"Ti sei mai lanciato col paracadute?" E Robert Capa planò sulla Sicilia
Cultura | 16 novembre 2022
Tunisi, 9 luglio 1943. Quartier generale della 82ₐ Airbone Division, divisione aviotrasportata paracadutisti dell’esercito americano. Il capitano Chris Scott bussa alla porta del generale Mattehew Bunker Ridgway. A fare il suo ingresso al cospetto di uno dei protagonisti dell’operazione Husky è un militare di origini ungheresi. «Ti sei mai lanciato con un paracadute?» chiese il generale. «No, signore. Mai» rispose il militare. «Beh, non importa. È la cosa più naturale del mondo». Il militare di origini ungheresi era il fotografo Endre Friedmann, aveva scelto un nome d’arte che sarà consegnato alla storia della fotografia di tutti i tempi: Robert Capa. Qualche ora dopo, una luce verde lampeggiante, segnalava al fotografo che era venuto il momento di lanciarsi sulla Sicilia: «Saltai fuori con il piede sinistro avanti nell’oscurità. Meno di un minuto dopo atterrai su un albero nel bel mezzo di un bosco. Rimasi lì tutta la notte».
Dopo quasi ottanta anni, Robert Capa e le sue fotografie sbarcano di nuovo in Sicilia. Trovano dunque approdo definitivo le immagini del reportage realizzato nel corso della campagna di conquista dell’isola. Troina, un comune in provincia di Enna, ha dedicato a Robert Capa un museo che ospita una collezione permanente delle sue opere. L’impaginazione della mostra si snoda lungo i due piani dell’edificio, articolata in una serie di sezioni monotematiche. Esposte sessantadue immagini fotografiche stampate dai negativi originali dell’artista americano di origini ungheresi. Un ampio reportage che testimonia la campagna di liberazione della Sicilia operata dagli Alleati dopo lo sbarco nell’agosto del 1943. Il museo è ospitato all’interno dell’ex palazzo Pretura fresco di restaurato. Sarà possibile visitare il museo dal martedì alla domenica. Le prenotazioni si effettuano direttamente sul sito “www.robertcapatroina.it”. Oltre alle ormai celebri immagini che testimoniano le fasi dell’assedio di Troina esposte, per la prima volta, fotografie inedite scattate da Capa nella Palermo liberata del 22 luglio 1943.
«La scelta delle immagini, la loro stampa, sono il frutto di una scrupolosa collaborazione con Cynthia Young, curatrice dell’archivio “Capa” – sottolinea il primo cittadino di Troina Fabio Venezia, che da qualche settimana ricopre anche la carica di deputato all’Assemblea regionale siciliana – Un impegno che abbiamo potuto onorare grazie al contributo della Fondazione Famiglia Pintaura e ai finanziamenti pubblici che hanno reso possibile il restauro dell’edificio. Un progetto avviato cinque anni fa. Un traguardo raggiunto grazie al contributo di Alessandro Castagna e Lucilla Caniglia di “Soul Design Creative Studio”, l’International Center of Photografy di New York. “Fragments of war in Sicily” è il titolo della collezione che vede esposte sessantadue immagini fotografiche, direttamente realizzate dai negativi originali di Robert Capa. “Fragments of war in Sicily” è il titolo dell’esposizione permanente.
Protagonista incontrastata della mostra è la piazza Conte Ruggero di Troina, un vasto slargo nato dalla demolizione dell’ex monastero delle Benedettine. Una terrazza mozzafiato situata sulla cima della rocca con l’Etna che troneggia sullo sfondo. La piazza è dedicata al Conte Ruggero, condottiero normanno che fece di Troina la capitale della prima Contea di Sicilia. Lo stesso scenario che fa da sfondo a numerose fotografie esposte. È la stessa piazza dove Robert Capa si accasciò al suolo esausto dopo il lungo assedio. Era la sera del 5 agosto 1943. Il fotoreporter rischiava di lasciare l Sicilia e di fare ritorno a New York. La rivista Collier’s gli aveva ritirato l’accredito giornalistico. Gli si fece incontro il generale Teddy Roosevelt Jr. Lo puntò con il suo bastone da comando esclamando: “Capa, al quartier generale di Divisione c’è un messaggio per te”. “Signore, devo tornare a New York?”, fu la risposta di Capa. “No. Sei stato assunto da Life”, sentenziò il generale. Fu quello l’inizio di una grande collaborazione artistica. Le foto di Troina, un luogo eccentrico sperduto nel Mediterraneo, il 30 agosto del 1943, saranno pubblicate sulla copertina del prestigioso magazine. Due di quelle foto sono entrate di diritto nella storia della fotografia di tutti i tempi. La prima, ritrae un contadino siciliano e un militare statunitense. L’immagine è stata scattata in Contrada Ponte Capostrà, nel territorio della vicina Sperlinga. Come spesso accade per le foto di Capa, anche questa immagine è ammantata da leggenda. Su quel contadino, sulla sua fine, si sono sprecati fiumi di inchiostro. Il suo nome era Francesco Coltiletti. Non fu fucilato dai tedeschi, come si è a lungo pensato, ma morì nel 1950 all’età di 64 anni. In realtà, era un pastore che stava conducendo le sue capre all’abbeveratoio. Fornì indicazioni agli americani che si apprestavano a cingere d’assedio Troina, poco prima della battaglia che vide contrapporsi gli Alleati ai tedeschi. Uno scontro cruento, concluso dopo sei giorni di sanguinosi combattimenti. Era una mattinata di luglio, il sole spietato, cocuzzoli giallastri, trazzere polverose. Il clangore metallico di uno Sherman che lasciava una scia di polvere e fumo. Il pastore ricurvo, il capo coperto da un fazzoletto-copricapo di foggia orientale, indica con un