ritardi di qualche anno il tuo incontro con quella che una volta si chiamava Estrema Unzione. Se sei un poveraccio non hai scampo. Stile America. Non c’è che dire: gran bella evoluzione della sanità pubblica italiana, una volta considerata tra le più efficienti ed “egualitarie” del mondo…
Dall’altra parte con una miopia ed una protervia che gridano vendetta ci si ostina in strampalati quiz di ammissione alle Facoltà universitarie di Medicina. Domande di matematica, di geometria, di logica, di attualità che non c’entrano nulla con l’arte di Ippocrate, ai quali non scamperebbero con tutta la loro pluridecennale esperienza neppure i più noti luminari della scienza medica in Italia, che pure vantano carriere e risultati inarrivabili. Così - invece di incrementare il numero dei futuri medici di cui nel Belpaese si ha un disperato bisogno considerata l’età media del personale di base ed ospedaliero in attività - non si fa altro che restringerlo, contenerlo, privare dolosamente la presente e le future generazioni del diritto all’assistenza sanitaria. L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di medici di età superiore ai 55 anni. Una situazione che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito una bomba ad orologeria invitando a prepararsi ad una carenza di personale medico per gli anni a venire in quanto molti sanitari sono ormai vicini alla pensione e provati dai due e passa anni di pandemia (Annalisa Bonfranceschi “L’Italia è il paese con più medici over 55 in Europa” in “La Repubblica”, 16 settembre 2022).
Anche quest’anno a settembre è andato in scena il rito suicida degli esami di ammissione alle Facoltà di Medicina e Chirurgia. Costa talvolta anni di preparazione e tentativi ai ragazzi. E una barca di soldi alle loro famiglie, spesso sperperati invano. Un rito suicida che in un colpo solo uccide le speranze di decine di migliaia di aspiranti medici che sarebbero sostenuti da un forte vocazione - indispensabile per “credere” in quel lavoro impegnativo come una missione e svolgerlo al meglio - e uccide le prospettive di milioni e milioni di pazienti di essere seguiti e curati in modo più civile di quanto avviene adesso. L’Italia – lo sappiamo – non è un paese per giovani e non sarà, anzi ha già cominciato ad esserlo, un paese per malati ed assistiti.
2.E allora cerchiamo medici all’estero
A questo punto non stupisce che - alle prese con ospedali chiusi, reparti soppressi, ambulatori di medici inesistenti perché i titolari sono andati in pensione - Regioni, Aziende sanitarie provinciali, Comuni si siano dati da fare, tentando di reclutare personale medico in altri paesi. Sempre più ricorrenti i casi. Come in Calabria. “La Calabria e i medici cubani costituisce la notizia del momento. Chi è d’accordo e chi no. Chi ne discute tecnicamente e chi “politicamente”. Sta di fatto che è stato perfezionato un accordo preliminare firmato tra la Regione Calabria (rectius, dal commissario governativo ad acta) e una società cubana di intermediazione di lavoro, nello specifico di operatori sanitari. Sta di fatto che 500 medici potranno approdare in Calabria per essere ivi utilizzati per dare vita ad una sanità che, come l’isola di Bennato, non c’è. Perché tali medici divengano professionalmente attivi, ci vorrà il tempo utile per abilitarli all’esercizio. (…)”. Così scrive Ettore Jorio il 24 agosto 2022 su “quotidianosanita.it” in un articolo intitolato “Medici cubani in Calabria. Una scelta “estemporanea” ma giusta, ecco perché”.
