La tecno mafia progetta
un ritorno al futuro

Società | 12 febbraio 2025
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Dobbiamo serenamente prendere atto del fatto che, ad ogni passo in avanti della conoscenza di qualsiasi cosa, si finisca col porgerci più domande delle risposte che abbiamo cercato. Eccoci di fronte a un’operazione antimafia che intanto si impone all’attenzione per i numeri: 181 ordini di custodia cautelare in carcere per altrettante persone che in comune hanno tutte l’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso al netto di una lunga serie di reati connessi imputati variamente a ciascuno di loro: tentato omicidio, traffico di stupefacenti, gestione del gioco d’azzardo, estorsione, danneggiamenti.
A guardarli bene sono i reati classici della normale attività della mafia per come la conosciamo. Con un unico dettaglio significativo: nessuno dei 181 è imputato di omicidio. Ben diversa statistica, per esempio, di quella del primo maxiprocesso, cominciato per curiosa coincidenza il 10 febbraio 1986. Nel dibattimento e nella sentenza entrarono ben 120 omicidi.
A scorrere la lista degli arrestati (36 erano già in carcere) si capiscono molte cose tutte molto interessanti. La prima è che il gruppo ha due poli, diciamo così, generazionali. C’è un gruppo di anziani che sembra quello apicale e una ben nutrita pattuglia di giovani leve. I primi vengono quasi tutti da una lunga esperienza detentiva finita con una pena scontata. Evidentemente non solo nessuno di loro si è ricreduto ma tutti sono tornati fuori con una gran voglia di rimettere in piedi la Cosa nostra secondo il vecchio principio della mafia pre-corleonese, cioè quella che – al contrario – era sanguinaria e terrorista, con un disegno strategico che prevedeva pure il ricorso a stragi terroristiche da usare come merce di scambio con lo Stato per “addolcire” le leggi sul carcere duro e quelle sulla gestione dei patrimoni.
La mafia dei 181 mostra di aver riflettuto. I vecchi non vogliono ripetere gli errori ma non vogliono andare in pensione. Obiettivo tradizionalmente capitalista: il massimo profitto. Così ristrutturano, tornando ai traffici redditizi che sono sostanzialmente tre: le estorsioni, il traffico di stupefacenti, il gioco d’azzardo on line. I giovani vogliono i soldi e basta. Forse non gliene frega niente del potere. Uno degli arrestati, figlio di un capo mandamento, impersonava il ruolo del piccolo Giuseppe Di Matteo nel film dedicato al bambino sequestrato per molti mesi per far tacere il padre pentito e poi ucciso e squagliato nell’acido. Troppo assurdo per essere vero. Ma dovremo abituarci.
Visto che alcuni dei più importanti del gruppo sono in carcere, era necessario mettere a punto un sistema che assicurasse il collegamento, una sorta di smart working mafioso. Molto smart. Avevano un software che non conoscevano molto bene. Serviva a trasformare un cellulare in una specie di citofono e così diventava non intercettabile. Solo che a un certo punto il sistema ebbe un malfunzionamento. Bisogna dire che gli investigatori non erano riusciti a violarlo ma i mafiosi con le tecnologie hanno bisogno del loro tempo per imparare. Così, quando si procurarono una nuova versione funzionate del software cominciarono a comunicare “in chiaro” liste su liste di sodali che dovevano essere inseriti nella chat. In questo modo i carabinieri cominciarono a capire su chi dovevano posare gli occhi.
Coi “pizzini” era tutta un’altra storia… Le intercettazioni che vennero comunque realizzate raccontano tante cose. Come quando uno dei vecchi descrive le doti di un capo a uno dei giovani: “Devi essere scaltro e umile. E devi fare il Bene perché poi il Bene ritorna”. E, quando un imprenditore li cercò per avere giustizia del fatto che un ladruncolo di borgata aveva rubato nelle sue proprietà, i bravi mafiosi lo trovarono, chiamarono il loro dante causa al telefono e, con esemplare spirito di servizio, filmarono il pestaggio del ladruncolo perché l’imprenditore potesse verificare di avere bussato alla porta giusta per avere “giustizia”. Ecco dunque una mafia che vuole tornare alle origini come fosse il tubo delle patatine Pringles stanche di essersi offerte in troppe variabili di gusto. Cosa nostra “the original”, quella dei bei vecchi tempi dove le estorsioni servivano a pagare il pane alle famiglie dei fedeli gregari finiti in carcere. E tutto il resto di una tradizione da “Il giorno della civetta”. Ma, per restare, diciamo così, in “tema carcerario”, vogliamo finalmente cercare di capire come potesse essere normale tenere in cella un cellulare per quanto High Tech, miniaturizzato e smart? Quanti padri di famiglia hanno mangiato in questo piatto? E allora di certo è giusto cercare collegamenti occulti, mandanti in doppiopetto, terroristi nostalgici. Ma guai a pensare che le cose evidenti sono “troppo semplici” perché siano meritevoli di attenzione. Saranno anche semplici ma sono vere e sono domande cui urge dare una risposta.
 di Daniele Billitteri

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