Ucraina, la guerra lampo che dura da un anno

L'analisi | 11 febbraio 2023
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1.Introduzione

Mancano una manciata di giorni al 24 febbraio, anniversario dell’infame aggressione della Russia all’Ucraina. Analisti, strateghi, inviati, servizi segreti concordano sulla previsione, per molti certezza, che Mosca “festeggerà” la prima candelina con una offensiva in grande stile. Da est, dai territori del Donestk e del Lugansk. Da sud-est dalla Crimea. Da nord e nord est dalla Bielorussia del dittatore Lukashenko sempre più legata al Cremlino. Obiettivo: travolgere le difese ucraine con una spallata, poderosa quanto definitiva. Possibilmente conquistare Kiev, impresa fallita dodici mesi fa nelle fasi iniziali della cosiddetta “Operazione speciale”. Definizione non solo riduttiva ma anche ipocrita: a Mosca non si è avuto il coraggio di chiamare con il suo nome – guerra – l’invasione di uno Stato indipendente. Stato sovrano. Dodici mesi fa i comandi russi commisero un puerile errore di valutazione strategica schierando appena 120.000 uomini secondo alcune stime, 160.000 o poco più secondo altre. Insufficienti per numero, equipaggiamento, motivazione. Secondo analisti e strateghi russi sarebbero stati accolti dalla popolazione e avrebbero instaurato a Kiev un governo fantoccio filorusso. Niente di più sbagliato. Hanno fatto la figura dei pifferi di montagna, andati per suonare e che invece furono suonati. Oggi il ricorso alla mobilitazione ed alla leva - sebbene richiamo alle armi parziale, non generale - consente alla Russia di schierare 300.000 combattenti. Secondo alcune fonti ucraine 500.000.
Approssimandosi il previsto attacco, Zelensky e i suoi ministri, consiglieri, generali – già da settimane in difficoltà in Donbass - implorano più aiuti militari a Stati Uniti e Paesi europei. Per parare i colpi dell’offensiva russa che stavolta si teme possa essere schiacciante. In particolare sono richiesti carri armati pesanti, moderni, e sistemi di difesa antimissile per contenere attacchi sia aerei che con missili e con droni-kamikaze di fabbricazione o licenza iraniana. I raid russi sulle città e sulle infrastrutture ucraine sono incessanti da mesi, giorno e notte risuonano le sirene.
Un dibattito interminabile sull’invio di nuove armi tecnologicamente avanzate – il meglio che l’Occidente possa produrre e schierare – ha impegnato in decine di paesi europei, USA e Canada i palazzi del potere come i media. Proviamo a ripercorrerlo. A ricostruirlo. Tentando di capirci qualcosa in più rispetto alla frammentarie informazioni lette o ascoltate nei notiziari. Siamo ormai diventati tutti esperti di carri armati – tanto il martellamento mediatico è stato quotidiano – ma come stanno realmente le cose? Quali sono i veri parametri strategici e tecnici – in una parola la portata – dei nuovi aiuti militari all’Ucraina per impedire che si pieghi alla temuta offensiva russa 2.0? Possono essere risolutive queste armi? Arriveranno in tempo? Ecco alcuni degli interrogativi ai quali cercheremo di dare una risposta con necessario ricorso, data la complessità tecnica della materia, a fonti informative specializzate opportunamente selezionate.

2.Tante armi occidentali all’Ucraina. E troppo eterogenee. Ma siamo sicuri di disporne?

Iniziamo dalla situazione sul campo nei mesi di dicembre e gennaio. Scriveva il 19 gennaio il direttore Gianandrea Gaiani sulla rivista “Analisi Difesa” in un editoriale intitolato “L’Europa fornirà all’Ucraina carri armati e missili che non ha”:
“Il dibattito accesosi in Europa sulla fornitura di carri armati (Main Battle Tank) all’Ucraina e che sarà al centro domani dell’incontro di Ramstein tra le nazioni alleate che sostengono Kiev, presenta molti aspetti critici tra i quali spicca innanzitutto il fatto che l’Europa dispone appena dei carri armati sufficienti ad equipaggiare pochi reparti dei propri eserciti.
Se escludiamo la Polonia, che allinea circa 500 carri (per metà Leopard 2 A4 e A5 e per meta T-72/PT 91 Twardy e che ha ordinato negli Stati Uniti 366 Abrams M1A1/A2 e in Corea del Sud ben mille K2 Black Panther), tutti i maggiori eserciti europei dispongono di numeri molto limitati di tank compresi tra i 150 Ariete italiani e i 330 Leopard 2 tedeschi, peraltro non tutti operativi.
I tedeschi ad esempio dispongono di 260 Leopard 2A7 Plus di cui 160 operativi e prevedono di portare il totale a 330 entro il 2025, i francesi hanno 222 Leclerc (200 verranno ammodernati) più altri 186 in riserva, i britannici 227 Challenger 2 dei quali 148 verranno ammodernati allo standard Challenger 3.
Altri eserciti hanno flotte più ridotte: dei circa 150 Ariete italiani (secondo indiscrezioni poche decine quelli operativi) 125 verranno ammodernati nei prossimi anni con una spesa di circa un miliardo di euro, la Spagna dispone di 219 Leopard 2 A6 e di un centinaio di A4 (questi ultimi in pessime condizioni e non utilizzabili), la Grecia ha 350 Leopard 2 A4 e A5 che non intende cedere, la Finlandia ha 160 Leopard 2 A4 e A5, la Danimarca 34 Leopard 2 A5 più altri 20 in riserva, la Svezia 250 Leopard 2A4 e A5, la Norvegia 49 Leopard 2 A4 (in parte in riserva), il Canada una quarantina di Leopard 2A4 e A6 più altrettanti A4 in riserva e per addestramento, il Portogallo dispone di appena 37 Leopard 2 A6, l’Olanda 18 e il Belgio non ha neppure un carro armato. Numeri che vanno tutti decurtati valutando un certo numero di mezzi non più operativi.
Di fatto nessun esercito NATO dispone di flotte di tank in eccesso di cui potersi privare senza azzerare o quasi le rispettive componenti carri continuamente ridotte negli ultimi 20 anni in cui gli europei hanno creduto che avrebbero dovuto combattere solo conflitti a bassa intensità e anti-insurrezionali in cui i carri armati non avrebbero avuto un ruolo rilevante.
Gli unici a poter cedere qualche centinaio di tank senza privarne i reparti sono gli Stati Uniti grazie alle ampie riserve di carri Abrams ma occorrerebbero anni per riorganizzare l’esercito ucraino su tali mezzi e del resto Washington ha appena annunciato che il nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina non includerà carri armati.
Non a caso molti esponenti militari in Europa (come sempre parlano i generali a riposo, non quelli in servizio) hanno espresso perplessità circa l’efficacia di questi tank nel conflitto contro la Russia, forniti in numero limitato e in mano alle truppe ucraine, evidenziando il rischio di impoverire ulteriormente la componente corazzata degli eserciti NATO la cui ricostituzione richiederebbe anni e molti miliardi.
In questo contesto – continua Gaiani - il dibattito sulla cessione dei carri armati all’Ucraina sembra utile soprattutto ad animare il confronto politico. Al World Economic Forum di Davos il cancelliere tedesco Olaf Scholz non si è espresso circa la fornitura di tank ma citando gli altri aiuti militari all’Ucraina ha dichiarato che “la Russia deve perdere, pertanto, forniamo in larga quantità armi all’Ucraina continuamente, in stretta comunicazione con i nostri partner”.
Nelle stesse ore a Mosca il presidente russo Vladimir Putin definiva la vittoria russa nelle operazioni in Ucraina “inevitabile”. Il premier polacco, Mateusz Morawiecki, ha fatto appello al governo tedesco affinché fornisca “ogni genere di armamento” all’Ucraina e anche il ministro della Difesa britannico, Ben Wallace, ha dichiarato che chiederà a Berlino di fornire carri armati Leopard 2 all’Ucraina o “almeno” di autorizzare gli altri Stati che li hanno in dotazione a consegnarli a Kiev.
Il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albaresal, al World Economic Summit di Davos, ha detto che la possibilità di consegnare i Leopard all’Ucraina “non è sul tavolo al momento” pur non escludendo tuttavia una consegna in un secondo momento. Nell’estate scorsa un analogo dibattito sulla consegna di Leopard 2A4 si chiuse quando il ministro della Difesa, Margarita Robles, rese noto che i tank erano in pessime condizioni e non era possibile ripararli.
Se si escludono le nazioni più bellicose nei confronti della Russia e già oggi molto esposte nel conflitto (come Gran Bretagna, Polonia e repubbliche Baltiche) appare evidente come la Germania e altre nazioni europee non vogliano esporsi a una ulteriore escalation del confronto con Mosca fornendo armi pesanti e “offensive” come i carri armati che l’Ucraina chiede per rinnovare nei prossimi mesi le sue capacità di riconquistare i territori perduti.
Una fonte del governo tedesco ha detto al Wall Street Journal che il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha ribadito più volte, a porte chiuse, che la condizione per dare a Kiev i carri armati Leopard 2 è che vengano inviati in Ucraina anche i carri armati statunitensi Abrams.
Una valutazione che sul piano militare appare illogica: gli ucraini già impiegano diversi tipi di carri russo/sovietici (M-55S/T-55 ex sloveni, T-64BV, T-72 e T-80) a cui dovrebbero aggiungere tre tipi diversi di tank occidentali (Challenger 2, Abrams e Leopard 2) non proprio di facile gestione logistica e operativa.
Sul piano politico però – prosegue Gaiani - la valutazione del governo tedesco è ben comprensibile poiché implica che gli europei esasperino ulteriormente un confronto con Mosca che ha già indebolito l’Europa sul piano energetico ed economico e in più procedano a passi rapidi a indebolire sempre di più il proprio apparato militare continuando a fornire a Kiev armi e munizioni di cui nessun paese europeo della NATO dispone in quantità sufficiente.
Fonti del Pentagono hanno del resto confermato che il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, a Berlino per incontrare il nuovo omologo ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius e per partecipare domani alla riunione del Gruppo di Contatto Nato sull’Ucraina nella base di Ramstein, “farà pressioni sui tedeschi” affinché acconsentano al trasferimento dei carri armati Leopard a Kiev. “Siamo molto ottimisti sul fatto che faremo progressi su questo requisito entro la fine della settimana”.
A questo punto della sua lettura degli avvenimenti e delle prospettive Gaiani introduce una considerazione che definisce maliziosa (mica tanto a nostro avviso, invece realistica e condivisibile):
“Paradossale che gli Stati Uniti, che dispongono di molte centinaia di carri Abrams in riserva, non intendano fornirli all’Ucraina ma premano affinché gli europei si privino delle loro già limitate scorte di carri armati di produzione tedesca. Paradossale anche perché Washington sta per fornire 100 ruotati da combattimento 8×8 Stryker e probabilmente anche razzi di precisione per gli MLRS HIMARS e M270 con raggio d’azione di 150 chilometri del tipo Ground-Launched Small Diameter Bomb, in grado di colpire in profondità la Crimea e il territorio russo.
Con un po’ di malizia, non dovrebbe sfuggire che l’indebolimento delle forze armate europee, corazzate e di altro tipo, favorirà (e di fatto già favorisce in molti paesi dell’est Europa) l’acquisizione di equipaggiamenti statunitensi nuovi o di seconda mano considerato che l’industria della Difesa europea avrebbe bisogno di ampi investimenti e diversi anni per produrre nuovi mezzi e sistemi d’arma (tank inclusi) in quantità rilevanti.
La guerra in Ucraina continua quindi a ledere gli interessi di un’Europa sempre più debole, più povera, meno competitiva e sempre meno armata, destinata ad essere un alleato sempre più docile degli Stati Uniti”.
Veniamo adesso alla valutazione dell’impatto militare che questi carri armati pesanti potrebbero provocare sul terreno. Ancora Gaiani:
“Sul piano militare però l’invio di tank europei in Ucraina potrebbe risultare irrilevante o quasi per i numeri limitati, i tempi necessari a renderli operativi e i limiti di addestramento e logistica delle forze di Kiev.
I 14 Challenger 2 che Londra consegnerà agli ucraini potranno equipaggiare una compagnia: i primi 4 carri saranno inviati immediatamente in Europa orientale per addestrare gli equipaggi ucraini mentre gli altri seguiranno poco dopo. Occorrerà addestrare anche il personale logistico e curare le manutenzioni mentre ricambi, proiettili da 120 mm e apparati del carro non sono compatibili con quelli impiegati dai carri utilizzati finora dall’Esercito Ucraino, di tipo russo/sovietico. Si tratta di uno sforzo notevole per un paese in guerra che ha visto distrutta la gran parte della sua rete di stabilimenti per la manutenzione e la logistica. Uno sforzo che verrà sostenuto per schierare appena 14 Challenger 2?
Peraltro inserire nei ranghi e rendere operativi mezzi simili richiede anni: quindi pensare che reclute ucraine (Kiev sta attuando un ennesimo arruolamento di massa per sopperire alle perdite subite negli ultimi mesi soprattutto sul fronte del Donbass) possano impiegarli efficacemente sul campo di battaglia è un’illusione a meno che non si intendano impiegare in battaglia contractors britannici come equipaggi e per la manutenzione.
Londra conta di consegnare a Kiev anche 30 semoventi AS 90 (un terzo di quelli disponibili nel British Army) 4 elicotteri da attacco Boeing Apache e circa 200 veicoli cingolati da combattimento Warrior o Bulldog, presenti complessivamente in circa 1.500 esemplari presso i reparti e in riserva.
Ognuno di questi mezzi richiede un supporto logistico complesso e non compatibile con quello degli altri mezzi di tipo russo/sovietico o occidentale in servizio con l’Esercito Ucraino che allinea già oltre 150 tipi diversi di mezzi corazzati e blindati, ruotati e cingolati, artiglierie, missili antiaerei e anticarro (cui si aggiungeranno presto anche 200 veicoli 4×4 protetti Senator donati dal Canada).
Ad aumentare numero e tipologia di mezzi complessi contribuirà anche la Svezia che ha ricevuto lodi e ringraziamenti dal presidente ucraino Zelensky per la promessa di consegnare veicoli da combattimento CV-90 e obici semoventi ruotati da 155 mm Archer oltre a ulteriori armi anticarro NLAW.
Circa l’impiego operativo di tali mezzi in Ucraina vanno tenute in considerazione altre limitazioni. La rivista americana Military Watch ha espresso molte perplessità circa l’impiego di Challenger 2 e Leopard 2 che sono più pesanti, hanno maggiori consumi di carburante, richiedono manutenzioni più frequenti e utilizzano cannoni di calibro diverso dai tank russo/sovietici impiegati dagli ucraini.
Pesi e ingombri maggiori (65/70 tonnellate contro 46/50 dei carri russo/sovietici) rendono i tank occidentali meno idonei all’impiego su strade strette e nei centri abitati. La pubblicazione statunitense ricorda inoltre come i Leopard 2 turchi abbiano sofferto perdite elevate in Siria contro le milizie curde: un’esperienza definita “un trauma” dai militari di Ankara.
Inoltre varrebbe forse la pena di valutare la compatibilità di mezzi così pesanti nell’attraversamento di molti ponti sui tanti corsi d’acqua minori dell’Ucraina e nell’imbarco sui vagoni ferroviari ucraini.
Di certo va rilevato, come ha fatto la CNN, che al di là dell’aiuto alle forze di Kiev la guerra in Ucraina costituisce un prezioso banco di prova per valutare performance ed efficacia dei sistemi d’arma occidentali mai collaudati prima in combattimento o impiegati in contesti a bassa intensità contro nemici poco e male armati ed equipaggiati.
“L’Ucraina è il laboratorio di armi assoluto in tutti i sensi, perché nessuno di questi equipaggiamenti è mai stato utilizzato in un conflitto tra due Paesi industrializzati”, scrive il sito dell’emittente televisiva statunitense. La guerra rappresenta per le forze armate statunitensi e per la NATO una “fonte incredibile di dati” in merito al reale valore delle loro armi e di quelle utilizzate dai russi.
Del resto anche i russi stanno impiegando i tank T-90M anche abbinati ai cingolati BMPT Terminator (come rivelano alcuni video diffusi negli ultimi giorni) al loro primo impiego operativo e secondo fonti britanniche si apprestano a testare in battaglia anche i nuovi carri armati T-14 Armata.
In questo senso, come in ogni guerra, l’impiego sul campo di battaglia di sistemi d’arma può decretarne il successo commerciale.
Per restare in tema di carri armati Varsavia prevede l’invio di carri Leopard e pure la Finlandia si è detta disposta a contribuire con un numero imprecisato di carri di questo tipo. Anche ammesso che si riescano a mettere insieme alcune decine di Leopard 2 forniti dai paesi europei da mettere in campo in Ucraina i tempi di messa a punto dei mezzi, addestramento del personale ucraino e consegna potrebbero risultare molto lunghi.
L’amministratore delegato di Rheinmetall, Armin Papperger, ha detto nei giorni scorsi al quotidiano “Bild am Sonntag” che l’azienda tedesca non riuscirebbe a consegnare i carri armati Leopard 2 all’Ucraina prima del 2024, anche se il governo di Berlino dovesse prendere una decisione positiva in tal senso. Rheinmetall ha attualmente in riparazione nei suoi stabilimenti 22 tank Leopard 2 e 88 Leopard 1. “Ma non possiamo riparare questi carri armati senza un ordine, perché i costi sono di diverse centinaia di milioni di euro. Rheinmetall non può finanziarli in anticipo”, ha detto Papperger precisando che l’ammodernamento dei carri armati dismessi richiede “quasi un anno”.
Inoltre, sul piano logistico, dover gestire Challenger 2, Leopard 1 e Leopard 2 risulterà molto arduo per le forze ucraine. Valutazioni analoghe valgono anche per i sistemi di difesa aerea che verranno schierati in Ucraina o ai suoi confini. Il 16 gennaio ha preso il via il trasferimento in Polonia di tre sistemi missilistici Patriot tedeschi che verranno schierati vicino al confine per proteggere le infrastrutture critiche ucraine.
Lo stesso giorno un centinaio di militari ucraini è arrivato nella base americana di Fort Still, in Oklahoma, per addestrarsi all’utilizzo del sistema di difesa aerea Patriot che gli Stati Uniti forniranno a Kiev. Anche l’Olanda fornirà sistemi Patriot come ha dichiarato il premier Mark Rutte, mentre rimane in fase di definizione l’invio di una batteria del sistema di difesa aerea SAMP/T congiunto tra Italia e Francia all’interno del sesto pacchetto di aiuti militari che il governo italiano potrebbe presto varare.
Il 16 gennaio il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha ribadito che sulla fornitura di sistemi antiaerei a Kiev “ci sono problemi tecnici perché è un sistema misto italo-francese”. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto ha reso noto che una batteria (un’altra delle 5 disponibili presso l’esercito Italiano è dislocata in Kuwait) verrà schierata in Slovacchia (a difesa degli stati membri della NATO che confinano con l‘Ucraina in guerra) in sostituzione di una batteria di Patriot statunitensi.
Anche per i Patriot e i SAMP/T gli interrogativi riguardano la capacità ucraina di gestirli con efficacia e in autonomia dopo pochi mesi di addestramento, l’integrazione in un sistema di difesa aerea che comprende una vasta tipologia di armi missilistiche di tipo russo/sovietico, europeo, statunitense e presto anche israeliano, dopo la conferma del trasferimento “ufficiale” (entro “un certo periodo”) di non meglio precisate tecnologie israeliane per l’allerta contro gli attacchi di missili e droni.
Inoltre restano le incertezze circa il numero di missili da difesa aerea che verranno messi a disposizione degli ucraini tenuto conto che le riserve di queste come di altre armi e munizioni sono piuttosto limitate in Europa e cominciano a ridursi in modo preoccupante anche negli Stati Uniti.
Secondo quanto rivelato dal New York Times il Pentagono sta inviando in Ucraina parte delle riserve di munizioni stoccate in Israele e in Corea del Sud in caso di emergenze e conflitti in Medio ed Estremo Oriente. Scorte a cui le forze di Gerusalemme e Seul sono autorizzate ad accedere in caso di guerra e il cui depauperamento non verrà probabilmente gradito dai due “alleati di ferro” di Washington.
La decisione d’emergenza è stata presa perché le riserve di armi e munizioni negli Stati Uniti sono state già sensibilmente intaccate dalle forniture all’Ucraina mentre la produzione industriale, nonostante le nuove commesse d’urgenza del Pentagono, non riescono a soddisfare le richieste di Kiev e soprattutto i consumi di munizioni imposti dal conflitto. 
Dibattito acceso sulle forniture militari all’Ucraina anche in Bulgaria dove il ministro della Difesa Nikolai Milkov si è detto all’oscuro della vendita di 14 aerei Su-25 dell’Aeronautica di Sofia che secondo l’agenzia di stampa statunitense Bloomberg sarebbero stato ceduti all’Aeronautica Ucraina attraverso la NATO (…).
Il quotidiano tedesco “Die Welt” ha scritto oggi (ripreso in Italia dall’Agenzia Nova) che nell’aprile scorso Kiev ha chiesto riservatamente aiuto a Sofia per colmare le carenze di munizioni di fabbricazione sovietica e di carburante. L’allora primo ministro bulgaro Kiril Petkov ha acconsentito, sfidando gli alleati del Partito socialista, fermamente contrari alla fornitura diretta di aiuti militari all’Ucraina.
La soluzione sarebbe stata trovata con consegne indirette, mediante società intermediarie in Bulgaria e in altri Paesi. Gli aiuti sono giunti in Ucraina per via terra e aerea attraverso Romania, Ungheria e Polonia. Petkov, oggi all’opposizione, ha confermato. Intervistato da “Die Welt”, l’ex capo del governo di Sofia ha dichiarato: “Stimiamo che circa un terzo delle munizioni necessarie all’esercito ucraino provenissero dalla Bulgaria nelle prime fasi della guerra”.
Inoltre, la Bulgaria ha inviato all’Ucraina diesel prodotto da una raffineria allora di proprietà del gruppo russo Lukoil sul proprio territorio. Al riguardo, l’ex ministro delle Finanze bulgaro, Assen Vasilev, ha dichiarato a “Die Welt” che il suo Paese è diventato “uno dei maggiori esportatori di diesel” in Ucraina coprendone “talvolta il 40 per cento del fabbisogno”.
Interpellato da “Die Welt”, il governo di Kiev ha confermato. In particolare, il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, ha rivelato che il suo Paese aveva quasi esaurito le munizioni ad aprile. Kuleba ha aggiunto: “Sapevamo che i magazzini della Bulgaria disponevano in grande quantità delle munizioni necessarie, quindi il presidente Zelensky mi ha incaricato di utilizzare le mie capacità diplomatiche per procurare il materiale necessario”.
Mosca aveva in passato accusato la Bulgaria di avere prove concrete degli aiuti militari bulgari all’Ucraina che il governo di Sofia aveva sempre negato”.

