Nessun complottismo ma si faccia chiarezza sui rapporti tra apparati dello Stato e mafiosi

L'analisi | 17 gennaio 2023
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I due passaggi più significativi della lunga conferenza stampa che ha concluso una bella giornata della Repubblica italiana sono contenuti in due affermazioni del procuratore Maurizio De Lucia: “la mafia non è stata sconfitta” accompagnata dall'orgogliosa rivendicazione del funzionamento della giustizia in un paese democratico. “Senza neanche l'uso delle manette”. Con la prima, il magistrato sottolinea che, con la cattura dell'ultimo dei boss stragisti, si conclude una stagione della lotta alla criminalità organizzata che fu caratterizzata dall'attacco diretto contro le istituzioni politiche e lo stessa struttura dello Stato.
Tuttavia la mafia, così come 'ndragheta e camorra, si sono riorganizzate, hanno modificato le loro caratteristiche per continuare a perseguire il loro fine principale: l'arricchimento illecito ed il controllo dei territori all'interno dei quali agiscono. Quindi, soddisfazione per l'importante risultato conseguito ma consapevolezza che bisogna continuare sulla strada del contrasto deciso alla criminalità organizzata e mafiosa. Sono perciò eccessivi- l'opinione impegna solo chi scrive- alcuni toni, in special modo di esponenti politici dell'attuale maggioranza di governo, che enfatizzano gli avvenimenti della clinica Maddalena quasi rappresentassero l'eradicazione definitiva del fenomeno mafioso. In realtà, dopo il 15 gennaio del 1993 (Totò Riina), il 27 gennaio 1994 (Filippo e Giuseppe Graviano, l'11 aprile del 2006 (Bernardo Provenzano ), il 16 gennaio 2023 verrà ricordato perchè è stato finalmente associato alle patrie galere, dove sconterà i diversi ergastoli che gli sono stati comminati con sentenza definitiva, l'ultimo dei vertici della mafia stragista che insanguinò la Sicilia e l'intero paese.
Anche alla luce delle polemiche che hanno accompagnato l'arresto degli altri componenti della “cupola”, è bene si faccia massima trasparenza sulle modalità dell'operazione che ha condotto alla cattura del potentissimo boss di Castelvetrano e sulla rete di complicità che hanno consentito e finanziato la sua trentennale latitanza. De Lucia è stato esplicito quando ha parlato di borghesia mafiosa: basti ricordare la recente condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa di uno dei “potenti” del centro destra trapanese, l'ex senatore Antonio D'Alì. Sono noti gli interessi della mafia trapanesi in settori industriali che non si limitano alle tradizionali attività connesse al ciclo dell'edilizia. Nel corso della conferenza stampa è stato ricordato da un giornalista il caso Valtur. Ancora, si può citare il caso dell'imprenditore dell'eolico Vito Nicastri, assolto in appello dal concorso esterno ma condannato per intestazione fittizia di beni.
Probabilmente si tratta solo della punta dell'iceberg in un territorio caratterizzato da una mafia che si è fatta impresa e da commistioni, emerse in diversi processi, tra criminalità mafiosa, massoneria ed ambienti della politica. D'altro canto se è vero, come affermato dagli inquirenti, che una parte non breve della latitanza di Matteo Messina Denaro si è svolta tra Palermo e Trapani, veramente potente, estesa e radicata dev'essere la rete dei favoreggiatori e dei finanziatori. Il procuratore non si è sottratto dal lanciare un chiaro segnale alla politica quando ha affermato l'indispensabilità delle intercettazioni nelle indagini per reati di mafia; intercettazioni che sono state definite uno dei due pilastri dell'indagine; l'altro essendo le sofisticate indagini tecniche che avrebbero condotto all'individuazione del latitante nel misterioso signor Bonafede che aveva prenotato l'attività di day hospital alla Maddalena. Un'indagine, perciò, nella quale- secondo le dichiarazioni degli inquirenti- i pentiti non avrebbero giocato alcun ruolo.
La seconda puntualizzazione di grande significato riguarda le modalità di svolgimento dell'operazione. Gli alti ufficiali dei carabinieri presenti hanno sottolineato la scelta di “mostrare le divise”, cioè di far intervenire i reparti speciali del ROS e del GIS nella loro piena visibilità, quasi un'affermazione del ruolo degli apparati di indagine e repressione del crimine. Il dottor De Lucia, da parte sua, ha rivendicato il pieno rispetto delle regole dello stato di diritto, fino alla scelta di mostrare il catturato Messina Denaro senza manette, immagine e clima del tutto distanti da quelle del 15 gennaio 1993.
La cautela dimostrata in alcuni passaggi lascia intuire che sono in corso indagini che potrebbero riservare ulteriori sorprese, a partire dalla risposta alla domanda che tutti ci facciamo: come ha fatto un boss ricercato in tutto il mondo e che- come si percepisce dalle immagini della cattura- non ha modificato i propri connotati se non in conseguenza del naturale invecchiamento e della malattia- ad accedere al servizio sanitario pubblico sotto falso nome? Come ha potuto essere sottoposto a delicati interventi chirurgici in strutture sanitarie pubbliche o convenzionate del trapanese e del palermitano? Sono domande che non possono restare senza risposta, per la richiesta di verità che sale prepotentemente dai cittadini palermitani che hanno applaudito i carabinieri e dall'intera opinione pubblica italiana. Ma anche per evitare che si perpetuino le zone d'ombra che ancora accompagnano le tragiche vicende del 1992 e del1993.
Un bisogno tanto più urgente alla luce della constatazione che immediatamente dopo il diffondersi della notizia- quando ancora neanche si capiva bene cosa fosse successo- si è scatenata sui social media la sarabanda delle “teorie del complotto”, che sono ormai diventate il male endemico più diffuso non solo nel nostro paese ma a livello mondiale. L'Italia ha bisogno che si faccia finalmente chiarezza sulla tragica stagione delle stragi: ne va della corretta ricostruzione della storia che abbiamo vissuto, ma soprattutto dell'edificazione di un futuro condiviso di legalità e giustizia.
 di Franco Garufi

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