La svolta autoritaria del governo e le manganellate di Stato

Politica | 5 giugno 2023
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Stato di diritto o Stato di polizia ?
A volte ci si chiede: “Siamo in uno Stato di diritto o in uno Stato di polizia?
Qualcuno potrebbe pensare che si tratti solamente di una mia esagerazione; che la democrazia nel
nostro Paese è assolutamente viva e vigente e che pertanto – con buona pace per tutti – possiamo
stare tranquilli. Anzi, con l’attuale Governo in carica possiamo addirittura dormire sonni sereni.
È proprio questo il messaggio che la premier Giorgia Meloni va divulgando a destra e a manca, non
curante, non solo del fatto che la campagna elettorale è già terminata da tempo, ma soprattutto
non curante del ben più grave fatto che da Presidente del Consiglio dovrebbe avvalersi di un
linguaggio più coerente ed armonico; un linguaggio che dia sicurezza e credibilità alla popolazione
mettendo da parte, piuttosto, quel lessico sciatto ed urlato che non si addice al capo di un
Governo.
Sorvolo – per averne già scritto in un mio precedente articolo – sulla questione del cosiddetto
“pizzo di Stato”, per il quale voglio solo ribadire (per chi se ne fosse già scordato) che la locuzione
“pizzo” viene da un lemma di derivazione ed origine mafiosa e che sta ad indicare l’illegittima
richiesta – con la forza dell’intimidazione mafiosa – di somme di denaro a onesti commercianti,
artigiani, lavoratori autonomi. Pertanto mi limito solamente a dire che la frase profferita dalla
premier è solamente disgustosa e offende tutti i cittadini onesti che pagano le tasse con immensi
sacrifici a tutto beneficio di soggetti facenti parte della borghesia benestante proprietaria di
ingenti patrimoni e di lucrose e fiorenti attività mercatiste.

A ben vedere e sentite le varie voci della società civile, la questione dello Stato di diritto o di
polizia, non è soltanto una mia invenzione o anche solo sensazione. Sembra piuttosto che sia
l’impressione di molti dopo avere analizzato le varie attività di governo, i vari provvedimenti, i
disegni di legge, le proposte. Ma non solo. L’analisi va fatta anche su quanto avviene nelle piazze.
A distanza di soli quasi tre mesi dall’insediamento del Governo Meloni, non mi pare che siano
sortiti provvedimenti concreti di rilancio dell’economia. Al netto dei molteplici giri turistici in
Europa e oltre Oceano, la Meloni si è dedicata alla politica interna partorendo proposte, disegni di
legge e quant’altro, che appaiono assolutamente irricevibili e che denotano come la tendenza
della premier sia quella di accentrare quanto più possibile le attività di governance a Palazzo Chigi.
Insomma non credo di esagerare se manifesto la mia impressione sostenendo che sia in corso una
sorta di esautorazione delle funzioni e mansioni ministeriali per trasferirle tutte a Palazzo Chigi, al
fine di potere controllare ogni attività governativa. Cosicché anche il Parlamento rimane fagocitato

in attività solamente ordinarie perché tutte le proposte di legge provengono dal Governo e
spessissimo prioritariamente con decretazione d’urgenza.
Ma andiamo per ordine. E ci renderemo inevitabilmente conto di quanto la premier impersoni un
capo del Governo decisionista che ambisce di avere pieni poteri e che preferisce circondarsi di
persone a lei molto vicine al fine di potere esercitare il massimo dei controlli. Se poi, così facendo,
verranno prevaricate le funzioni parlamentari, pazienza! Bisognerà farsene una ragione perché
questa è la politica Meloni.

In primo luogo, proviamo a riflettere sulla questione delle nomine negli enti di Stato, dove sono
stati sostituiti tutti i dirigenti con altri personaggi del mondo economico e finanziario e molto vicini
a Giorgia Meloni. In proposito basta riflettere su quanto si è verificato alla RAI - e su quanto ancora
saremo costretti a constatare – dove giornalisti di chiara fama, esperienza e competenza, sono
stati o saranno quanto prima rimossi dalle loro funzioni senza alcun riguardo anche nei casi in cui
vi erano contratti di lavoro in corso non ancora scaduti. Insomma si sta formando una vera e
propria TV di Stato. Talché è possibile prevedere che in un prossimo futuro saremo costretti a
vedere in televisione quello che il Governo vorrà farci vedere e sentire.