3.I pessimisti e i possibilisti

Grazie all’approfondita disamina di “Analisi Difesa” ora ne sappiamo di più. Non sfugge comunque che consegna, addestramento, uso di questi “aiuti” non sarebbe faccenda precisamente compatibile con l’imminente offensiva russa. Attacco in grande stile, tremendo, che potrebbe essere questione se non di ore di giorni o, al massimo, di poche settimane.
Non tutti i …depositari della verità strategico-militare nutrono il “pessimismo” di Gaiani che abbiamo colto nel suo circostanziato editoriale. In una intervista rilasciata al corrispondente di “Repubblica” l’ex ambasciatore Usa alla NATO Kurt Volker sostiene che “la fornitura di carri armati può diventare la svolta che metterà Kiev in condizione di vincere la guerra”. Volker, che da inviato speciale di Trump in Ucraina aveva avviato il piano di riarmo grazie al quale Zelensky ha fermato l’avanzata russa di un anno fa, sostiene: “Non credo che Putin reagirà usando il nucleare. Le bombe nucleari tattiche non lo aiuteranno a prendere nuovo terreno e le conseguenze sarebbero devastanti”. (Paolo Mastrolilli “Ucraina, parla Kurt Volker: “Mandare i carri armati è una mossa decisiva. Ora Zelensky può vincere la guerra” “, 25 gennaio 2023)
Infine, grazie ad un accordo di reciprocità tra USA e Germania, la situazione si sblocca: Berlino fornirà a Kiev i carri Leopard 2 e autorizzerà la fornitura da parte di altri paesi europei che li possiedono. Washington fornirà a Kiev i carri Abrams.

4.Lo sblocco della consegna. Armi, armi e sempre armi. Papa Francesco: la loro vendita nel mondo “la peste più grande”