Il quotidiano economico “Italia Oggi” traccia la seguente panoramica del fenomeno: “E’ caccia al medico. Per assumerlo. Di fronte a un’emergenza che riguarda la salute sarebbe opportuna una direttiva nazionale, cioè il problema andrebbe affrontato in un quadro complessivo. Invece, complice le competenze regionali sulla sanità, ognuno va per conto suo e non manca la fantasia. Manca il personale sanitario (in un Paese ad alta disoccupazione giovanile) e, come avviene per il gas, si va all’estero per cercare di turare le falle. Le Asl ora arruolano medici stranieri: 500 da Cuba, 250 dall’Ucraina, 100 dall’Albania. A Ravenna, per esempio, sono andati in missione alla ricerca di personale in Albania, India e Tunisia” (“Italia Oggi” “Le Asl ormai arruolano medici all’estero: 500 cubani, 250 ucraini e 100 albanesi”, 24 agosto 2022).
Il 14 settembre 2022 così Salvo Catalano su “La Repubblica” (“Sicilia, il borgo senza medici assume dottori argentini: “Veniamo qui perché ci pagano 4 euro l’ora”) racconta quanto successo da noi in Sicilia: “Mussomeli è un piccolo centro nel cuore della Sicilia, il suo ospedale rientra tra quelli "di area disagiata". Eppure dei sei reparti previsti dalla rete ospedaliera, tre sono chiusi per carenza di medici specialisti. I numerosi bandi dell'Azienda sanitaria provinciale negli ultimi anni sono andati deserti. Così il sindaco Giuseppe Catania, con l'aiuto di una coppia italo argentina trasferitasi a Mussomeli, ha siglato un accordo con l'università di Rosario, in Argentina. A rispondere alla chiamata sono stati migliaia di camici bianchi sudamericani. "In Argentina - racconta uno di loro - prendo 4 euro all'ora e la criminalità dilaga". Ma l'Ordine dei medici solleva perplessità: "Chi deve riconoscere i titoli di questi medici? A questo proposito c'è confusione", sottolinea il presidente regionale dell'ordine Toti Amato. L'Asp comunque tira dritto, ha pubblicato il bando e ultimato le selezioni online. Ha infine chiesto un parere alla Regione sul riconoscimento dei titoli che, dicono dall'azienda, dovrebbe arrivare nei prossimi giorni. Così nelle prossime settimane i primi dieci sanitari potrebbero iniziare il loro servizio”. Altri particolari su questa vicenda li leggiamo sul bollettino della Federazione dello associazioni italiane degli informatori scientifici del Farmacoin un articolo del 16 settembre intitolato “Dopo i medici cubani in Calabria arriveranno i medici argentini in Sicilia”: “Il sindaco di Mussomeli Giuseppe Catania in piena pandemia ha iniziato ad avere una lunga interlocuzione con i professionisti. Dopo diversi pareri richiesti in assessorato il manager di Caltanissetta ha dato l’ok agli avvisi pubblici per l’ospedale “Immacolata Longo” di Mussomeli aperti agli specializzati con titoli conseguiti nei paesi europei e nei paesi Terzi. I posti banditi dall’Asp e di Caltanissetta sono stati quelli di Ortopedia, Lungodegenza, Medicina e Chirurgia. E per ogni branca la partecipazione è stata considerevole. Per Ortopedia hanno preso parte sette medici argentini e tutti hanno la laurea in specializzazione conseguita in paesi terzi in corso di riconoscimento da parte del Ministero della Salute. Due argentini per la Lungodegenza, quattro per la Medicina e sei per la Chirurgia. E non sono pochi visto che all’ospedale “Immacolata Longo” di Mussomeli se non dovessero arrivare questi professionisti c’è il rischio di dovere ulteriormente ridimensionare le unità operative (…)”.
A Siracusa l’Asp provinciale formerà giovani medici della Tanzania. Così fa un favore a quel paese africano fornendo medici e tecnici e in cambio riceve manodopera per gli ospedali aretusei e in provincia a corto di personale medico nei centri minori e negli ambulatori ospedalieri che hanno già chiuso per mancanza di medici.
Sconcertano le reazioni di alcune sigle sindacali della categoria medica a questi tentativi di uscire dalla tragica carenza di personale medico nella sanità italiana.
