Si può ripensare il Mezzogiorno senza essere migranti né briganti

Cultura | 12 marzo 2023
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Si può ripensare il Mezzogiorno? Senza essere migranti, né briganti.
Si può ripensare al suo sviluppo, ad una nuova integrazione del Paese, nel contesto europeo e mediterraneo, rispetto a una linea di orizzonte, sempre più vicina, dove ci attende una spaccatura sociale ed economica sotto il vessillo dell’autonomia differenziata voluta dalle regioni del Nord Italia?
Un messaggio chiaro e forte nell’apertura del nuovo saggio di Pietro Massimo Busetta dedicato al Mezzogiorno tra passato, presente e futuro. Un appello, che richiama ad una forte azione e alla mobilitazione civile e democratica, ma anche a una presa di coscienza e consapevolezza della classe politica del Nord e del Paese e dei cittadini del Nord, per evitare che il Paese si spacchi e aumentino le diseguaglianze e le diseconomie. Un Sud senza rappresentanza politica che a fronte di doveri paritari richiede anche rispetto di diritti paritari.
Si, si può ripensare allo sviluppo. Purchè ci liberiamo di una serie di infingimenti, pregiudizi e che vengano riconosciute responsabilità e irresponsabilità della classe dominante, delle Istituzioni e anche di una certa cultura economica.
Il libro di Pietro Massimo Busetta “La rana e lo scorpione” edito da Rubbettino con la prefazione di Massimo Villone e la postfazione di Gaetano Savatteri, si apre con un appello ai liberi e forti, citando due personaggi, due meridionalisti doc, che hanno auspicato una rivoluzione sociale ed economica del Sud Don Sturzo e Guido Dorso, due azionisti diversi per cultura, fede e tradizione, che hanno capito in anticipo che sola una concreta azione della gente del Sud, l’avvento di una classe dirigente, che sostituisca o pervadi quella dominante, poteva trasformare il Mezzogiorno da tema culturale o di annotazione in alcune agende politiche in uno sviluppo sociale ed economico reale. Il libro oscilla fra un “J’accuse” e “allons Enfants” con la citazione nelle pagine iniziali dell’Apocalisse 3: 15- 19 “Guai ai tiepidi, che li vomiterò”. Una sollecitazione chiara a reagire e a prendere coscienza per molti di uno sviluppo volutamente negato. Il passato, presente è futuro sono tre grandi ripartizione che il libro ci propone come viaggio temporale, tre parti connesse fra di loro, generative e propositive di una visione dello sviluppo in gran parte mancato, ma ancora all’orizzonte. Il saggio è l’utimo di una trilogia di libri dello stesso autore il cui è protagonista è il Mezzogiorno. Tre libri che disegnano nel legame che li collega, non solo una passione indomita dell’autore verso la propria terra, ma anche la saggezza di una persona, che da tempo ha deciso di lasciare la turris eburnea e di cimentarsi nello sviluppo concreto non solo del Sud , ma dell’intero Paese.
Nella pagine rimbalza attraverso le diverse analisi qualitative e quantitative la questione meridionale, questione nazionale di un Paese che ha perso da tempo una visione di sviluppo integrato e sinergico. Si sono alterati i rapporti di forza fra i vari territori e alla cooperazione si è sostituita una competizione territoriale, che ha penalizzato, come il Sud, i territori meno sviluppati. L’Italia è cresciuta in maniera diseguale, pur in presenza di un ceto politico che ha governato il paese di estrazione meridionale, difatti il Sud e Nord geografico sono diventati nel tempo due contesti sociali ed economici diversi con disparità di diritti di cittadinanza (sanità, scuola e università, lavoro). La rifoirma del titolo V della Costituzione e il federalismo fiscale hanno aggravato il gap con il drenaggio di significative risorse spettanti al Sud, dirottate a Nord, con l’uso distorto del meccanismo della spesa storica. La questione meridionale, come emerge dal libro, contrariamente a preconcetti e fake news sul Sud, nella sua formulazione resta una risposta strategica per lo sviluppo del Paese e non solo di una sua parte.
Un forte appello alla mobilitazione civile e democratica per evitare che il Paese si spacchi. Sicuramente per cambiare il futuro occorre individuare i fallimenti istituzionali e culturali che hanno riguardato il Sud, il libro con l’originale metafora dantesca dei gironi infernali prova a classificare le responsabilità o irresponsabilità di Enti e persone, non tanto per giudicare o ricercare colpe storiche, quanto dare una chiave di lettura a persone e istituzioni per agire diversamente per il futuro evitando gli errori e le disattenzioni del passato nella logica del rimpallo delle respnsabilità o dell’assenza decisionale o della denuncia mancata. Senza sconti per nessuno e senza peli sulla lingua si chiamano in causa i tanti che a voce si dichiarano a favore del Mezzogiorno. Tra passato, presente e futuro si mette in evidenza come l'approccio verso le problematiche del Mezzogiorno sia stato sempre "leggero" per non dire superficiale basato o sul mito fasullo delle eccellenze, che pur esistendo, non fanno sistema o con un approccio microeconomico affidato ai regionalismi, che non hanno saputo esprimere neanche nell’utilizzo efficace ed efficiente della spesa dei fondi comunitari progetti importanti di sviluppo economico. Aver trascurato o voluto trascurare che l’approccio doveva essere macroeconomico, guidata da una visione strategica centrale, trattandosi il Mezzogiorno di una area vasta confrontabile con alcune nazioni europee ha segnato il destino di venti milioni di persone, dei loro diritti di pari cittadinanza e soprattutto del loro diritto al lavoro. Sotto la lente il Governo Draghi e le ultime elezioni, parlando di quello che viene definito lo scippo del Recovery Plan, non dimenticando il fallimento della Lega, della "rivoluzione" dei Cinque stelle e il fenomeno "Reddito di cittadinanza". Lo scippo del recovery plan non tenendo conto dei parametri adottati dall’Europa che privilegiano le variabili economiche negative del Sud è stata l’ennesima dimostrazione di una visione errata dello sviluppo del Sud. Uno sguardo ampio alla prospettiva del Mediterraneo, alla valorizzazione dei sei pilastri logistici del Sud (Augusta, Brindisi, Cagliari, Napoli, Salerno, Taranto) e alle Zes collegate, che esprimono un potenziale ancora troppo basso di sviluppo. Nel libro si esprime una forte critica a una pubblicistica nazionale mirata a far sentire i meridionali inferiori o evidenziare come tipici del Sud, fenomeni ben diffusi su tutto il territorio nazionale. La strategia di comunicazione del Sud resta carente, per mancanza di network strutturati, anche la Rai che dovrebbe garantire diritti di pari comunicazione su tutto il terriutorio nazionale, non svolge un ruolo decisivo. Il libro si chiude con l'appello ai liberi e forti per evitare e scongiurare, scelte secessioniste o divisive, come l'ipotesi Cecoslovacchia, o l'ipotesi Jugoslavia, o peggio l'ipotesi Catalogna.


 di Francesco Saverio Coppola

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