Torniamo alle valutazioni del quadro militare ed ai dubbi su tempi e risultati degli “aiuti” alle forze armate ucraine con un secondo editoriale a firma di Gaiani su “Analisi Difesa” dal titolo piuttosto esplicito: “L’Occidente fa la “colletta” per dare carri armati all’Ucraina mentre i russi avanzano”. Data: 26 gennaio.
“La consegna di carri armati occidentali all’Ucraina si è sbloccata dopo settimane di dibattiti e polemiche politiche tra le diverse nazioni alleate e interne ai paesi aderenti alla NATO.
La consegna da parte della Germania di 14 carri armati Leopard 2A6 all’Ucraina, annunciata da Berlino, si aggiunge a un numero analogo di Challenger 2 britannici mentre il contributo di una dozzina di nazioni europee che impiegano i Leopard 2 dovrebbe consentire di trasferire a Kiev circa un’ottantina di questi tank con cui equipaggiare 2 battaglioni corazzati.
Il terzo battaglione di una ipotetica brigata corazzata composta da tank occidentali verrà probabilmente costituito con i 31 carri M1 Abrams che gli Stati Uniti hanno messo a disposizione e dai 14 Challenger 2 britannici (una compagnia). Gli Abrams, come i Challenger 2 e i Leopard 2, verranno accompagnati da alcuni carri porta munizioni e recupero per il traino sul campo di battaglia dei mezzi rimasti danneggiati.
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha affermato che il trasferimento di questi mezzi militari non vuole essere “una minaccia contro la Russia” ma un modo per “aiutare l’Ucraina a difendere la sua sovranità”.
L’addestramento degli ucraini all’impiego dei carri armati occidentali prenderà il via nelle prossime settimane. John Kirby, portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha dichiarato che la decisione è stato uno sforzo sia diplomatico che militare che era “in preparazione da diverse settimane”. Kirby ha dichiarato alla Cnn: “C’è stata molta diplomazia nell’annuncio di oggi. La decisione che avete visto oggi, sia da parte della Germania che degli Stati Uniti, è arrivata attraverso molte, molte discussioni con i tedeschi e con i nostri alleati per diverse settimane”.
Kirby ha anche detto che probabilmente il Pentagono impiegherà “settimane, non mesi” per finalizzare un piano di addestramento per i tank. Direi che probabilmente ci vorranno settimane, non mesi, prima di definire i dettagli e iniziare a mettere in atto l’addestramento” anche se alla CNN lo stesso Kirby ha ammesso che per avere gli Abrams operativi in Ucraina occorreranno “molti mesi”.
“I Leopard sono ottimi carri armati e ce ne sono molti nel continente europeo. Siamo grati che i tedeschi contribuiscano immediatamente con 14, e che lavoreranno con alleati e partner per avere 60 carri armati… E saranno in grado di essere sul terreno in Ucraina più velocemente degli Abram”.
Diversi Abrams sono già presenti in Europa con le forze statunitensi – prosegue l’articolo di “Analisi Difesa” e sono in consegna all’esercito polacco ma per giungere alla consegna dei mezzi corazzati alle truppe di Kiev e a raggiungere la piena operatività potrebbero occorrere diversi mesi.
“L’Ucraina deve essere pronta a rispondere ad una nuova offensiva russa, una volta che le condizioni metereologiche saranno migliorate con l’arrivo della primavera”, ha detto Kirby, aggiungendo che gli Stati Uniti devono essere pronti a continuare a sostenere l’Ucraina “ancora per un certo periodo di tempo”.
In realtà però i russi sono già all’offensiva almeno su un paio di fronti e la storia insegna che la stagione invernale, ghiacciando il terreno, lo rende adatto alle offensive meccanizzate. Semmai la stagione più ardua in cui manovrare con forze pesanti è, oltre all’autunno piovoso, l’inizio della primavera quando l’Ucraina si trasforma in un mare di fango, come hanno riscontrato i russi un anno or sono all’inizio dell’operazione militare speciale.
Sarebbero 12 le nazioni alleate interessate alla fornitura di Leopard 2 con il via libera di Berlino. La consegna dei Leopard 2A6, attualmente nei depositi della Bundeswehr è “storica, giusta, necessaria, ma non piacevole “ha detto il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, perché “riduce le riserve delle forze armate tedesche pur senza intaccarne la capacità operativa”.
Pistorius ha aggiunto che saranno necessari circa tre mesi perché i carri armati siano operativi in Ucraina precisando che prima dell’invio dei carri armati a Kiev sarà necessario addestrare le forze ucraine mentre la consegna agli ucraini dei tank avverrà “tra fine marzo e inizio aprile”.
In contemporanea o quasi con l’arrivo dei carri armati britannici Challenger 2, che secondo il sottosegretario alla Difesa britannico, Alex Chalk dovrebbero arrivare in Ucraina tra circa due mesi: “l’intenzione è di far sì che la data sia la fine di marzo”, ha detto intervenendo oggi alla Camera dei Comuni.
Pistorius ha precisato oggi che l’addestramento delle truppe ucraine sui veicoli da combattimento Marder inizierà nei prossimi giorni, mentre quello per i Leopard inizierà “un po’ più tardi”.
Una previsione ottimistica, almeno se si pretende che gli ucraini siano in grado di impiegare al meglio in battaglia i Leopard 2 in termini combat ma anche del necessario supporto logistico.
Allarmate le reazioni negli ambienti militari tedeschi: il presidente dell’Associazione della Bundeswehr (organizzazione indipendente che rappresenta gli interessi di 200.000 soldati e riservisti attivi e in pensione), Andre Wuestner, sostiene che la fornitura di carri avrà un impatto negativo sulla capacità di difesa della Germania che “da febbraio distribuisce armi e munizioni” all’Ucraina.
L’Esercito Tedesco ha uno stock di 320 Leopard 2 nelle versioni A5, A6 e A7Plus: di questi forse la metà sono operativi, il 25 per cento in manutenzione/aggiornamento e il restante 25 per cento nei magazzini.
In aggiunta Rheinmetall dispone di uno stock di 139 Leopard, 88 Leopard 1A5 e 51 Leopard 2A4. Di questi ultimi 29 sono in fase di approntamento per essere consegnati agli eserciti di Slovacchia e Repubblica Ceca che in cambio hanno ceduto agli ucraini i loro vecchio carri di tipo sovietico T-72 e altri mezzi corazzati.
I restanti 22 Leopard 2A4 potrebbero venire riportati in condizioni operative in un anno ma a fronte di un notevole investimento come almeno una parte degli 88 Leopard 1 A5, presenti in un centinaio di esemplari anche nei depositi dell’azienda Flensburger Fahrzeugbau GmbH: si tratta di carri armati dismessi dall’Esercito Tedesco 20 anni or sono.
“Alcuni di questi carri armati sono rimasti fermi per dieci anni, sono ammuffiti all’interno”, ha spiegato ancora il Ceo di Rheinmetall, Armin Papperger, aggiungendo che per renderli di nuovo operativi i tank devono essere completamente smontati e puliti e che questo processo richiede mesi. “Non so come la gente pensi che io possa finire una cosa del genere in una settimana. Se non è stato ordinato nulla per oltre 20 anni e l’aspettativa è che la consegna avvenga domani, allora semplicemente non funziona. Sfortunatamente, alcuni in politica non lo capiscono”, ha affermato.
Del resto l’intero dibattito sulla consegna dei tank occidentali all’Ucraina riveste più un significato politico interno all’Occidente che una reale prospettiva militare.
Non saranno 120 carri occidentali di tre modelli diversi (Leopard 2, Abrams e Challenger 2), che si aggiungono ai 4 tipi di tank russo/sovietici già in uso presso l’esercito ucraino a influire in modo decisivo sul conflitto quando scenderanno in campo, tra alcuni mesi.
La loro presenza, al di là della qualità indiscussa dei mezzi, renderà ancora più caotico l’incubo logistico che vive l’esercito di Kiev costretto a impiegare oltre 160 tipologie diverse di armi pesanti e mezzi corazzati e blindati di origine russo/sovietica e occidentale.
Inoltre la sofisticazione dei tank occidentali (che potrebbero aumentare se anche la Francia decidesse di inviare una quindicina di Leclerc), i loro elevatissimi consumi di carburante e gli equipaggi da 4 militari invece dei 3 previsti nei carri di concezione russa rischiano di renderne ancora più complesso l’impiego. Tenuto anche conto che pesano 15/20 tonnellate in più dei tank di tipo russo/sovietico e che un gran numero di ponti sui numerosissimi corsi d’acqua dell’Ucraina non reggerebbero al loro passaggio.
Limiti di cui sembra esserne consapevole anche Volodymyr Zelensky. “Quando l’esercito russo, che ha migliaia di carri armati, è contro di noi, nessun paese risolve il problema decidendo di offrire 10 carri armati, 20 carri armati, 50 carri armati”, ha dichiarato il presidente ucraino un’intervista al canale televisivo tedesco ARD aggiungendo però che “la fornitura di carri armati motiva le forze armate ucraine”.
Invece il Segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, si è detto convinto che i Leopard 2 “in questo momento critico della guerra possono aiutare l’Ucraina a difendersi e a vincere”.
Tra i paesi UE e NATO che parteciperanno alla “colletta” per fornire carri armati all’Ucraina Finlandia e Spagna non si sono ancora espresse circa tempi e numeri di un eventuale contributo.
Helsinki schiera 139 Leopard A4 (nella foto sotto) e altri 100 nella versione A6 e ha confermato di volerne inviare alcuni a Kiev mentre la Spagna dispone di 347 Leopard 2 dei quali 239 nella versione E prodotta in Spagna dall’azienda Santa Barbara nello stabilimento di Alcala de Guadaira (Siviglia) e 108 nella versione A4 (in pessime condizioni di manutenzione e per oltre metà non recuperabili) acquisiti in Germania tra i quali Madrid vorrebbe prelevare alcuni esemplari da fornire all’Ucraina.
Il ministro della Difesa, Margarita Robles, ha precisato oggi che occorre valutare quali carri tra gli A4 che si trovano attualmente immagazzinati e “in disuso da molto tempo” a Saragozza “possono essere messi nell’adeguato stato di funzionamento. “Abbiamo già riscontrato la piena collaborazione dell’industria per vedere quali sono in condizione di essere messi a posto” ha aggiunto il ministro spiegando che l’invio dei tank “dovrà essere accompagnata da personale che conosca la manutenzione necessaria e come vanno condotti”.
Lisbona è disposta a offrire 4 dei suoi 37 Leopard 2A6, secondo quanto riportati dal quotidiano Correio da Manha che cita fonti “ben informate” mentre l’Olanda è pronta a comprare i suoi unici 18 tank Leopard 2, (anch’essi nella versione A6) presi in leasing dalla Germania per poi regalarli all’Ucraina.
La Polonia, che ha esercitato pressioni fortissime su Berlino per ottenere il via libera alla consegna dei tank a Kiev, fornirà come la Germania 14 dei suoi 249 Leopard 2A4e A5 oltre a 60 OT-91 Twardy (versione polacca aggiornata dei T-72) ma ha già anticipato che chiederà il risarcimento del costo dei mezzi all’Unione Europea che ha appena stanziato altri 500 milioni di euro per gli aiuti militari all’Ucraina.
“Faremo richiesta di rimborso all’Unione Europea, sarà un’altra prova di buona volontà” ha annunciato il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki in conferenza stampa. La Norvegia potrebbe inviare all’Ucraina 8 dei 36 carri armati Leopard 2A4 che ha disposizione (altri 16 sono nei magazzini) dopo averli acquistati di seconda mano dall’Olanda 22 anni or sono.
Anche la Danimarca sarebbe disposta ad offrire alcuni dei suoi 44 Leopard 2A7 all’Ucraina dopo aver già promesso a Kiev tutta la sua artiglieria composta da 19 obici semoventi francesi CAESAR. Il Canada invierà quattro dei suoi circa 80 carri armati Leopard 2A4 e A6 in Ucraina “nelle prossime settimane” ha detto il ministro della Difesa canadese Anita Anand, lasciando aperta la possibilità di inviare altri Leopard in futuro.
Il rischio di “disarmo” europeo determinati dagli aiuti inviati all’Ucraina non è irrisorio in termini di artiglieria, carri armati e munizioni tenuto conto del numero limitato di mezzi pesanti disponibili nei diversi eserciti”.
Fin qui “Analisi Difesa”. Colpiscono di questa minuziosa ricognizione due aspetti. Il primo: le fabbriche di armi stanno lavorando a pieno ritmo ma non riescono neppure lontanamente a fare fronte agli ordinativi. Secondo aspetto: si sta raschiando il fondo del barile. In Europa non esiste paese della NATO che non stia “rovistando” nei suoi depositi militari per rimettere in strada carri armati in disuso da anni, più o meno arrugginiti in qualche parte della corazzatura. Pur di rifornire l’Ucraina e pur di non sguarnire troppo di tank gli eserciti europei a causa della “colletta” per l’Ucraina.
Armi, armi, sempre più armi. Ovunque nel mondo. Il conflitto in Ucraina ne inghiotte in quantità inimmaginabile. Non possiamo fare a meno di citare a questo punto le ennesime parole di Papa Francesco sull’argomento, che gli sta particolarmente a cuore, nel consueto colloquio con i giornalisti sull’aereo che dal Sud Sudan lo riportava a Roma il 5 febbraio scorso: “La vendita delle armi. Credo che nel mondo questa è la peste più grande: l’affare della vendita delle armi. Mi hanno detto che senza vendere armi per un anno finirebbe la fame nel mondo. Non so se è vero. Ma oggi al top è la vendita delle armi. E non solo tra le grandi potenze. (…)”.
Ma quali sono state le reazioni russe a queste decisioni? Riprendiamo la lettura del fondo del direttore Gaiani su “Analisi Difesa”.
“Le reazioni russe alle notizie dell’invio dei tank europei e statunitensi all’Ucraina non si sono fatte attendere. “Andranno in fiamme come il resto”, ha affermato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov deplorando che la situazione in Europa e nel mondo “è estremamente tesa” a causa delle politiche occidentali. “Al momento non ci sono prospettive per una soluzione diplomatica del conflitto”, ha aggiunto.
L’Occidente “sopravvaluta il potenziale che (i carri armati) potrebbero dare all’esercito ucraino”, ha aggiunto Peskov probabilmente riferendosi alle difficoltà addestrative e logistiche che gli ucraini affronteranno nel gestire tali mezzi. In ogni caso Mosca ha tutto l’interesse ad accusare l’Occidente di provocare un’escalation e di voler colpire la Russia, tema utile anche a cementare il consenso patriottico intorno a un conflitto percepito ormai come una “guerra patriottica” contro tutto l’Occidente.
Soddisfazione a Kiev dove però si chiedono centinaia di carri occidentali, “non poche decine”. L’ex ambasciatore ucraino in Germania, ora viceministro degli Esteri del governo di Kiev, Andriy Melnyk, considera un via libera di Berlino alla consegna di tank solo “un primo passo” al quale dovranno seguire forniture di aerei da combattimento Tornado ed Eurofighter, navi da guerra e sottomarini.
“Ho parlato oggi con il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg. Dobbiamo anche aprire la fornitura di missili a lungo raggio all’Ucraina, è importante: dobbiamo anche espandere la nostra cooperazione nell’artiglieria, dobbiamo entrare nella fornitura di aerei per l’Ucraina. E questo è un sogno. E questo è il compito. Un compito importante per tutti noi” ha detto ieri il presidente Zelensky.
Il governo ucraino ha del resto sempre chiesto a NATO e Occidente ogni tipologia di armi anche se la fornitura di sottomarini e aerei da combattimento quali Tornado tedeschi, Eurofighter Typhoon della prima tranche ed F-16 olandesi radiati o in procinto di esserlo con l’arrivo degli F-35 appare una prospettiva al momento irrealistica anche se non possono venire ignorate valutazioni di mercato.
Lockheed Martin ha dichiarato al Financial Times di essere pronto a soddisfare la richiesta di F-16 da parte di Paesi terzi che possano decidere di trasferire i propri caccia a Kiev. L’amministratore delegato Frank St. John ha dichiarato che ci sono “molte discussioni in corso sul trasferimento di caccia F-16 da Paesi terzi” all’Ucraina. St. John ha precisato che l’azienda non è direttamente coinvolta in queste trattative ma che è “pronta ad aumentare la produzione di F-16 a Greenville (South Carolina)” per poter rifornire al meglio i Paesi che scelgono di trasferire i loro aerei da combattimento all’Ucraina.
Di fatto l’azienda statunitense si candida a rimpiazzare in tempi ragionevoli con nuovi F-16 le forze aeree che cedessero agli ucraini i velivoli più vecchi in dotazione. Iniziative simili sono state assunte dagli Stati Uniti che hanno fornito il proprio surplus alle forze armate dell’Est Europa che hanno ceduto equipaggiamenti di tipo sovietico all’Ucraina.
Washington coglie così l’opportunità di mettere le mani sul mercato europeo approfittando anche delle difficoltà economiche, finanziarie ed energetiche degli alleati le cui industrie della Difesa devono fronteggiare limitate capacità e alti costi produttivi. In ogni caso i tempi sarebbero molto lunghi e i costi elevatissimi se si volessero riconfigurare le forze aeree ucraine su velivoli da combattimento occidentali, anche se di seconda mano e “spendibili”.”
Una ulteriore considerazione scaturisce da queste letture di stampa specializzata del settore militare. Proviamo a riassumerla così: la guerra in Ucraina sta provocando incredibili triangolazioni di armi in tutto il mondo. Con in particolare gli Stati Uniti – che di armi d’ogni tipo se ne intendono… - attivissimi sul mercato.
Conclude al riguardo “Analisi Difesa”: “Continuano intanto gli sforzi, soprattutto di USA e Gran Bretagna, per reperire mezzi e armamenti di tipo russo/sovietico da fornire a Kiev. Almeno 20 carri T-72B (ex bielorussi) sono stati messi a disposizione dal Marocco (che ne fornirà in tutto 90/120) e si trovano già negli stabilimenti in Repubblica Ceca per venire revisionati e aggiornati.
Washington cerca armi russe anche in America Latina. Il vertice del Comando Sud delle forze armate statunitensi, generale Laura Richardson aveva chiesto ai paesi latino-americani che ne dispongono di fornire equipaggiamenti compatibili con quelli in uso in Ucraina.  “Sei Paesi della regione hanno equipaggiamenti militari russi. Gli Stati Uniti stanno cercando di incoraggiare questi sei Paesi a donare equipaggiamento militare russo all’Ucraina e sostituirlo con armi americane”.
Scontato per ora il no del Venezuela ma anche dalla Colombia è giunta una risposta negativa. “La Colombia non si schiera con nessuno, è a favore della pace e nessuna arma russa che si trovi in suolo colombiano finirà in Ucraina”, ha affermato il 24 gennaio il presidente Gustavo Petro in una conferenza stampa a margine del vertice della Comunità degli Stati dell’America Latina e dei Caraibi a Buenos Aires.  Nella stessa regione anche il Messico ha criticato la consegna di tank occidentali a Kiev ma rispetto a eventuali cessioni di mezzi le argomentazioni di Colombia e Messico hanno un valore e prettamente politico poiché gli eserciti delle due nazioni non schierano equipaggiamenti di rilievo di origine russo/sovietica.
C’è un dato di fatto di cui si scrive poco nei report e nelle corrispondenze dei media occidentali: le difficoltà degli ucraini sul campo da alcuni mesi a questa parte.
“Con un po’ di malizia non è difficile ipotizzare che la “bolla mediatica” sviluppatasi in questi giorni intorno alle forniture di carri occidentali (in numeri limitati e che vedremo sul campo di battaglia tra diversi mesi) avesse lo scopo di lanciare un messaggio incoraggiante alle forze di Kiev e soprattutto di nascondere all’opinione pubblica occidentale i rovesci e le perdite senza precedenti che stanno subendo (e di cui quasi nessuno parla).
Non sembra certo essere un caso la poca o nulla visibilità che ha avuto in queste ore la ben più importante notizia che gli ucraini hanno ammesso, dopo una settimana, di aver perduto il controllo di Soledar.
Dopo averlo a lungo negato Serhiy Cherevaty, portavoce del comando orientale delle forze armate dell’Ucraina, ha dichiarato che “per preservare la vita del personale, le forze di difesa si sono allontanate da Soledar e si sono trincerate sulle linee di difesa prestabilite”, ha spiegato aggiungendo che “hanno assolto il compito: non hanno permesso al nemico di sfondare sistematicamente il fronte a Donetsk”.
I russi stanno avanzando oltre Soledar, minacciando direttamente Bakhmut e arrivando a meno di 20 chilometri da Siversk. Secondo diverse fonti militari le truppe di Kiev avrebbero iniziato a ritirarsi anche da Bakhmut onde evitare di venire circondate. L’intera seconda linea difensiva nella regione di Donetsk sembra sul punto di cedere mentre gli ucraini preparano trincee a Kramatorsk e Slovyansk, ultimi baluardi nella regione di Donetsk.
La notizia prioritaria di questi giorni è che i russi hanno ripreso l’iniziativa e dopo mesi di ritirate e trinceramenti in posizioni difensive sono ripartiti all’attacco guadagnando terreno nel Donbass e nella regione di Zaporizhzhia dove sono arrivati a 40 chilometri dall’omonima città”.