Scrive Antioco Fois su “Il Giornale della Previdenza dei medici e degli odontoiatri”, numero 4/2022, in un articolo intitolato “Medici “d’importazione”. Semaforo giallo dalla federazione”:
“In principio era la Calabria, con 500 medici cubani reclutati per tamponare il fabbisogno di sanitari in corsia. Adesso “è la volta della Puglia, che ha avviato una interlocuzione per reclutare medici albanesi, e della Sicilia, che guarda invece all’Argentina” rivela Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, (la Federazione nazionale degli Ordini dei medici, n.d.r.) che ha scritto una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, richiamando l’attenzione “sulla normativa che permette l’impiego di medici extracomunitari in deroga al normale iter di riconoscimento dei titoli e all’obbligo di iscrizione all’Ordine”.
La “caccia al solitario” oltre confine nelle regioni ha innescato un coro di critiche, con denunce sui rischi, che vanno dalla concorrenza sleale alle incognite sulla preparazione dei medici che vengono a esercitare in Italia. Un sistema che, facendo una ulteriore valutazione, può alla lunga avere ripercussioni sull’aspetto previdenziale, a danno di tutta la categoria dei medici.
Va dritto al punto il presidente Fnomceo, nella lettera al Quirinale: ad essere a rischio sono le garanzie sulla salute dei cittadini, attenuate da una normativa che abbassa la guardia sul controllo della preparazione dei medici “d’importazione”.
Il corto circuito denunciato dalla Federazione degli Ordini dei medici e dei dentisti è causato dalla proroga per tutto il 2023 della norma, varata durante lo stato di emergenza Covid, che aveva aperto all’esercizio temporaneo dei sanitari con una semplificazione anche nel riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero. Una misura che adesso non sarebbe “più in funzione dell’emergenza Covid, ma della carenza di medici”, spiega Anelli al “Giornale della Previdenza”. Insomma, allargare le maglie aveva un senso durante i mesi più neri della pandemia, ma “desta evidentemente notevoli perplessità – si legge nella lettera al Quirinale – se applicata ad altre circostanze, atteso che attenua le garanzie poste in via ordinaria a presidio della sicurezza delle cure in favore del cittadino”. (…) “L’Italia ha certamente ancora risorse: pensionati e specializzanti che sono impiegati in una fase temporanea limitata per fare fronte alla carenza di specialisti. Ora però – commentare Anelli al nostro giornale – occorre una risposta strutturale e complessiva che, oltre a farci superare il momento, vada a colmare le disuguaglianze di salute all’interno del Paese”.
E’ invece passata alle carte bollate la Cimo-Fesmed (il Coordinamento italiano medici ospedalieri, n.d.r.) che ha presentato un ricorso al Tar contro l’accordo della Regione Calabria per l’assunzione a tempo determinato di 500 medici cubani – continua Antioco Fois – La federazione sindacale denuncia contraddizioni formali e sostanziali nell’accordo. Il ricorso alla procedura di accordo quadro per la somministrazione di manodopera è “vietato per l’esercizio di funzioni dirigenziali quali quelle che spettano ai medici”, commenta il presidente Cimo Guido Quici. “Verrebbe da dire – si legge infatti nell’esposto presentato - che il solo fatto che si tratti di medici conduca alla esclusione della possibilità di fruire del rapporto di somministrazione”.
Invece la prima scelta, sostiene il sindacato, sarebbe dovuta essere l’assunzione di “medici specializzandi degli ultimi anni di formazione, come previsto dalla legge”. Oltre a citare la pubblicazione della statunitense Fondazione per i diritti umani, “che fa luce su un vero e proprio traffico di medici cubani nel mondo”, il presidente del sindacato punta il dito contro il ricorso ad enti esterni per il reclutamento di medici, che darebbe luogo ad “una concorrenza sleale nel mercato del lavoro”.
“Ai medici stranieri che vengono in Italia – considera Quici – vengono riconosciute retribuzioni inferiori rispetto alla media. Non vorremmo che, considerata la carenza di risorse il dumping salariale facesse il suo ingresso anche nel settore medico”.
