Vent'anni di mancata convergenza, i record negativi della Sicilia

Economia | 15 giugno 2023
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L'Istat ha pubblicato un Focus sulle politiche di coesione europee ed il Mezzogiorno che già nel titolo non lascia spazio a dubbi: “Vent'anni di mancata convergenza”. L'istituto di statistica ha ricostruito un quadro pressoché completo degli ultimi tre cicli di programmazione che coprono appunto il primo ventennio del secolo XXI (2000-2006, 2007-2013, 2014-2020). Com'è noto si è già avviato dal 2021 l'ulteriore ciclo che si concluderà nel 2027 e che assorbirà 330 miliardi di euro (prezzi 2018, il 30% delle risorse stanziate dal Quadro finanziario pluriennale, il bilancio dell'Unione.
Nel corso del primo ventennio del secolo le risorse stanziate per la politica di coesione possono essere calcolate complessivamente in oltre 1300 miliardi di euro. La politica di coesione è il principale sistema di investimento dell'Unione Europea per la modifica strutturale dei contesti economici dei territori allo scopo di realizzare la loro convergenza verso comuni obiettivi occupazionali, di qualità del welfare, di dotazione infrastrutturale. Nei vent'anni di riferimento la struttura dell'UE si è modificata, sono entrati nuovi paesi soprattutto quelli dell'ex Patto di Varsavia che avevano PIL mediamente più bassi di quelli dei componenti dell'Europa a quindici; è uscita la Gran Bretagna. Il giudizio generale è che il processo di convergenza ha funzionato soprattutto per i cosiddetti new comers, cioè gli stati membri dell'ex Europa Orientale. Nell'Europa meridionale invece si è avuto un andamento meno convergente. Tra le economie regionali particolarmente penalizzate si trovano quelle della Grecia, che hanno subito la grave crisi economica del 2011-2015, ma anche quelle della Francia, dell'Italia e della Spagna.
E' interessante notare la differenze nell'andamento delle disparità tra gli stati membri rispetto a quelle interne ai singoli paesi. Scrive l'Istat che:”Nell'UE a 27 le divergenze territoriali si sono ridotte fino alla prima grande crisi economica del secolo (2008), per poi rimanere sostanzialmente stabili, (ma) evidenziando una tendenza a crescere negli ultimissimi anni. Al contrario le disparità all'interno di alcuni dei principali stati membri evidenziano segnali opposti. In Germani sembra esservi stata una significativa riduzione delle disparità territoriali interne…; in Spagna le differenze territoriali sembrano essersi contratte fino al 2006-2007, per poi tornare ad ampliarsi negli anni successivi, così come in Francia dove dopo un'analoga riduzione fino al 2006, vi è stata una sostanziale stabilità fino al 2017.
In Italia invece le disparità all'interno del Paese sono sostanzialmente rimaste stabili fino alla crisi economica del 2009 per poi crescere successivamente.” Dal 2000 ad oggi, a differenza di altri Paesi, l'Italia ha sostanzialmente mantenuto stabile il suo coinvolgimento in termini di popolazione (oltre 19 milioni di persone). L'Italia ha un ulteriore problema: nel periodo considerato non solo non si è verificata la convergenza delle regioni cosiddette a ritardo di sviluppo ma, come nota il Focus, “risulta altrettanto anomala la dinamica di crescita delle regioni italiane economicamente più avanzate che si sono contraddistinte per un processo di lento ma progressivo allontanamento dalle altre regioni simile dell'UE.
Insomma è l'Italia nel suo complesso, a partire da quelle che erano le aree-locomotiva del Nord, ad essere cresciuta poco e, per giunta, tale rallentamento non ha portato alla chiusura della forbice tra le due grandi ripartizioni territoriali che, anzi, si è ulteriormente divaricata. Per esempio, rispetto ad una media UE 27 pari al 2,73% ed a una media italiana pari al 1,45%, nel periodo 2000-2021 La Lombardia è cresciuta mediamente del 1,58% mentre la Sicilia si è fermata al 1,31%.