5.Le implicazioni strategiche.

Dall’analisi prevalentemente tecnico-militare spostiamo ora i riflettori su un piano diverso. Politico, strategico, diplomatico. Con una cruciale domanda (che è anche un titolo) che il 27 gennaio si pone su “affarinternazionali.it” Francesco Bascone: “I Leopard allontanano o avvicinano la fine della guerra?”. Scrive l’analista dello IAI, l’Istituto Affari Internazionali, ex ambasciatore:
“La decisione tedesca e americana di sbloccare la fornitura di carri armati d’assalto (main battle tanks) all’Ucraina, pur tardiva e forse numericamente insufficiente, segna chiaramente una svolta: tutta la Nato mette sul piatto della bilancia i propri arsenali militari e la propria industria bellica per neutralizzare la superiorità di mezzi russa su cui si basa la fiducia di Putin di poter concludere vittoriosamente la guerra con la prevista offensiva di primavera. Ma ciò è ben diverso da un “diretto” coinvolgimento dei paesi occidentali nella guerra, come affermato dalla propaganda del Cremlino (una affermazione atta a giustificare eventuali rappresaglie contro paesi Nato; è però assai improbabile che la Russia abbia interesse ad allargare il conflitto). Non solo i militari occidentali non partecipano ai combattimenti (l’articolo 51 dello Statuto Onu sulla legittima difesa collettiva lo consentirebbe), ma non sono neanche presenti nelle retrovie ucraine: l’addestramento all’uso delle armi occidentali si fa oltreconfine. E le forniture belliche sono a scopo unicamente difensivo (ivi compresa la riconquista di posizioni perdute in precedenza), escludendo missili cruise o balistici capaci di colpire obiettivi militari o civili in territorio russo.
Il conflitto si svolge ormai su due piani. La guerra vera e propria continua ad essere combattuta unicamente dall’aggressore e dall’aggredito; ed è una guerra asimmetrica, dato che il campo di battaglia è esclusivamente sul suolo del secondo, e soltanto il primo si può permettere di colpire il territorio e le città dell’avversario anche lontano dal fronte, per fiaccarlo materialmente e moralmente. Il secondo piano è un braccio di ferro fra Russia e Occidente, una gara nella produzione e messa in campo di armamenti pesanti e munizioni (ma anche nella manutenzione e riparazione, e nell’addestramento).
In questo senso – osserva l’ambasciatore Bascone - ci stiamo avvicinando alla “war by proxy“, la guerra per delega. Questo termine può tuttavia essere fuorviante in quanto sottintende in genere che si forniscano aiuti a chi effettivamente combatte al fine di indebolire l’avversario comune e metterlo così in condizione di non nuocere, se non addirittura causarne l’implosione.
Anche se una incauta esternazione del Ministro della Difesa americano, risalente a parecchi mesi fa, è sembrata confermare la prima di queste due possibili finalità, non c’è dubbio che l’obiettivo dei governi Nato è di impedire il successo della aggressione russa, e quindi dissuadere Mosca dal tentarne un’altra contro qualche suo vicino occidentale, e non di sfruttare la crisi ucraina per disgregare lo stato russo e farne cadere il governo, come sostiene la propaganda moscovita.
Il salto di qualità negli aiuti militari occidentali rischia di prolungare la guerra e le sofferenze del popolo ucraino? Si potrebbe rispondere affermativamente, considerando che senza tali aiuti l’offensiva russa potrebbe avere successo e forse costringere l’Ucraina a capitolare entro l’estate. Ma la capitolazione, cioè la rinuncia alle quattro regioni e l’accettazione di un rapporto di vassallaggio è uno scenario altamente ipotetico.
L’obiettivo della Nato non è di punire e umiliare, bensì di dimostrare a Mosca che malgrado la sua superiorità numerica la vittoria non è a portata di mano, e convincerla ad abbandonare le sue ambizioni territoriali, quindi a non prolungare inutilmente il conflitto.
Perché i vertici militari russi arrivino a questa conclusione, e decidano di imporla a Putin, a costo di esautorarlo se necessario, occorre che l’esercito ucraino, grazie alle armi occidentali, consegua qualche sostanzioso successo, ad esempio liberare Melitopol e spezzare la continuità territoriale fra la regione di Donetsk e la Crimea.
Non ha perciò tutti i torti chi osserva che l’Occidente mira ormai ad aiutare l’Ucraina non solo a difendersi, ma a “vincere”. Non però a stravincere, a umiliare la Russia, a cacciarla dalla Crimea. La riconquista della penisola è un obiettivo legittimo, ma non realistico“.
Alla luce delle valutazioni espresse ecco quali sono le conclusioni a cui perviene l’analista dello IAI:
“L’esito ottimale dell’ipotetica controffensiva ucraina – che presupporrebbe un aumento dei numeri rispetto a quanto sinora preventivato, e una accelerazione nelle consegne dei Leopard – sarebbe il ritiro russo dagli altri territori occupati e la determinazione del loro destino attraverso referenda sotto supervisione internazionale. Un esito che l’Occidente dovrebbe considerare accettabile, in quanto preferibile alla continuazione della guerra, sarebbe il ritiro russo fino alla linea di demarcazione del 24 febbraio scorso (magari con la cessione del porto di Mariupol, perché un qualche “trofeo” va pure concesso a Putin per salvare la faccia). È vero che in caso di significativi successi nella controffensiva Kiev sarà riluttante ad accettare qualsiasi sacrificio territoriale; ma vi si rassegnerà se calerà la disponibilità degli alleati a fornire armamenti sofisticati e costosi.
Nell’eventualità di un permanere dello stallo, cioè in mancanza di quello sfondamento del fronte da parte ucraina cui mira Zelensky ma che richiederebbe un ulteriore aumento degli aiuti militari occidentali, dobbiamo attenderci che la Russia punti sul potenziamento in corso della propria industria di guerra e sul logoramento della volontà dei paesi occidentali, Stati Uniti compresi, di continuare il braccio di ferro delle forniture belliche“.

6.Uscire dall’escalation. Ma i canali di dialogo si stanno chiudendo tutti

Sempre per restare in tema di valutazioni politiche e strategiche, merita di essere riportato un editoriale di Mauro Magatti – magistrale per chiarezza, sintesi, propositività – pubblicato sul quotidiano “Avvenire” il 28 gennaio. Intitolato “Una via d’uscita dall’escalation. Prendiamoci il tempo, ora”.
Scrive l’editorialista: “Ricapitoliamo: Putin pensava che l’annessione del Donbass potesse avvenire a seguito di una veloce azione militare (l’«operazione speciale»), che poi un governo filorusso imposto a Kiev avrebbe ratificato, come era già successo con la Crimea. Piano fallito. L’Ucraina ha reagito e ha resistito anche grazie al sostegno dei Paesi occidentali.
Così, col passare dei mesi, l’esercito di Kiev ha avviato un’importante controffensiva, tanto da spingere Zelensky a porre la riconquista della Crimea come condizione per la fine della guerra. A quel punto, Putin ha annunciato una mobilitazione più larga, che ha suscitato obiezioni e reazioni interne, ma ha portato la Russia a fermare l’avanzata ucraina e a riconquistare qualche lembo di terra. E siamo così alla decisione della NATO di inviare alcune decine di carri armati più potenti per sostenere una nuova controffensiva ucraina. Nel contempo, la Russia si prepara a una nuova azione primaverile, forse coinvolgendo la Bielorussia.
A un anno di distanza dall’inizio delle ostilità, una cosa è chiara: la Russia non può perdere, perché la sua disfatta comporterebbe non solo la caduta del regime di Putin ma un trauma identitario i cui esiti sono ignoti. Da una sconfitta militare potrebbe forse nascere un governo più democratico e filoccidentale, ma anche un regime ancora più autoritario e violento. D’altro canto, anche l’Occidente non può perdere. Se dopo aver aiutato l’Ucraina, la Russia dovesse riuscire a sfondare grazie alla superiorità numerica, il disastro sarebbe totale. Il messaggio che si voleva trasmettere a tutti gli autocrati del mondo si tramuterebbe nel suo contrario. Il conflitto, dunque, si avvita su sé stesso. Secondo molti osservatori si va verso una guerra di logoramento di lungo periodo.
Scenario già visto in altre aree del mondo (come la Corea), che alla fine costringerà le parti a trovare un accordo. Lo scenario alternativo è quella dell’escalation. Sia il rischio di sconfitta da parte della Russia, sia l’invio di truppe Nato per evitare la disfatta dell’Ucraina comporterebbero un salto di scala. Il mondo sta ballando sul Titanic e nessuno sembra avere la chiave della via d’uscita. Si dice: non si può dialogare con Putin. Primo: perché è un criminale che deve pagare per le atrocità che ha commesso. Secondo: perché lui non vuole dialogare, ma solo raggiungere i propri obiettivi.
Queste due affermazioni sono vere, ma da qui non si può dedurre la decisione di rinunciare al dialogo. Se è vero infatti che per dialogare bisogna essere in due, è altrettanto vero che quando c’è una controversia il dialogo comincia non perché esiste già l’accordo (che è ciò che manca) ma perché una delle due parti – spesso con l’aiuto di un soggetto terzo – lavora per passare dal dialogo dialettico (cioè dal conflitto) a quello che Raimon Panikkar chiama «dialogo dialogico».
Il dialogo dialogico non è una camomilla per anime belle. È, invece, un processo arduo, faticoso, incerto che può avanzare solo perché sostenuto da una grande forza morale, una forza d’animo che permette di superare difficoltà insormontabili. Il dialogo dialogico letteralmente è capace di andare al di là di ciò che c’è, lavorando per ridurre passo dopo passo la distanza tra le parti.
Questo processo di avvicinamento, insegna ancora Panikkar, può avvenire solo identificando un punto terzo che non corrisponde né alla posizione di partenza dell’una o dell’altra parte, né al punto medio, a ciò che sta a metà strada. Questo punto terzo è un oltre, qualche cosa che si comincia a immaginare e che avvia un processo aperto che permette ai contendenti di uscire dal gioco perverso in cui si trovano incastrati. In linguaggio politico è l’arte della diplomazia. Che è necessario perseguire se si vuole che il dialogo dialettico (cioè la guerra) non termini solo con la eliminazione di una delle due parti. O con un disastro mondiale.
Oltre a comportare la virtù della fortezza, il dialogo dialogico presuppone il superamento dello schema puro-impuro. Come scriveva Jean Guitton, ciò è possibile quando ci liberiamo dallo schema dualista che contrappone, separandoli, l’amico e nemico, il bene e il male; cioè appunto, il puro e l’impuro. Non perché non ci siano differenze o perché non ci debba essere un giudizio su ciò che accade. Ma perché la realtà è sempre più complessa, contraddittoria, articolata. E perché è proprio nelle pieghe di questa concretezza che si deve cercare e trovare la via che permetta di non schiantarsi nel conflitto totale. Se l’Occidente vuole essere leader del mondo deve saper esercitare questa saggezza”.
Così conclude il professor Magatti, sociologo ed economista: “Riaffermare i princìpi internazionali, condannare l’aggressione, sostenere l’aggredito e nello stesso tempo lavorare attivamente, incessantemente, concretamente per trovare una soluzione che non si fermi allo scontro tra le parti. Tutti desideriamo la pace. C’è la pace imposta dall’aggressore che distrugge l’aggredito. C’è la pace dell’aggredito che distrugge l’aggressore. E c’è la pace che, riconoscendo i torti e le ragioni, la giustizia e l’ingiustizia, lavora alla tela delicata ma fondamentale del dialogo dialogico, costruendo così le premesse di una futura convivenza pacificata. Non si perda tempo. L’invio di nuovi (pochi) carri armati sia l’occasione per prendere ancora un po’ di tempo per fermare quel conflitto che Putin ha innescato e in cui si trova egli stesso intrappolato al pari di Zelensky, ma nel quale rischiamo tutti di finire annientati”.
Per la verità secondo alcuni organi di stampa (l’americano “Newsweek” che cita il quotidiano svizzero di Zurigo “NZZ” “Neue Zurcher Zeitung”) il capo della CIA William Burns avrebbe elaborato e probabilmente sottoposto alle parti un piano di pace che prevede che la Russia si prenda un quinto del territorio ucraino, pari circa alle dimensioni del Donbass, per porre fine alla guerra. La notizia, o più correttamente la fuga di notizie, è stata seccamente smentita a Washington.
Le posizioni del quotidiano cattolico della CEI sul conflitto sono note da tempo. Il contributo di Magatti allerta sul persistente rischio di allargamento e conseguente “disastro mondiale”. Non la pensano così i “falchi” europei. Cioè oltre ai britannici – che forse con il nuovo premier Rishi Sunak lo sono un po’ meno rispetto ai predecessori Boris Johnson e alla meteora Liz Truss – la Polonia e i Paesi baltici (Lituania, Estonia e Lettonia). Stati questi ultimi che conoscono bene russi e sovietici, da sempre scomodi e famelici vicini. Non sorprende che Varsavia – memore di attacchi da ovest e da est – si avvii a schierare nei prossimi anni il più numeroso esercito d’Europa: spese militari al 4 per cento del Pil, 500 carri armati di ultima generazione commissionati, un organico in divisa di 300.000 unità, una crescente influenza polacca nelle decisioni che la NATO adotta.
Nel dibattito politico-mediatico tutto imperniato sui carri armati meno risalto hanno avuto in Occidente altre decisioni di aiuto militare agli ucraini. Come i missili GLSDB che – scrive l’ “Huffpost.it” – hanno una gittata più lunga degli Himars e faranno più male all’esercito russo “tuttavia non cambiano il corso degli eventi” (Lorenzo Santucci “Gli USA danno missili più potenti all’Ucraina. Ma non sono quelli che vorrebbe Kiev”, 1 febbraio 2023). L’acronimo GLSDB sta per “Ground Launched Small Diameter Bomb”. Missili progettati dalla Boeing americana e dalla Saab svedese. Uniscono una bomba d’aereo e un razzo. Con questi vettori a guida Gps il raggio di azione dell’esercito ucraino rispetto ai sistemi finora impiegati passa da 80 a 150 chilometri. La gittata quasi raddoppiata dovrebbe costringere i russi ad allontanare i depositi di munizioni e carburante dal fronte. (Floriana Bulfon “Che cosa sono i GLSDB, i nuovi ordigni in arrivo dagli USA che potrebbero mettere in difficoltà l’offensiva russa” in “Repubblica”, 1 febbraio 2023).
Eppure sembrerebbe che questi missili – che rientrano in un nuovo pacchetto di aiuti militari degli Stati Uniti all’Ucraina dell’importo di 2 miliardi di dollari - preoccupino Mosca più dei carri armati. Il solito portavoce del Cremlino Peskov ha dichiarato che le nuove forniture, missili compresi, “non cambieranno gli eventi sul terreno” ma contribuiranno solo ad aggravare l’escalation. Ed ha aggiunto che il Cremlino accoglie con favore la proposta di alcuni governatori di regioni e aziende di pagare una ricompensa ai militari per ogni carro americano Abrams che verrà distrutto in Ucraina.