“Quando si renderanno conto che i medici stranieri costano meno degli italiani – aggiunge il presidente del sindacato – le Regioni perennemente in difficoltà economiche andranno alla ricerca del miglior offerente, in barba a problemi linguistici, formativi, ordinistici e assicurativi”.
La via per risolvere il problema della carenza di medici – conclude Fois nel suo articolo – per il vertice del Cimo sarebbe invece quella di “formare nuovi professionisti e bandire concorsi per assumerli stabilmente all’interno del servizio sanitario nazionale. I concorsi devono essere l’unica porta d’ingresso nel Ssn” ”.
3.E le esigenze di ricoverati ed assistiti dove le mettiamo?
Perché – fatte salve le parole finali della dichiarazione del presidente del Cimo, condivisibili – sconcertano questa reazioni? Perché elencano una serie di motivazioni a tutela del personale medico in servizio, paventano i rischi di essere sottopagate per le nuove “reclute” giunte da Oltremare, ammoniscono sulla probabilità di dumping salariale. Ma non c’è posto in queste prese di posizione per il martirio degli assistiti e l’apprensione a cui la rarefazione dell’assistenza sanitaria e, a monte, la sopravvenuta scarsità di medici in Italia a causa delle barriere d’entrata a Medicina e dell’aumento dell’età media dei camici bianchi sta condannando e condannerà sempre più negli anni a venire decine di milioni di italiani. Noi pazienti, noi utenti, le nostre odissee mediche e ospedaliere non sembrano avere posto nelle motivazioni di Ordini dei medici e di alcune loro sigle sindacali. Quasi non fossimo la materia prima della medicina. Del resto che dire della strumentalità con la quale, una volta varcata la soglia d’una stanza d’ospedale, ci si ostina a tenere lontani da quel locale i familiari di un paziente? Siamo passati nel giro di non molti anni dal tragicomico al tragico. Chi non ricorda nei piccoli ospedali di paese le visite ad un degente appena reduce da un intervento chirurgico o a una puerpera appena partorita di frotte di lontani cugini, vicine di casa, comari, amici? Le stanze dei reparti nelle ore di accesso al pubblico diventavano affollate piazze dove la parola “privacy” era ancora sconosciuta. E il vociare delle discussioni si poteva ascoltare fino ai piani superiori. Assurdo. Poi venne il covid-19. Ospedali chiusi ermeticamente. Una volta superata quella soglia, il malato era solo anche per mesi. Con i suoi pensieri e le sue paure. Ora, allentatasi la presa del covid, almeno uno straccio di visita di un marito a sua moglie o viceversa, di un figlio ad un genitore – con tutte le mascherine e le precauzioni del caso – perché non consentirla? E’ più terapeutica di mille medicine la presenza anche per pochi minuti di una persona cara, una carezza, un gesto di affetto, un incoraggiamento, un bel ricordo da rivangare, un sorriso o meglio ancora una risata. Non occorre essere luminari di psicologia per capirlo.
4.E’ arrivato il momento di fare sul serio su questi temi
Ma torniamo alla carenza di medici ed alla voluta stitichezza del sistema sanitario – per carenza di risorse finanziarie, mantenimento di privilegi baronali, strapotere degli Ordini dei medici ed altre concomitanti, interessatissimi fattori – nel consentire il più ampio accesso agli studi medici per aumentare in Italia il numero dei camici bianchi negli anni a venire. Non precisamente domani. Anche a cominciare oggi considerando che la formazione di un professionista richiede tra corso di laurea e specializzazione dieci anni buoni.
