Palermo ricorda i tragici fatti dell’8 luglio 1960

Società | 8 luglio 2024
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I tragici fatti dell’8 luglio 1960, con le cariche della polizia e i quattro morti, sono stati ricordati a Palermo dalla Fillea Cgil Palermo, dalla Cgil Palermo, dall’Anpi Palermo "Comandante Barbato", dall’Arci Palermo, dal Centro Pio La Torre e dalle forze della sinistra. Un corteo ha percorso la via Maqueda e all’angolo di via del Celso, davanti alla lapide in memoria dei due edili Francesco Vella e Andrea Gangitano e di Rosa La Barbera e Giuseppe Malleo, di soli 15 anni, è stata deposta una corona di fiori.
“Uccisi a Palermo l’8 luglio 1960 dalla violenza scatenata dal governo Tambroni”.
Alla manifestazione era presente Adelmo Cervi, hanno partecipato Emilio Miceli presidente del Centro Pio La Torre e il predecessore Vito Lo Monaco. È intervenuta anche Tania Sanfilippo, nipote di Francesco Vella.
“Luglio caldo”. Mauro De Mauro dedicò questa canzone a Giuseppe Malleo, quindicenne “millemesteri”. Le parole erano di De Mauro, la musica di Ignazio Garsia. Con la sua chitarra la cantava Salvo Licata, il giornalista de L’Ora che diede vita dal 1967 al gruppo teatrale dei Travaglini.
Dice il testo di quella canzone: Luglio caldo, furore / Il sole nel cervello / E nell’aria l’odore/di gas e manganello / “Scusasse brigadiere”– / “monta sopra e stai zitto / Caricate a dovere / dove il popolo è fitto” / Non si muove un monello, / comunista per caso / Un barista ignorante / non ha fatto la scuola / non ha visto il cartello / non calpestate l’aiuola. Vincenzo Gervasi, poi avvocato di parte civile in processi di mafia, fu a otto anni testimone delle cariche. “Ero a Piazza Massimo – ricorda – con mio padre. Il quale, mentendo a mia madre che da lì a venti giorni avrebbe partorito mio fratello Francesco, se ne era andato allo sciopero (allora era iscritto al Psi ed alla Fillea) portandomi con sé. Evidentemente non prevedeva gli sviluppi se decise di portarsi appresso suo figlio. Quel che ricordo, e che mi infastidì molto, fu che appena arrivati i suoi compagni lo rimproverarono per il fatto che si era portato appresso me. Stavamo per andar via quando cominciarono botti e crepitii. In un attimo percorremmo, io in braccio a mio padre, la distanza tra piazza Massimo e via Università, dove abitavamo (esattamente via Pietro Amodei), tra urla confusione e spari. Sto pensando ora che non dev'essere stato semplice visto che si incrocia via Celso dove ci furono due dei morti. Comunque arrivammo a casa. Ricordo il viso dei miei, mio padre che voleva uscire di nuovo e la ferma (la chiamo così) opposizione di mia madre che frappose il suo corpo tra lui e l'uscita di casa. Il mattino dopo io ero già a Villalba dai miei nonni”.


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