7.A rischio anche quel che resta dei trattati tra USA e Russia sul contenimento della proliferazione nucleare

Il confronto sempre più duro tra Mosca e Washington porta acqua al mulino di chi pensa che i veri player della situazione siano solo le due superpotenze e che tutti gli altri attori – sia gli europei che gli stessi ucraini – non rappresentino altro che pedine di un gioco più grande di loro.
“Gli Stati Uniti accusano la Russia di violare il New Start, l'unico trattato per il controllo delle armi nucleari rimasto in vigore fra i due Paesi, mentre preparano un nuovo pacchetto di forniture militari per Kiev da circa 2 miliardi di dollari che include le bombe a lunga gittata Glsdb. Sono i due aspetti dell'escalation in Ucraina, e della possibile nuova corsa al riarmo, che Mosca ha deciso di collegare giustificando la sospensione delle ispezioni sulle testate atomiche proprio con la risposta americana all'invasione del 24 febbraio 2022”. (“USA-Russia, la crisi si aggrava: vacilla anche il trattato Start” in “Repubblica.it”, 1 febbraio 2023).
Rischia in questo modo di ripartire la corsa sfrenata alla proliferazione di nuove bombe termonucleari, malgrado ne siano stipate a migliaia negli arsenali e nei depositi sia russi che americani. Ognuna delle due parti non si scosta di un millimetro dalle proprie posizioni. Gli americani si dichiarano “sempre disponibili” mentre secondo loro “a violare gli accordi” è la Russia. Da Mosca replicano che è “una conseguenza della situazione in Ucraina”.
Il sapiente mix di vittimismo/propagandismo nel quale i russi la sanno lunga trova così fiato ed argomenti. Per il ministro degli Esteri Lavrov “l’escalation è evidente ed è colpa dell’Occidente che vuole porre fine alla questione russa. Gli USA continuano la tradizione coloniale di soggiogare tutti, ma la Russia ne uscirà più forte”.
8.”L’Ucraina è l’Europa e l’Europa è l’Ucraina”