A mali estremi estremi rimedi. Abbiamo una proposta drastica da fare alle associazioni di tutele dei consumatori, ai tribunali per i diritti del malato, ai segretari di categoria nazionali dei pensionati delle principali sigle sindacali: presentare alle Procure della Repubblica denunce penali nei confronti di tutti i fautori del numero chiuso – siano essi ministri, sottosegretari, rettori, capidipartimento, presidenti di ordini dei medici, presidenti o segretari di associazioni di categoria dei medici. In quanto responsabili più o meno consapevoli di reati come omicidio colposo, lesioni colpose, tentata strage, omissione di soccorso, mancata assistenza sanitaria, omissione di atti d’ufficio e via discorrendo. Chiaramente si tratta di una iniziativa molto provocatoria. Difficilmente un giudice pronuncerebbe una sola condanna. Ma una strategia del genere ripetuta in ogni Procura avrebbe come primo effetto quello di animare un vasto movimento di opinione a livello nazionale coinvolgendo milioni di cittadini in una lobby nazionale di dimensioni mai viste. Con altrettanto vasto dibattito che scalfirebbe la sicumera con cui pochi detentori di potere impongono una scelta penalizzante per decine di milioni di italiani. Compresi nella penalizzazione gli stessi medici in attività che – sempre più assottigliati come numero e stressati – soffrono condizioni di lavoro oberanti, inaccettabili. Specie in alcune collocazioni come il Pronto soccorso. Potremmo definire una mega iniziativa del genere una “class action” piuttosto atipica. Finalizzata non tanto ad intenti “risarcitori” quanto piuttosto “modificatori” di una sciagurata linea normativa che insiste sul numero chiuso a Medicina. Tra parentesi, per noi il numero chiuso in una Facoltà universitaria non dovrebbe mai esistere, in particolare in una università statale: dalla scuola dell’infanzia alle elementari, dalla media alle superiori fino all’università l’istruzione deve essere per sua natura sempre “aperta” a tutti, mai “chiusa”. Non c’è bisogno di possedere l’intelligenza, il cuore, la modernità di educatore di un grande, don Lorenzo Milani, per capirlo. Iniziative, queste denunce, che sostanzierebbero una battaglia da combattere che ha il suo primo obiettivo nell’eliminazione del numero chiuso per l’accesso alle Facoltà di Medicina. Le quali – metaforicamente – ancora di più dovrebbero anzi allargare le loro porte di ingresso. I locali dove svolgere lezioni ed esercitazioni poi si trovano. Le materie dei primi anni, le più affollate, come si è sempre fatto si suddividono in più corsi sulla base delle iniziali dei cognomi degli studenti. Se prima l’alfabeto si distribuiva in due corsi, ora se necessario si potrebbe benissimo suddividere in tre o in quattro. Lo abbiamo sperimentato in tutte le Facoltà - letterarie, giuridiche, scientifiche - per decenni e decenni. Funzionava così. Era normale. Non si capisce perché ora non si debba fare in Medicina. Poi sarà il corso universitario in sé a fare la selezione, non il quiz d’entrata.
Perché non includere con sempre più considerazione l’assistenza sanitaria tra i diritti civili essenziali e conseguentemente sostenere come si deve in tutti i modi e in tutte le occasioni questa inclusione?
I diritti civili - si ripete spesso - non sono per sempre. Consolidati e immutabili. Vanno difesi - in modo non violento ma con determinazione - sempre e dovunque. Non per essere rivoluzionari ma semplicemente perché li contemplano costituzioni storiche, come la nostra, e le carte fondamentali delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea. Li prevedono e li sanciscono. Molto spesso di questa esigenza di attenzione e difesa costante ci dimentichiamo. E siamo d’una indifferenza vigliacca. Diamo dunque spazio a questi temi perché i diritti civili sono come le piante: vanno coltivate se si vuole che producano frutti e non secchino.
Mobilitiamoci. 1) Contro il numero chiuso nelle facoltà di Medicina. 2) Perché aumenti sensibilmente il numero dei medici in Italia. 3) Perché pazienti e malati (cioè tutti i cittadini, prima o poi) non siano sempre più ogni giorno che passa solo numeri e vuoti a perdere.
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