bastone lungo come una lancia. Segna, forse, la direzione da seguire per giungere nella valle di Troina. La punta del bastone è fuori dal margine della foto, quasi a volersi volgere a toccare la meta indicata. Il soldato americano appare fuori scala rispetto al minuscolo siciliano, lacero e ricurvo. L’americano è uno strano militare. Non reca insegne di reparto, gradi militari, non un’arma. Sul braccio sinistro campeggia un grande numero 1, quello del 1st Infantry Division, la Prima divisione di fanteria, quella comandata dal generale Terry Allen. Dopo quell’incontro, seguirà uno scontro cruento che lascerà sul campo oltre seicento vittime tra civili e militari e una città in fiamme. I tedeschi della 15a Panzergrenatier, guidati dal generale Rodt, resisteranno per quasi sei giorni, mantenendo le posizioni, asserragliati sull’imprendibile Borgo. Gli Alleati che avevano conquistato l’Isola in soli 38 giorni, erano rimasti sospesi sulla “Linea dell’Etna” di Troina, per quasi una settimana. La seconda foto iconica ritrae un uomo siciliano che regge in braccio una bambina ferita. Il giovane uomo, i capelli impomatati di brillantina, guarda dritto in camera, come un consumato attore. Dalle labbra pende una sigaretta. Regge tra le braccia una bambina con una vistosa fasciatura alla gamba destra, i capelli incipriati di polvere, ghermisce un improbabile biscotto dopo essere rimasta intrappolata per giorni tra le macerie. L’eroe ritratto tra i detriti ha un nome. Si chiamava Silvestro Di Fini, aveva trentatre anni, era un militare italiano. Si trovava a Troina in licenza premio. E, come accade in tutte le grandi storie, il destino ha voluto che il compito di curare l’allestimento della mostra, sia toccato in sorte a un suo pronipote che non nasconde una certa emozione nel posizionare la foto sulla parete del museo. Chiude la mostra una sala interamente dedicata a foto inedite della liberazione di Palermo. Le strade della città invase dai detriti. Le truppe americane acclamate da ali di folle festanti. Su tutte, spicca un’immagine insolita, decisamente riconducibile allo stile di Robert Capa. Un ritratto “posato” di una bambina dai tratti aristocratici. Alle sue spalle la cattedrale di Palermo. Siede regale su un cumulo di fagotti e fa di quelle masserizie un trono.
Endre Friedmann era nato a Budapest nel 1913. I genitori di origine ebraica erano proprietari di una casa di moda. Il giovane ungherese fu ben presto esiliato perché aveva partecipato a manifestazioni di dissenso contro il regime repressivo ungherese. Nel 1931 riparò a Berlino e si iscrisse alla Deutsche Hochschule für Politik per studiare giornalismo. Per pagare la retta della scuola fece l’assistente di camera oscura presso la Dephot (Deutscher Photodienst), un’agenzia fotografica berlinese. Ma quella del giovane fotografo sarà una vita randagia vagando dalla Danimarca a Vienna, fino all’approdo a Parigi nel 1933. Nella capitale francese intrecciò rapporti con grandi fotografi come André Kertész e Henri Cartier-Bresson. Ma l’incontro destinato a cambiargli la vita fu quello di una donna, Gerta Pohorylle, meglio conosciuta come Gerda Taro. Sarà lei, nel 1936, a scegliere il nome d’arte Robert Capa. Decisero di fotografare la guerra civile che stava dilaniando la Spagna franchista. Lei morirà travolta da un carro armato, dopo la battaglia di Brunete, nei pressi di Madrid. Nel 1947 fonda la “Magnum Photo” con Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodgere e William Vandivert. Robert Capa ha scritto la storia della fotografia con immagini che hanno segnato un’epoca. Tra le più celebri quella del miliziano spagnolo colpito a morte e quella del contadino siciliano. Il vero protagonista del reportage fotografico che racconta lo sbarco e la conquista della Sicilia è dunque l’anziano contadino lacero e ricurvo. Una scena mirabilmente descritta dallo scrittore Vincenzo Consolo nel suo libro “Le pietre di Pantalica”: «Un uomo che s’alzava da terra appena d’una spanna, scavuzzo senza età, terragno monachino, in braghe e gilet di logoro velluto, calzari di tela e pelle di montone, fazzoletto in testa annodato a mo’ di copricapo. Accanto a lui, accovacciato, il culo sui talloni, le braccia sulle cosce, la fede al dito e braccialetto d’oro al polso, uno spilungone di soldato americano, un levigato e bello Gary Cooper, biondo, sano, sorridente. Il contadino, una mano sulla spalla del soldato, con l’altra, con cui teneva il lungo suo bastone, gl’indicava qualcosa in lontananza, una strada, un paese, forse il miraggio d’un pozzo o d’una fonte. Dietro a loro, la campagna arida, svampante, s’impennava in montarozzi di gessi e silicati».
«Se le tue foto non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino». Era questo il motto di Robert Capa. Gli costerà la vita avvicinarsi troppo. Era il 25 maggio del 1954, aveva da poco compiuto quaranta anni, il suo ultimo click fu quello della spoletta di una mina a Tay Ninh, in Indocina.
«Il dramma dei siciliani è quello di non credere nelle idee», ammoniva Leonardo Sciascia. Dedicare un museo alla fotografia, realizzarlo in un luogo eccentrico come Troina, lontano da ogni dove, è gesto rivoluzionario, concretizza un’idea. Il buon Sciascia, con discrezione, accennerebbe uno dei suoi proverbiali sorrisi, felice di essere stato smentito, per una volta.
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