Nella guerra delle dichiarazioni e controdichiarazioni nei primi giorni di febbraio c’è solo l’imbarazzo della scelta. Secondo il ministro della Difesa ucraino Reznikov la Russia sta pianificando una grande offensiva per il primo anniversario, il 24 febbraio. Secondo il ministro (che pochi giorni dopo presenterà le dimissioni dal cruciale incarico) la Russia farà appello a un grande contingente, circa 500mila unità, dunque molto più numeroso rispetto alle 300.000 unità mobilitate a settembre 2022: “Non sottovalutiamo il nostro nemico. Ufficialmente hanno annunciato 300.000 soldati ma il numero è molto più alto”.
Non è da meno Zelensky il quale ha sicuramente vinto da tempo la “guerra della comunicazione” con il suo rivale Putin. Venerdì 3 febbraio Kiev ha ospitato un vertice Unione Europea – Ucraina al quale hanno partecipato non solo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ma anche numerosi commissari. Vertice dal quale Zelensky si aspettava “novità” per l’Ucraina sia nell’accelerazione del percorso di adesione all’UE che in termini di aiuti. Zelensky ha inoltre fatto appello all’Unione Europea perché adotti “più rapidamente” nuove sanzioni contro la Russia. Aggiungendo: “Tanto più velocemente il compito di fornire nuove armi all’Ucraina verrà svolto, tanto più vicini saremo a sconfiggere l’invasione russa”. Non mancando di sottolineare che la posta in gioco va oltre la questione ucraina: “La Russia sta concentrando le sue forze, lo sappiamo tutti. Vuole vendicarsi non solo dell’Ucraina, ma anche dell’Europa libera”. Per il presidente ucraino “la Russia vuole prendersi l’Est. Non possiamo rilassarci. La nostra resistenza dipende dalle armi e dalla motivazione”.
Non priva di enfasi retorica ma chiara – rivolta ai russi oltre che agli ucraini – l’affermazione di Michel: “L’Ucraina è l’Europa e l’Europa è l’Ucraina. Non siamo intimiditi dal Cremlino. Il futuro dell’Ucraina è nell’UE”.
9.Nel supermarket delle armi è giunto il turno degli aerei da combattimento
Sarà soddisfatta nei prossimi mesi anche la sempre più pressante richiesta di aerei di combattimento che Zelensky avanza un giorno sì e l’altro pure? Non lo sappiamo, dipende dall’evoluzione che il conflitto assumerà sul terreno nelle settimane della prevista offensiva russa che potremmo definire in base alle date e a come andranno le cose offensiva “dell’anniversario” oppure “di inizio primavera”. Con una variabile fondamentale da gettare sul piatto della bilancia: occorrono non mesi ma anni per addestrare come si deve un pilota di cacciabombardieri sofisticati e costosi dell’ultima o penultima generazione! E con una seconda considerazione sulla quale, come per la precedente, poca attenzione abbiamo rilevato sia nelle notizie che nei commenti. Nello sterminato territorio russo sono in servizio e nei depositi stazionano nel complesso quasi 14.000 carri armati. In gran parte obsoleti, di una o due generazioni precedenti rispetto al Leopard 2 tedesco e all’Abrams americano. Comunque balza subito agli occhi la sproporzione rispetto alle poche centinaia di carri armati che l’Occidente consegnerà a Kiev. Anche a non perdere di vista che Mosca non può sguarnire le sue caserme e i suoi confini in Europa e in Asia. Né dispone delle risorse finanziarie e probabilmente neppure di un adeguato numero di carristi per schierare e concentrare nel teatro ucraino se non tutti i 14.000 carri diciamo almeno la metà o i due terzi. Anche a rilevare che superiorità numerica non significa superiorità qualitativa: gran parte dei più numerosi carri russi, meno potenti come gittata e corazzatura, sarebbero facilmente soccombenti nello scontro diretto con i più moderni tank occidentali. Altre fonti invece sostengono una verità ben diversa: la Russia disporrebbe "solo” di circa 4.000 carri armati operativi, di cui già la metà sarebbero stati distrutti o catturati dall’esercito ucraino.
Andiamo allora al riepilogo che della situazione traccia un redazionale di “Analisi Difesa” il 2 febbraio scorso. Titolo: “Aerei da combattimento, munizioni a lungo raggio, carri armati e altre armi per l’Ucraina”:
“Gli Stati Uniti stanno approntando un pacchetto di più di 2 miliardi di dollari di aiuti militari per l’Ucraina che dovrebbero includere per la prima volta razzi a lungo raggio, oltre ad altre munizioni e armi: lo riportava ieri l’agenzia Reuters.
Si tratterebbe di Ground Launched Small Diameter Bombs (GLSDB), razzi a guida Gps prodotti da Boeing e Saab e lanciabili dagli MLRS HIMARS che possono colpire obiettivi a più di 150 chilometri di distanza, circa il doppio rispetto alla portata di 80 chilometri dei razzi impiegati finora dai lanciarazzi campali multipli donati all’Ucraina dagli Stati Uniti e da altri paesi NATO.
L’annuncio degli aiuti dovrebbe avvenire già questa settimana. Il pacchetto includerebbe anche attrezzature di supporto per i sistemi di difesa aerea Patriot, munizioni a guida di precisione e armi anticarro Javelin.
Negli ultimi giorni il dibattito sulle forniture militari è stato incentrato sulla richiesta ucraina di aerei da combattimento, preferibilmente F-16 come hanno affermato fonti dell’Aeronautica Ucraina.
Yurii Ihnat, portavoce della forza aerea ha detto sul canale televisivo francese La Chaîne Info che l’Ucraina ha bisogno di 200 caccia F-16 per proteggere i cieli e sostituire i suoi velivoli obsoleti di fabbricazione sovietica. “Dobbiamo creare fino a cinque brigate di aerei tattici con un unico tipo di velivolo multiruolo di tipo occidentale. Ora si sta determinando quale tipo sarà e l’F-16 è il candidato più probabile. Ovviamente non possiamo riceverli tutti in una volta”, ha aggiunto Ihnat, “il passaggio graduale a un nuovo jet multiuso richiede tempo”.
Il 28 gennaio lo stesso portavoce aveva detto in un’intervista con El Pais citata dal Kyiv Independent che il suo Paese aspira a ottenere dagli alleati occidentali 24 caccia moderni. La consegna ideale sarebbe di F-16 statunitensi, ma in subordine Kiev accetterebbe volentieri anche i francesi Rafale o gli svedesi Gripen prodotti dalla Saab, ha precisato il portavoce.
Caute le reazioni in Occidente, almeno per ora. Il presidente statunitense Joe Biden ha detto che gli USA non forniranno i caccia F-16 che l’Ucraina ha richiesto rispondendo “no” a una domanda in merito posta dai giornalisti alla Casa Bianca.
Non ci sono colloqui in corso a Varsavia per l’invio dei caccia F-16 all’Ucraina ha detto Wojciech Skurkiewicz, vice ministro della Difesa polacco.
“Al momento non ci sono discussioni ufficiali sul trasferimento di F-16”, ha affermato Skurkiewicz. Il capo dell’Ufficio del presidente ucraino, Andriy Yermak, aveva scritto su Telegram che l’Ucraina ha avuto “segnali positivi” dalla Polonia sull’invio di alcuni dei suoi 48 F-16 a Kiev.
Londra ha respinto la richiesta dell’ex premier Boris Johnson di inviare dei caccia all’Ucraina. “Ci vorrebbero anni per addestrare un pilota a operare a bordo di caccia britannici” ha spiegato un portavoce citato dai media britannici, ribadendo che l’attenzione del governo di Londra rimane su “come aiutare l’Ucraina a difendere il proprio Paese e organizzare una controffensiva quest’anno”.
Il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che sebbene la Francia non abbia ricevuto alcuna richiesta dall’Ucraina di inviare aerei da combattimento, “nulla è vietato in linea di principio”.
Anche il ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, ha escluso l’invio di aerei da combattimento in Ucraina: “E’ fuori discussione”, ha chiarito in una intervista al quotidiano Suddeutsche Zeitung.
“Le linee rosse riguardanti i rifornimenti bellici all’Ucraina dovrebbero essere superate e, nel complesso, molte linee rosse sono già state superate” ha affermato il presidente lituano Gitanas Nauseda nel corso di un’intervista alla televisione di stato, auspicando che “anche la linea rossa” sui caccia e missili a lungo raggio richiesti da Kiev “venga attraversata”.
“I caccia e i missili a lungo raggio sono un’assistenza militare di base, e in questo in una fase cruciale della guerra, quando si prevede una svolta, è fondamentale agire immediatamente”, ha sottolineato Nauseda.
Resta il fatto che addestrare piloti e tecnici su velivoli occidentali richiederà molto tempo e che sarà difficile poter istituire una catena logistica di supporto per F-16, Rafale o Gripen in territorio ucraino, totalmente esposto agli attacchi russi. Infine, considerate le richieste ucraine per circa 200 velivoli, i costi per i velivoli, le armi e l’addestramento saranno molto elevati.
Oggi il New York Times, citando funzionari statunitensi ed europei, evidenzia come gli F-16 richiesti dall’Ucraina potrebbero essere forniti da Danimarca e Paesi Bassi, che stanno radiando i vecchi F-16A/B, AM/BM in vista della loro sostituzione con i nuovi F-35A. I Paesi Bassi ne schierano ancora una quarantina e la Danimarca una trentina.
Continua anche la “colletta” degli stati membri della NATO per fornire nei prossimi mesi carri armati di tipo occidentale all’esercito ucraino. Oltre alle forniture già note, la Spagna invierà inizialmente tra i quattro e i sei carri armati Leopard 2A4 in Ucraina secondo quanto rivelato da El Pais, aggiungendo che la cifra finale dipenderà dallo stato dei 53 carri armati immagazzinati da un decennio presso il Gruppo di supporto logistico numero 41 a Saragozza, la cui urgente riabilitazione è in fase di negoziazione dal ministero della Difesa con l’azienda Santa Barbara.
Nell’estate scorsa Madrid aveva già definiti non conveniente intervenire su questi mezzi a causa delle pessime condizioni di manutenzione. Non si può escludere l’ipotesi che la Spagna rimetta in condizioni operative solo alcuni tank e utilizzi gli altri per recuperare pezzi di ricambio. La Spagna invierà inoltre in Ucraina una ventina di veicoli cingolati trasporto truppe M113, da tempo radiati dai ranghi dell’Ejercito de Tierra.
La Croazia – continua l’articolo di “Analisi Difesa” - potrebbe offrire alcuni dei 75 carri M-84, versione jugoslava migliorata del T-72, la Grecia invece ha reso noto che non fornirà carri armati Leopard (il suo esercito dispone di 500 Leopard 1 e 350 Leopard 2) a causa delle tensioni con la Turchia. Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis durante una visita in Giappone ha detto che “non invieremo i Leopard-2 per il semplice motivo che sono assolutamente necessari per la nostra strategia di difesa”.
I 14 carri armati Challenger 2 donati dal Regno Unito arriveranno in Ucraina prima dell’estate, ha dichiarato il segretario alla Difesa di Londra, Ben Wallace. “Sarà prima dell’estate, maggio, probabilmente verso Pasqua”. La scorsa settimana il Regno Unito aveva preannunciato l’invio dei tank entro fine di marzo.
Il 30 gennaio sono arrivati in Gran Bretagna i militari ucraini che dovranno addestrarsi all’impiego dei Challenger 2. “Gli equipaggi dei carri armati ucraini sono arrivati nel Regno Unito per iniziare l’addestramento”, ha annunciato su Twitter il ministero della Difesa britannico, che ha pubblicato foto di militari ucraini che scendono da un aereo della Royal Air Force.
Come riferito dall’ambasciatore ucraino in Francia, Vadym Omelchenko, l’Occidente ha ufficialmente approvato “la fornitura di 321 carri armati all’Ucraina”. Una cifra che si avvicina a quella rivendicata dal comandante in capo delle Forze armate ucraine, Valery Zaluzhny, il quale aveva affermato che per portare a termine una nuova offensiva l’Esercito ha bisogno di almeno 300 carri armati.
Il 31 gennaio però il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, aveva dichiarato che l’Ucraina riceverà fino a 140 carri armati da 12 partner stranieri. “Posso solo notare che nella prima ondata di contributi, le forze armate ucraine riceveranno da 120 a 140 unità di moderni carri armati di modelli occidentali. Sono Leopard 2, Challenger 2 e M1 Abrams, contiamo anche molto su Leclerc”, ha detto Kuleba.
Il gap tra i 140 tank annunciati da Kuleba e i 321 resi noti da Omelchenko verrà probabilmente colmato da T-72 ceduti dal Marocco (90/120) e da30/60 PT-91 Twardy polacchi (T-72 aggiornati).  Il governo danese intende acquistare i carri armati Leopard 1A5 dismessi 13 anni or sono dall’esercito danese stesso, ripristinarne le condizioni operative, pararli e trasferirli in Ucraina.
Il direttore delle vendite della società tedesca Flensburger Farhzeugbau Gesellschaft (FFG) Thorsten Peter ha dichiarato che Copenaghen ha deciso di riacquistare alcuni dei carri armati Leopard 1 che le forze armate hanno venduto alla società nel 2010. La FFG dispone di 99 carri armati Leopard 1A5 ex danesi immagazzinati a Flensburg.
“Non abbiamo ancora iniziato con le riparazioni ma abbiamo effettuato un’ispezione. Siamo giunti alla conclusione che possiamo avere 20 tank riparati e pronti per la spedizione entro tre mesi e altri 20 in sei mesi”, ha spiegato Peter. L’operazione deve essere approvata da Berlino.
Secondo il Washington Post il presidente Joe Biden ha annunciato la fornitura di carri armati M1A2 Abrams all’Ucraina al solo fine di superare le esitazioni della Germania, e convincerla a inviare subito a Kiev i suoi carri armati Leopard. I carri armati promessi dagli Stati Uniti, poco adatti al teatro di battagli ucraino a causa della loro complessità’ e dei consumi elevati, non arriveranno in Ucraina prima della fine del 2023.
Sul tema è intervenuto ieri anche il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan sostenendo che le forniture di carri armati a Kiev non stanno contribuendo alla risoluzione del conflitto ucraino. “Non posso dire che l’invio di carri armati sia uno degli elementi della risoluzione del conflitto. Questa è un’attività rischiosa, è vantaggiosa per i trafficanti di armi”, ha detto Erdogan in un’intervista.
Le autorità di alcuni oblast (regioni) della Siberia hanno preso sul serio la proposta di una società privata russa di mettere una “taglia” sui carri Leopard 2 con un’iniziativa che prevede di donare ampi appezzamenti di terreno sul Lago Baykal a ogni militare russo che distruggerà un carro armato Leopard. Iniziativa tra l’ironico e il propagandistico che sembra risultare gradita al Cremlino. Il portavoce Dmitry Peskov, citato dall’agenzia di stampa RIA Novosti, ha detto che “i carri armati occidentali bruceranno, e grazie alle ricompense dal mondo imprenditoriale e dalle regioni crescerà il numero degli entusiasti”.
Così riprende “la lista della spesa” composta da “Analisi Difesa”: “Parigi ha offerto a Kiev altri 12 obici semoventi CAESAR (18 già forniti da Parigi, 19 in arrivo dalla Danimarca). La commessa verrà finanziata nell’ambito del fondo di sostegno di 200 milioni di euro per l’Ucraina istituito da Parigi.
Il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov, ha annunciato la firma di un memorandum con il suo omologo francese, Sebastien Lecornu, ed il gruppo Thales per la fornitura di radar Mg-200 a Kiev. “Questi equipaggiamenti ci aiuteranno a individuare droni e missili nemici, compresi quelli balistici. I nostri cieli saranno protetti dagli attacchi mortali della Russia”, ha dichiarato Reznikov su Twitter. Il ministro Lecornu ha poi annunciato l’invio di “150 militari francesi” in Polonia per addestrare “fino a 600 soldati ucraini al mese”.
Inoltre, Francia e Australia hanno annunciato la produzione congiunta di obici per l’Ucraina. “Fabbricheremo in comune numerose migliaia di obici da 155 mm.”, ha dichiarato il ministro della Difesa francese Sebastien Lecornu, in una conferenza stampa a Parigi assieme al collega australiano Richard Marles. Quest’ultimo ha parlato di un progetto “da molti milioni di dollari (australiani)”.
Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha confermato in un’intervista che “siamo pronti a inviare armi difensive, non invieremo mai armi offensive” spiegando che “non ci saranno carri armati italiani”.
La missione di assistenza militare dell’Ue EuMam “addestrerà altri 15mila soldati ucraini, portando il numero totale di personale addestrato da EuMam a 30mila”. Ne ha dato notizia via social l’Alto Rappresentante dell’Ue Josep Borrell, a Kiev insieme a diversi membri del collegio dei commissari, guidati dalla presidente Ursula von der Leyen. Borrell ha inoltre annunciato al primo ministro che “l’Ue fornirà 25 milioni di euro per sostenere gli sforzi di sminamento nelle aree a rischio”.
Intanto 70 militari ucraini sono giunti in Germania per essere addestrati all’utilizzo dei sistemi per la difesa aerea Patriot. Le attività di formazione hanno preso il via oggi, come riferisce il quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung”. Berlino ha deciso di fornire all’Ucraina una batteria di Patriot.
La Radiotelevisione lituana ha lanciato una raccolta fondi per l’acquisto di radar a difesa della popolazione ucraina. La raccolta fondi – denominata “Radarom!” – durerà quattro settimane e vedrà, tra i vari eventi, un concerto conclusivo il 24 febbraio, primo anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. Nel corso dei primi due giorni, si è registrata una grande risposta da parte della popolazione che ha donato due milioni di euro.
Le forze ucraine prevedono di investire 500 milioni di euro nel 2023 per dotarsi di droni. Lo annuncia su Facebook il ministro della Difesa Oleksii Reznikov, secondo quanto riferisce Sky News Uk. “Nel 2023 aumenteremo la dotazione di droni per le forze armate”, scrive il ministro, parlando di un investimento 20 miliardi di grivnie e 16 contratti di fornitura già firmati. L’Ucraina ha già ricevuto un significativo quantitativo di droni dalla Turchia (Bayratkar TB2 dotati di missili) e Norvegia (Black Hornet da ricognizione), ma ora intende aumentare la produzione interna.
Il ministero della Difesa ha ordinato 105 droni da ricognizione Vector dalla società tedesca Quantum-Systems GmbH. Secondo l’annuncio dell’azienda, la fornitura sarà finanziata dal governo tedesco, riferisce Ukrinform. “Quantum-Systems GmbH … annuncia la richiesta di 105 droni da ricognizione aggiuntivi con una lunga durata di volo del tipo Vector per il supporto delle forze armate ucraine, finanziato dal governo tedesco”, fa sapere la società. Kiev ne aveva già ordinati 33 in agosto.
Sull’altro “lato della barricata” – conclude l’articolo - invece la Corea del Nord ha negato per l’ennesima volta di avere fornito armi a Mosca dopo che Washington l’ha accusata di avere consegnato razzi e missili alla società militare privata russa Wagner.
La scorsa settimana, il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca, John Kirby, ha rilasciato filmati dell’intelligence statunitense che mostravano vagoni ferroviari russi di ritorno dalla Corea del Nord carichi di container di cui Washington ipotizzava contenessero equipaggiamento militare.
Ieri un alto funzionario del governo nordcoreano ha denunciato “uno stupido tentativo di giustificare” futuri invii di armi all’Ucraina da parte di Washington, che giovedì ha promesso 31 carri armati Abrams a Kiev. Citato dall’agenzia di stampa ufficiale KCNA, il direttore generale del dipartimento per gli affari nordcoreani americani, Kwon Jong Gun, ha respinto questa “voce strombazzata” ed ha avvertito gli Stati Uniti si esporranno a un “risultato davvero indesiderabile” se continueranno a diffondere queste notizie. “Cercare di offuscare l’immagine” della Corea del Nord “fabbricando qualcosa che non esiste è una seria provocazione che non può mai essere consentita e può solo innescare una reazione”.
Russia e Bielorussia hanno iniziato una settimana di addestramento del loro contingente regionale congiunto che vede schierati nel territorio bielorusso almeno 6mila militari russi con equipaggiamento pesante e velivoli da combattimento. Lo ha annunciato ieri il ministero della Difesa della Bielorussia, precisando che le esercitazioni serviranno a preparare le manovre congiunte che i due paesi svolgeranno a settembre in Russia.
Il presidente bielorusso Alexander Lukashenko ha dichiarato il 31 gennaio durante la visita in Zimbabwe che il suo Paese è disposto a offrire maggiore assistenza alla Russia nella guerra contro l’Ucraina pur aggiungendo che la Russia non ha bisogno di “alcun aiuto” in questo momento. Tuttavia, “se i nostri fratelli russi hanno bisogno di aiuto, siamo sempre pronti a offrirlo”.

10.Un’orgia di strumenti di morte. Non abbiamo già superato il punto di non ritorno?

Una vera e propria orgia di strumenti di morte. Ma a leggere di tutto questo costosissimo campionario di armi, sistemi d’arma, sigle, acronimi, nomi, modelli, versioni, così fornito di offerte per ogni esigenza da risultare problematico districarsi persino agli addetti ai lavori, a leggere di tutti questi paesi coinvolti, siamo sicuri di non aver abbondantemente superato il punto di non ritorno? Siamo sicuri che la slavina, la valanga, la frana incombente (chiamiamola come preferiamo) che incenerirà il pianeta – la Terza Guerra Mondiale – non si sia già staccata? E non stia accentuando ora dopo ora velocità e massa? A fronte di centinaia di indizi ed azioni di “aggravamento” non si registra un solo atto di “disgelo” della crisi mondiale che in Ucraina da un anno ha trovato l’epicentro più esplosivo.
Il 6 febbraio il Segretario generale della Nazioni Unite Antonio Guterres, sempre più impotente rispetto all’evolversi degli avvenimenti, ha lanciato un allarme sul rischio che un’ulteriore escalation della guerra tra Russia e Ucraina possa trascinare il mondo in una “guerra più ampia” e “al più alto rischio da decenni di una guerra nucleare”. "Le possibilità di ulteriore escalation e spargimento di sangue continuano a crescere", ha detto Guterres all'Assemblea dell'Onu. "Temo che il mondo non stia camminando come un sonnambulo in una guerra più ampia, temo che lo stia facendo con gli occhi ben aperti". (“Guterres: rischio di una guerra ampia” in “www.servizitelevideo.rai.it”, 6 febbraio 2023)
Non solo Ucraina. Non che altrove regni l’idillio. I rapporti tra USA e Cina si confermano sempre più conflittuali. Ci mancava nei giorni scorsi la “crisi del pallone aerostatico” cinese in volo sul territorio americano. Per la Cina si tratta solo di un pallone per rilevazioni meteorologiche. Andato abbondantemente fuori rotta, guarda un po’, proprio sugli Stati Uniti! Ne ha percorso di chilometri. Alla fine abbattuto sull’Atlantico su ordine personale di Biden non appena lasciato lo spazio aereo sopra il territorio americano. Per giunta con tanto di proteste di Pechino. Nessun dubbio a Washington sugli obiettivi. Spiare. A quanto si sostiene spiare siti nucleari Usa, in particolare un deposito di missili nucleari nel Montana.