Le uniche due regioni del Meridione ad avere goduto effetti benefici dalle politiche di coesione in termini di PIL sono la Basilicata (1,78%) e la Sardegna (1,72%). I dati mostrano un continuo peggioramento del rank (cioè dell'ordine di collocazione in graduatoria) della nostra isola nell'ambito delle regioni europee: 173^ su 242 regioni NUTS2 nel ciclo 2000-2006, la Sicilia è diventata 183^ nel 2007-2013. 203^ nel 2014-2020, 208 nel 2021. Nel corso dei quattro cicli di programmazione ha perso ben 35 posizioni. Peggio di noi solo la Calabria. Il tasso di crescita medio del PIL è sceso dal 2,8 del primo ciclo del nuovo secolo (UE 27 3,9), al -0,6% del terribile ciclo 2007-2013, segnato dalle crisi prima economica e poi finanziaria, quando riuscì tuttavia a far meno peggio del PIL UE 27 che crollò al-0,9%. E' risalito poco nel 2014-2020 : 1,2% rispetto al 2% dell'UE27; ha subito una nuova flessione nel 2021 all'1,1% a fronte della media europea del 1,7%. Anche il tasso di occupazione ha un andamento in discesa dal primo al quarto ciclo di programmazione: dal 42,8%, al 42,6%, al 40,4%, con una lievissima risalita al 41,1% nel 2021. Questa volta siamo in coda perfino alla vicina Calabria.
Di notevole interesse sono i dati relativi alla demografia: In Sicilia la popolazione totale al 2021 è pari a 4.833.704 abitanti di cui 3.093.448 nella fascia d'età 15-64 anni. Al 2030 le previsioni parlano di una popolazione complessiva di 4.591.929 abitanti di cui 2.804.390 tra i 15 ed i 64 anni. Mentre la popolazione totale diminuirà del 5% la popolazione in età lavorativa subirà un drastico taglio, pari a 9,3%. Crescerà insomma in modo assai significativo la quota degli anziani che determinerà, in assenza di politiche capaci di invertire la tendenza, un impatto negativo sul PIL procapite. Per comprendere la dimensione del fenomeno e le potenziali conseguenze si consideri che tale andamento, se è simile a quello delle altre regioni italiane meno sviluppate (-9,2%), è distante dal dato medio del nostro Paese (-2,2% popolazione complessiva, meno 5,4% 15/64 anni) . È addirittura in controtendenza con quello dell'UE a 27 dove è prevista una lieve crescita dello 0,3% della popolazione totale a fronte di una limitata flessione (-3,7%) nella fascia dai 15 ai 64 anni.
L'accavallarsi dei bassi tassi di disoccupazione con il calo demografico fa del Mezzogiorno – e della Sicilia che ne è la regione più grande- il vero punto d'impatto di qualunque politica pubblica per il rilancio degli investimenti che si proponga di recuperare il ritardo di sviluppo. E' facile vedere che nel modello proposto dall'Istat i fattori decisivi sono l'aumento consistente del tasso di occupazione (aggiungo anche in termini di qualità, stabilità ed incremento dei livelli retributivi degli occupati) e politiche che consentano di fermare ed in prospettiva invertire le attuali tendenze demografiche.
E' l'insieme di tali elementi a rivelarsi essenziale per offrire al Mezzogiorno ed alla nostra isola nuove e realistiche potenzialità di sviluppo, anche alla luce del fatto che “vi è una storica opportunità senza precedenti, che non va assolutamente mancata, offerta ai territori del Mezzogiorno dall'assegnazione del 40% dei fondi del PNRR, parallelamente ai fondi previsti dal ciclo di programmazione 2021-2027,” Come altre volte si è detto, le risorse totali disponibili per la Sicilia sfiorano i 30 miliardi di euro: l'isola potrebbe e dovrebbe diventare un grande cantiere per la realizzazione di modelli di sviluppo sostenibile e uno dei maggiori hub mediterranei per la transizione energetica. Uso il condizionale perché il livello della discussione pubblica nell'isola è infimo ed i decisori istituzionali sembrano occuparsi d'altro. “Chiacchieri e tabacchieri i lignu” dicevano gli antichi delle discussioni inconcludenti.....
 di Franco Garufi

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