11.Zelensky a Londra, Parigi, Bruxelles

L’8 febbraio il presidente Zelensky si reca a Londra e a Parigi. Seconda uscita dall’inizio del conflitto dopo il viaggio a Washington del 21 dicembre. In Gran Bretagna prima visita a un paese europeo: “Sono a Londra per ringraziare personalmente i britannici per il supporto e il premier Sunak per la leadership”. Sunak ha annunciato nuove sanzioni contro una quindicina tra aziende russe del ramo difesa e persone appartenenti alle “élite del Cremlino” ed ha detto che “obiettivo della Gran Bretagna è la vittoria militare ucraina”. Parlando poi davanti al Parlamento britannico, Zelensky ha ringraziato il Regno Unito per essere stato “al fianco dell’Ucraina dal giorno uno” della guerra contro la Russia. Ha sottolineato come l’ex premier Boris Johnson sia stato decisivo per Kiev. Ha elogiato il coraggio dei britannici: “Vi ripagheremo con la vittoria. Sappiamo che la libertà vincerà, sappiamo che la Russia perderà e che la nostra vittoria cambierà il mondo”. E ha insistito sulla richiesta di forniture di “aerei da combattimento”.
Poche ore dopo, a Parigi, a colloquio con il presidente francese Macron e con il cancelliere tedesco Scholz, Zelensky è tornato sull’argomento: “Prima l’Ucraina otterrà le armi pesanti, i nostri piloti otterranno aerei moderni, il nostro esercito i carri armati e prima potremo tornare alla pace in Europa”. Macron ha manifestato al leader ucraino “la solidarietà, il sostegno e la volontà di accompagnare l’Ucraina verso la vittoria, verso la pace e verso l’Europa”. (“Zelensky: Grazie a Gb per il sostegno”; Zelensky al Parlamento Gb: dateci i jet”; Zelensky a Parigi: armi e aerei per la pace” in “www.servizitelevideo.rai.it”, 8 febbraio 2023)
L’indomani, giovedì 9, il presidente ucraino pronuncia un discorso nell’emiciclo del Parlamento europeo.
“ "L'Ue è casa dell'Ucraina". Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è rivolto al Parlamento Europeo. Il leader della nazione aggredita dalla Russia di Putin è stato accolto dalla standing ovation dell'assemblea di Bruxelles e ha cominciato il suo intervento con il motto "Slava Ukraini" (gloria all'Ucraina). Il presidente dell'Ucraina ha poi pronunciato parole di grande vicinanza e senso di appartenenza della propria nazione ai valori dell'Unione Europea, minacciati dall'aggressione russa. "L'Europa significa libertà, questo è il nostro modo di vivere è questa è la casa dell'Ucraina", ha affermato Zelensky, che ha sottolineato come il suo Paese stia "combattendo contro la forza antieuropea più forte del mondo". Una "casa" che, dunque, "va difesa". Al centro dell'identificazione dell'Ucraina nel modello Ue, Zelensky ha citato "lo stile di vita europeo, gli standard europei di vita dove ognuno ha un valore, e dove vive lo Stato di diritto e la società è aperta, dove la diversità è un valore e i confini non sono violati".
Zelensky è poi entrato nel merito della guerra, sottolineando come l'obiettivo della Russia non sia soltanto quello di distruggere il modello ucraino, ma anche quello europeo nel suo complesso. Proprio per questo motivo la vittoria dell'Ucraina deve diventare "un imperativo" anche per l'Ue.
"Questa guerra totale non è solo una guerra per conquistare territori, ma è una minaccia caratterizzata da un dittatore con riserve massicce di armi sovietiche e di armi di altri regimi, come quello iraniano", ha aggiunto il presidente ucraino. "Per poter combattere questa guerra, passo dopo passo, anno dopo anno, il Cremlino ha cercato di distruggere i nostri valori europei, il valore della vita umana, che è stato ucciso anche in Russia dalle autorità. La vita di nessuno ha valore se non quella dei membri del Cremlino: 140 milioni di cittadini russi sono solo corpi per il Cremlino".
Il presidente dell'Ucraina ha poi concluso il suo intervento ringraziando l'Unione Europea per il sostegno alla lotta degli ucraini. "A sei giorni di distanza dall'inizio dell'invasione, il Parlamento europeo ha votato una risoluzione non solo per sostenere la nostra lotta ma per anche il nostro status di candidato all'Ue. Questo ci ha motivato ad essere ancora più forti e determinati a resistere: “Grazie", sono state le sue parole.” (“SkyTG24” “Zelensky al Parlamento europeo: “UE casa dell’Ucraina” “, 9 febbraio 2023)
Questa la ricostruzione che dell’intervento fa “Euronews” (“Zelensky al parlamento europeo accolto come un eroe” in “www.euronews.com”, 9 febbraio 2023):
“Si commuove il presidente ucraino Volodymyr Zelensky accolto con un'ovazione dai parlamentari europei a Bruxelles. Dove chiude il tour europeo chiedendo altre armi perché la difesa dell'Ucraina dall'invasore russo è la difesa dell'Europa stessa.
La padrona di casa, la presidente Roberta Metsola ha ribadito: "L'Ucraina è Europa e il suo futuro è nell'Unione europea: il passo successivo che deve essere intrapreso dagli Stati è dare all'Ucraina caccia e sistemi di difesa a lungo raggio per difendere la libertà che in molti hanno data per scontata. Siamo con voi e lo saremo fino a quando ne avrete bisogno. La libertà prevarrà, la pace regnerà e voi vincerete". 
Il presidente ucraino ha ribadito il concetto, "L'aggressione della Russia deve finire il prima possibile, dobbiamo rafforzare la dinamica della nostra cooperazione militare, dobbiamo essere più veloci dell'aggressore".  
"Riteniamo che i prossimi passi che vanno compiuti siano le sanzioni contro l'industria dei droni e dei missili della Russia perché i droni resteranno la minaccia principale", ha dichiarato Volodymyr Zelensky.
L'Unione europea stima in "almeno" 67 miliardi di euro il loro sostegno militare, finanziario e umanitario dato a Kiev dall'inizio del conflitto.
Zelensky, che ha viaggiato da Parigi sul Falcon del presidente francese Emmanuel Macron, sta continuando un mini-tour europeo iniziato mercoledì. Si tratta del suo secondo viaggio all'estero dall'inizio del conflitto. A dicembre era stato negli Stati Uniti”.
A proposito della cena di lavoro della sera prima a Parigi di Macron, Scholz e Zelensky non è mancata la reazione piccata della premier italiana, non invitata né informata. «Francamente mi è sembrato più inopportuno l'invito (di Macron a Parigi, n.d.r.) a Volodymyr Zelensky di ieri, perché credo che la nostra forza in questa vicenda sia l'unità e la compattezza. Io capisco il fatto di privilegiare le proprie opinioni pubbliche interne, ma ci sono momenti nei quali privilegiare la propria opinione pubblica interna rischia di andare a discapito della causa. E questo mi pare che fosse uno di quei casi», ha detto Giorgia Meloni nel punto stampa arrivando per l'apertura dei lavori del Consiglio europeo. Secca e immediata la replica di Macron: «Non ho commenti da fare» sulle dichiarazioni della Meloni; «ho voluto ricevere il presidente Zelensky con il cancelliere Scholz, penso che eravamo nel nostro ruolo. La Germania e la Francia, come sapete, hanno un ruolo particolare da otto anni sulla questione» dell'Ucraina, «perché abbiamo anche condotto insieme questo processo. Penso che stia anche a Zelensky scegliere il formato che vuole». E poche ore dopo in conferenza stampa Meloni aggiungeva: “Se fossi stata invitata a Parigi gli avrei detto di non fare la riunione con Scholz e Zelensky. Si è indebolita l’immagine di UE unita. L’Italia deve dire se qualcosa non va. Con Macron ci siamo stretti la mano”. L’Italia isolata? “A Parigi erano in due (dell’Unione Europea, n.d.r.). Mancavano in 25”. In effetti stavolta l’indispettita presidente del Consiglio italiana non ha tutti i torti. Ciclicamente si appalesa, a volte ricomponendosi dopo parentesi nelle quali viene meno praticata, una salda concezione - ormai storica - che potremmo definire “carlomagnesca” o “carolingia”: l’asse franco-tedesco nella UE. Già il “vizietto” parigino-berlinese infastidisce per temi meno critici. Diventa insopportabile quando sul tappeto il tema è la guerra e con quali mezzi militari combatterla.
Alla conclusione del Consiglio dei capi di stato e di governo alle 3 della notte tra il 9 e il 10 febbraio, al quale ha partecipato Zelensky prima di volare a Varsavia per poi rientrare a Kiev, emerge però una frenata sulla richiesta di jet militari. Condivisa forse con troppo slancio dalla presidente del Parlamento europeo Metsola ma affrontata con maggiore cautela dai leader degli Stati europei nella riunione del Consiglio. Come scrive l’Ansa (“Vertice UE frena su jet a Kiev, intesa su aiuti di Stato”, 10 febbraio 2023)”, “(…) l'appuntamento di febbraio ha avuto un solo vero protagonista: Volodymyr Zelensky. Il presidente ucraino tuttavia non torna a Kiev con il bottino pieno: "è impossibile consegnare gli aerei all'Ucraina a breve", ha spiegato Emmanuel Macron.
La frenata della Francia è significativa anche perché arriva dopo il vertice a tre all'Eliseo tra Macron, Olaf Scholz e Zelensky. E' a loro due che Kiev puntava innanzitutto per trainare l'Europa verso l'invio dei jet di cui l'Ucraina ritiene di avere assoluto bisogno.
In conclusione, tuttavia, il pressing dei Baltici e della Polonia non ha trovato il consenso necessario tanto che anche Ursula von der Leyen e Charles Michel sono rimasti prudenti. (…)”.
La risposta russa allo storico viaggio del presidente ucraino nelle quattro capitali europee consiste nella giornata del 10 in un innalzamento del livello dell’aggressione: sull’intera Ucraina ripetuti attacchi con cacciabombardieri, droni, missili balistici lanciati dalla Crimea e dalla flotta russa del Mar Nero. Colpite al solito anche infrastrutture energetiche. A Kiev gli abitanti tornano a ripararsi nella metropolitana. E oltre alla risposta militare due chicche per il livello delle argomentazioni di due araldi del regime. Il ministro degli Esteri Serghei Lavrov che prova a recitare - non sempre con successo - la parte del poliziotto buono, legge la storia a proprio uso e consumo in una dichiarazione riporta dall’agenzia “RIA Novosti”: “Coloro che hanno deciso di infliggere una sconfitta strategica alla Russia, hanno deciso di adottare la triste esperienza di Napoleone e Hitler. Dichiarando apertamente l'obiettivo di distruggere la Russia o indebolirla il più possibile, le loro richieste per lo smembramento della nostra patria stanno diventando sempre più forti. Ma è chiaro che non solo sopravviveremo ma usciremo da questo confronto ancora più forti". In realtà se c’è qualcosa che l’Occidente teme di più è proprio lo smembramento della Russia con la dispersione del suo arsenale atomico in stati e staterelli fuori controllo. Il poliziotto cattivo per antonomasia Dmitri Medvedev a sua volta sentenzia sul suo canale Telegram che il presidente degli Stati Uniti Biden mostra segni di "demenza" senile e questo mette in pericolo il mondo intero perchè "per distrazione" Biden potrebbe iniziare la Terza guerra mondiale.

12.Putin riscrive la storia: i russi sono di nuovo attaccati dai nazisti come negli anni della Seconda guerra mondiale

Nella corsa parossistica verso l’autodistruzione della specie umana, e non solo della specie umana, tutto fa brodo, tutto torna. Si rispolverano le gesta e persino gli idoli impresentabili del passato. Per la serie “Dio fa gli esseri e tra di loro si accoppiano” succede così che Vladimir Putin – gettando sempre più la maschera – celebri “indirettamente” Iosif Stalin. Da cui il nuovo zar dovrebbe essere ideologicamente lontano. Invece ne è erede, continuatore. Chissà, probabilmente anche ammiratore. L’ideologia in Russia conta poco se non nulla, consideriamola solo carta nella quale avvolgere o confezionare il potere. Un pretesto con il quale ammantare secolare aggressività, espansionismo, assoggettamento di territori, nazioni e popoli. A Mosca infatti cambiano le ideologie ed i sistemi politici. Decennio dopo decennio salvo brevi parentesi però non cambia la condotta nei confronti dei paesi o delle etnie che portano addosso storicamente quasi una condanna: la croce di ritrovarsi ai confini della Russia. Anche se Vladimir Putin furbescamente, come leggeremo tra poco, si sottrae ad esporsi di persona alle “celebrazioni” della vittoria di Stalingrado che hanno anche portato - nel 2023 e dopo tutti gli eccidi e le deportazioni in Siberia ordinati da Stalin - a inaugurare nella città un nuovo busto al sanguinario padrone dell’Unione Sovietica dal 1922 al 1953. Questa è la nuova Russia modellata da Putin!
Facciamo un passo indietro di una settimana rispetto al tour del presidente Ucraino in Regno Unito, Francia, Belgio. Nell’80esimo anniversario della vittoria sovietica nella battaglia di Stalingrado sui tedeschi, infatti, il Presidente della Federazione russa si reca nella città, ribattezzata nel 1961 Volgograd. “In una Volgograd rattoppata il presidente russo parla di vittoria in Ucraina e fa capire che, non riuscendo a conquistarla, la pretende minacciando”. (Micol Flammini “Ottant’anni dopo. La giornata di Putin nel teatro Stalingrado” in “Il Foglio quotidiano”, 3 febbraio 2023).
Ma ecco parole e narrazione – tutta a senso unico – di Putin nella ricorrenza:
“ "La Russia è di nuovo minacciata dai panzer tedeschi". Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin a Volgograd, la ex Stalingrado, dove ha partecipato alla commemorazione dell'ottantesimo anniversario della battaglia vinta dalle truppe sovietiche su quelle naziste.
Il leader del Cremlino ha parlato del coinvolgimento dell'Europa nella guerra in Ucraina, soffermandosi sulla Germania: "Coloro che spingono la Germania in una nuova guerra e si aspettano di vincere sul campo di battaglia non capiscono che la guerra moderna con la Russia sarebbe un'altra cosa", ha detto Putin, affermando che il suo Paese è sotto "la minaccia diretta" del nazismo e che Mosca è "costretta a respingere l'aggressione dell'Occidente collettivo. La Russia ha fiducia in sé, nel fatto di essere nel giusto e nella vittoria. La continuità di generazioni, valori, tradizioni: tutto questo è ciò che ci distingue, ci rende forti e fiduciosi in noi stessi, nella nostra ragione e nella nostra vittoria".
Putin nel suo discorso ha citato i carri armati Leopard e il fatto "incredibile, ma è un fatto: siamo di nuovi minacciati dai carri armati tedeschi, i Leopard, con i noti emblemi a forma di croce sulle loro piastre corazzate. Alcuni stanno per combattere di nuovo con la Russia sul suolo dell'Ucraina. Abbiamo però qualcosa da rispondere a coloro che la minacciano. Una guerra contro la Russia oggi non finirebbe con l'uso di carri armati. Nonostante gli sforzi della propaganda ufficiale, di natura venale, delle élite occidentali che ci sono ostili, abbiamo molti amici in tutto il mondo, anche nel continente americano, in Nord America e in Europa".
Sul ricordo della Seconda guerra mondiale e dello scontro a Stalingrado con i nazisti, il presidente russo ha osservato che la battaglia simbolo sul suolo russo avvenne non solo per garantire la sopravvivenza della "città, ma per l'esistenza di un paese tormentato ma invitto". Putin ha affermato che quello scontro determinò l'esito "non solo della grande guerra patriottica, ma dell'intera seconda guerra mondiale. Come è successo più di una volta nella nostra storia, ci siamo mobilitati in una battaglia decisiva e abbiamo vinto. La battaglia di Stalingrado è giustamente passata alla storia come una svolta radicale nella grande guerra Patriottica. Il nazismo nella sua forma moderna è un pericolo per il Paese. La Russia è costretta a respingere l'aggressione dell'Occidente nel suo complesso". (“Putin: Russia di nuovo minacciata dai panzer tedeschi. "Sappiamo come rispondere" ” in “Quotidiano Nazionale” ,2 febbraio 2023)
Osserva sempre il 2 febbraio sullo stesso “Quotidiano Nazionale” Marta Ottaviani in un illuminato commento intitolato “Dalla battaglia coi nazisti al (nuovo) busto di Stalin: Mosca riscrive il presente”:
“La Russia celebra l’ottantesimo anniversario della battaglia di Stalingrado, quando l’Armata Rossa respinse le truppe naziste, dopo combattimenti estenuanti, durati sette mesi che cambiarono le sorti del fronte orientale della Seconda Guerra mondiale. Ma mai come quest’anno l’evento è caratterizzato da retorica nazionalista e riscrittura del passato. Alla vigilia della commemorazione, a Volgograd, come si chiama dal 1961 la città nel sud della Russia teatro del combattimento e per questo un tempo detta Stalingrado, è stato inaugurato un busto a Josif Stalin. Il dittatore, che ha sulla coscienza milioni di morti, perseguitati politici e di cui, dopo la dissoluzione dell’URSS sono state fatte sparire le statue da tutte le città del Paese, da anni è oggetto di una revisione, spinta soprattutto dal presidente russo, Vladimir Putin.
Il monumento si trova vicino al museo dedicato alla battaglia che il Cremlino sta utilizzando anche come un’arma di propaganda per la guerra in Ucraina.
Il partito di governo, Russia Unita, lo stesso del capo dello Stato, ha dato istruzioni perché la ricorrenza storica venga messa in relazione all’operazione militare speciale contro Kiev. Un ribaltamento della realtà storica e fattuale che assume contorni inquietanti. Putin vuole fare leva sul valore simbolico che la ricorrenza assume ancora oggi, in vista della nuova mobilitazione che verrà indetta in primavera e con la quale spera di ribaltare le sorti della guerra.
La differenza enorme è che questa volta è la Russia che sta invadendo e che le truppe ucraine non sono guidate dalla dottrina antisemita e xenofoba che aveva ispirato il nazionalsocialismo. Il piano di Mosca è quello di fare passare agli occhi dell’opinione pubblica internazionale la Russia come un perseguitato dall’Occidente e costretto a difendersi.
Per quanto riguarda la situazione interna, si procede, oltre che con la propaganda, anche con un’attività di indottrinamento che parte dalle generazioni più giovani. Dopo aver istituito ore di lezione per aumentare il patriottismo e spiegare il significato dell’operazione militare speciale in Ucraina, la Duma ha chiesto alle scuole di introdurre insegnamenti per riuscire a riconoscere le notizie false riportate sul Paese e la russofobia. Quindi – ecco la sconsolata conclusione della Ottaviani - a non saper riconoscere la verità”.
In questa narrazione storica revisionista tutta ad uso e consumo del Cremlino e dell’indottrinamento forzato dei russi, in particolare delle fasce giovanili e/o meno anziane della popolazione, si inserisce immancabilmente l’insistente “minaccia nucleare”. Ancora un contributo tratto dal “Quotidiano Nazionale”, particolarmente attento a seguire nella circostanza il “putinpensiero” e le mosse del presidente della Federazione russa:
“Panzer tedeschi che combattono contro la Russia, il nazismo che minaccia ancora "direttamente" Mosca, questa volta per mano degli ucraini. Gli incubi della Seconda guerra mondiale riprendono vita nella ex Stalingrado. A evocarli è Vladimir Putin, che li ingigantisce con il richiamo alle armi ben più potenti che oggi il suo Paese ha a disposizione. L’occidente, tuona lo zar, non si rende conto che "una guerra moderna con la Russia sarebbe un’altra cosa" rispetto a 80 anni fa e che un tale conflitto non finirebbe con l’uso dei carri armati. Oggi, avverte dicendosi convinto di vincere, "abbiamo qualcosa con cui rispondere".
Inevitabilmente il pensiero corre alla guerra nucleare, e qualche giornalista russo chiede spiegazioni al portavoce del Cremlino, che si incarica di correggere il tiro. "Man mano che appaiono nuove armi fornite dall’occidente collettivo, la Russia utilizzerà il suo potenziale esistente in modo più completo", è l’esegesi di Dmitry Peskov, al seguito del presidente in una visita dall’altissimo valore simbolico a Volgograd, già Stalingrado appunto, per celebrare l’80esimo anniversario della vittoria sovietica sulle truppe naziste del feldmaresciallo Fredrich von Paulus. Per Putin non ci poteva essere occasione più ghiotta per rispondere all’invio dei carri armati tedeschi Leopard alle truppe di Kiev. "È incredibile, ma è un fatto: siamo di nuovo minacciati dai carri armati tedeschi coi noti emblemi a forma di croce sulle loro piastre corazzate", ha esclamato il leader russo intervenendo al concerto per commemorare la storica battaglia. Putin era arrivato nel pomeriggio, rimanendo dunque assente alla parata militare – con la presenza anche di alcuni veterani quasi centenari – svoltasi in mattinata. E soprattutto alla cerimonia con cui ieri era stato inaugurato un busto di Stalin.
Ma è chiaro che, nella sua visione, la Storia rischia tragicamente di ripetersi: "Ci sono tentativi di spingere l’Europa, Germania compresa, alla guerra con la Russia", ha avvertito proprio nel giorno in cui i vertici della Ue sono arrivati a Kiev con in dono nuovi aiuti militari. Anche Serghei Lavrov è tornato a presentare il conflitto in Ucraina come una sfida esistenziale per Mosca, riproponendo il parallelo già usato con l’Olocausto. L’occidente, ha affermato il ministro degli Esteri, punta a "una soluzione finale della questione russa". "Tutta la Nato combatte contro di noi", ha aggiunto Lavrov, dicendosi sicuro che però la Russia saprà resistere e uscire "più forte" da questa situazione”. (“Putin celebra la vittoria di Stalingrado E minaccia: "Abbiamo armi pericolose" in “Quotidiano Nazionale”, 3 febbraio 2023)
A dare manforte al suo padrone, quando c’è da fare ricorso alle minacce di uso dell’arma nucleare, scende in campo il solito Medvedev, una delle persone più sgradevoli dell’oligarchia russa. Ex colomba, ora superfalco. In realtà somiglia piuttosto, per restare alle esemplificazioni ornitologiche, a certi pappagalli visti in parecchi film brillanti: colorati pennuti che conoscono e ripetono sempre una sola parola o una sola espressione. Scrive Gianluca Lo Nostro il 4 febbraio 2023 su “Il Giornale.it” in un articolo intitolato “ “Se Kiev attacca, risposta nucleare”. Nuova minaccia di Medvedev”:
“Il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione russa non esclude l’uso dell’arma nucleare qualora Kiev dovesse attaccare la Crimea occupata da Mosca e altre regioni russe: “Tutta l’Ucraina brucerebbe”.
Dmitry Medvedev non ritratta, ma anzi continua a rievocare l’incubo della bomba atomica nella guerra in Ucraina. Il vicepresidente del Consiglio di Sicurezza russo ha chiarito ancora una volta, in un’intervista alla giornalista Nadana Friedrichson, che la posizione ufficiale della federazione russa sull’uso del nucleare prevede l’impiego di armi non convenzionali anche nell’ipotesi di un attacco convenzionale nella Crimea occupata dall’esercito di Mosca o in qualsiasi altra regione della Russia “profonda”. “Secondo la nostra dottrina nucleare, la Russia può usare armi nucleari o di altro tipo di distruzione di massa se vengono usate contro la Russia o i suoi alleati, se riceve informazioni verificate sull’arrivo di missili balistici per attaccare la Russia o i suoi alleati, in caso di aggressione convenzionale se l’esistenza dello Stato è in pericolo”, ha sottolineato Medvedev.
“Posso assicurarvi che la nostra sarà una risposta rapida, dura, e convincente” ha precisato l’ex presidente russo, ripreso dalla Tass. E se Kiev attaccasse la Crimea, Mosca negozierebbe? “In questo caso – osserva Medvedev – non ci sarebbero negoziati, ma solo attacchi di rappresaglia. Tutta l’Ucraina rimasta sotto il dominio di Kiev brucerebbe”.
“La nostra risposta può essere qualsiasi” ha concluso l’ex capo del Cremlino, fedelissimo di Putin”.
Sin qui la ricostruzione di Gianluca Lo Nostro. A noi rimane solo da ricordare che il Documento sulla dottrina nucleare dello Stato russo è stato aggiornato con un apposito decreto dal presidente Putin nel 2020. In sintesi traccia quattro condizioni perché Mosca decida di lanciare una testata nucleare: 1) il lancio di un missile balistico diretto in Russia e/o un suo Paese alleato; 2) l’uso di armi di distruzione di massa da parte di una potenza antagonista; 3) un attacco contro le infrastrutture critiche dello Stato e dell’esercito; 4) un attacco convenzionale che minacci l’esistenza dello Stato russo.
Nel conflitto russo-ucraino a rischio possono essere dunque in particolare la condizione 4 e, in modo meno acuto, la condizione 3 nel caso – nella attuale fase della guerra piuttosto improbabile – di disfatta delle truppe russe a seguito di energico contrattacco ucraino in Donbass e Crimea. Succede esattamente il contrario: sono già alcune settimane che in Donbass i russi si sono concentrati e attaccano in più direzioni, preludio alla prevista offensiva generale.
13.Conclusioni. Quattro verità incontrovertibili
Forzato, addirittura puerile, ma evidente l’intento degli inquilini del Cremlino di paragonare sempre più gli avvenimenti degli anni quaranta del secolo scorso a quelli attuali. Entrambi i conflitti in questa propagandistica lettura dovrebbero essere considerati “guerra patriottica” russa. In entrambi i conflitti i russi sarebbero gli aggrediti costretti a difendersi dal nazismo. Vero ottanta anni fa (ma che dire del patto Ribbentrop-Molotov di appena 41 mesi prima firmato dall’Unione Sovietica staliniana con la Germania nazista con il quale entrambi i paesi hanno aggredito e si sono spartiti la Polonia?) ma niente di più falso e propagandistico oggi.
Il presidente russo non riesce a rendersi conto o, più semplicemente, non può rendersi conto che nel XXI secolo le parti si sono invertite: è lui l’Hitler della situazione. Come attestano i massacri, il terrore, le migliaia di crimini di guerra perpetrati sulla popolazione civile ucraina dal suo esercito, dai suoi mercenari della Wagner, dalle sue milizie cecene di Kadyrov. E “i noti emblemi a forma di croce sulle piastre corazzate dei carri armati tedeschi” del 1939-1945 ora hanno una nuova versione della croce uncinata, simbolo perenne di infamia, distruzione, sterminio. Esattamente un anno fa, il 24 febbraio 2022, la Z dei carri armati russi ha sostituito negli atti e nella coscienza degli uomini liberi la svastica dei carri armati hitleriani.
Questa verità è incontrovertibile. Ma altre tre verità devono essere prese in considerazione in quanto incontrovertibili. Sebbene esista quasi una congiura del silenzio su di loro. La prima. Nelle capitali europee - prima o poi sempre accodate all’America - non si comprende o si finge di non comprendere che a furia di gareggiare a chi sostiene militarmente di più Zelensky l’Occidente non sta rischiando di scivolare nell’abisso del conflitto ma si ritrova già con entrambi i piedi nelle sabbie mobili della guerra. Continuando nel sempre più diretto coinvolgimento le macerie di oggi in Ucraina saranno il trailer delle macerie di domani nei paesi europei. Seconda verità incontrovertibile. Le sanzioni (l’Unione Europea è giunta al decimo pacchetto) dovevano mettere in ginocchio la Russia. Le stanno invece procurando solo un po’ di solletico. Terza verità incontrovertibile. Contrariamente a quanto si vorrebbe accreditare, Mosca appare tutt’altro che isolata nel mondo. Decine e decine i paesi che parteggiano per la Russia o non si schierano. Talvolta interi continenti. Al di fuori dell’ambito NATO (30 paesi membri, con un paio di …battitori liberi come il turco Erdogan e l’ungherese Orbàn che di fatto sono neutrali; anzi il secondo pur di ricevere il gas russo “flirta” con Mosca) e al di fuori dell’ambito Unione Europea (27 paesi membri, in massima parte gli stessi della NATO in quanto adesioni coincidenti) solo Giappone, Sud Corea, Australia, Nuova Zelanda sono schierati senza se e senza ma con l’Occidente libero. Israele, dove è presente nella popolazione una numerosa componente ebraica d’origine russa, per quanto simpatizzi per Kiev mantiene una più o meno celata neutralità. Mentre i paesi del mondo sono 206 tra vastissimi e minuscoli, di cui 195 riconosciuti sovrani ed 11 semi-sovrani o non riconosciuti. Gli stati membri delle Nazioni Unite assommano a 193. Numeri alla mano, dunque, non sembra affatto che le ragioni dell’Occidente suscitino particolari entusiasmi o consensi fuori dal fortino euro-atlantico, tra rancori storici e coloniali radicati. Vista da un punto d’osservazione diverso la situazione sembra piuttosto ribaltarsi. Non è che nella guerra sul suolo ucraino a ritrovarsi isolate – nel mondo degli stati giovani e dei popoli giovani in crescita demografica esponenziale – sono piuttosto le leadership del vecchio Occidente nord-europeo e nord-americano? Quelle stesse che stanno inseguendo la Russia sul terreno della guerra, della risposta flessibile, proporzionata, dei calcoli strategici e ormai hanno escluso dal loro lessico non si sa fino a quando la parola “pace”?

 di Pino Scorciapino

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