Un’altra questione degna di attenzione è quella che riguarda la Commissione parlamentare
antimafia, organo vitale per il nostro Paese e che dovrebbe funzionare senza alcuna soluzione di
continuità. E’ molto importante perché parliamo di una commissione d'inchiesta bicamerale,
composta da 25 deputati e da 25 senatori, che in un Paese come il nostro nel quale purtroppo il
sistema mafia perdura silenziosamente in forma sub endemica, le inchieste di tale Commissione
sono fondamentali anche perché, talvolta costituiscono un vero e proprio ausilio alle inchieste
giudiziarie.
Ebbene, al di là del fatto – certamente non meno grave – che il Governo è intervenuto con
notevole ritardo sulla nomina dei componenti, la vera questione inquietante consiste nei
nominativi di deputati e senatori chiamati a ricoprire le cariche apicali all’interno della
Commissione. Ed è così che alla presidenza della Commissione viene nominata Chiara Colosimo,
fedelissima della Meloni – senza alcuna esperienza che abbia a che fare con il fenomeno mafioso –
che nel passato ha assunto cariche interne al partito Fratelli d’Italia. Non è passato inosservato il
rapporto di amicizia che la Colosimo ha intrattenuto con Luigi Ciavardini, ex componente dei
Nuclei Armati Rivoluzionari del terrorismo nero di destra (corresponsabile, fra l’altro, della strage

di Bologna). Ovviamente le associazioni delle vittime di mafia ed i singoli familiari, protestano,
sostenendo la nomina: “vergognosa”. Così come prendono le parti Salvatore Borsellino, Roberto
Scarpinato, Nino Di Matteo, Saverio Lodato, Antonio Ingroia e tanti altri.
La neo-presidente prova a difendersi – ma con scarsi risultati – opponendo che non ha mai
intrattenuto rapporti di amicizia con il terrorista nero. Ma, ahimè, non basta; visto che circola nel
web una fotografia nella quale la Colosimo appare molto vicina a Civardini, in atteggiamento che
sicuramente non lascia spazio ad altre interpretazioni che non sia quella che manifesta, fra i due,
l’esistenza di un rapporto certamente confidenziale.
E fu così che la Meloni ha portato in ruoli istituzionali un’amica che potrà garantirle, in forma
ufficiosa, l’immediata informazione dei fatti attinenti alle inchieste di mafia. Da non sottovalutare
quindi che detta nomina è stata fatta motu proprio, non ascoltando per nulla le richieste
dell’opposizione ma neanche i timidi consigli provenienti dalla propria maggioranza.

Altra questione che può a buon diritto far parte di quell’elenco di provvedimenti discutibili
attribuibili al Governo in forza di quella cultura che la Meloni, con molta abilità, sta cercando di
infondere in tutti i propri collaboratori ed alleati; è il corteo di giovani studenti organizzato dalla
“Our Voice” (associazione no profit assolutamente pacifica e civile), aggredito dalle forze
dell’ordine in assetto antisommossa.
Anche in questo caso ci si chiede: perché? E però il pensiero va subito all’altro corteo, quello
programmato dalla Fondazione di Maria Falcone (che le organizzazioni chiamano “corteo
ufficiale”). In quel caso è tutto tranquillo: il “corteo ufficiale ha fatto il suo percorso, è giunto in via
Notarbartolo davanti all’albero Falcone”, scortato dalle forze dell’ordine. Nessun trambusto,
nessun assetto antisommossa della polizia; mentre all’incrocio fra via Notarbartolo e viale della
libertà, polizia e studenti se le davano di santa ragione dopo il comando di “carica” ordinato non
si sa bene da chi.
Questo corteo invece è stato chiamato “contro-corteo”. Anche in questo caso, perché? Che
differenza si vuole dare ai due cortei? Il primo ufficiale sotto l’egida di Maria Falcone (che forse
con un pizzico di presunzione ritiene di poter utilizzare un marchio esclusivo della manifestazione).
Il secondo invece è organizzato da liberi studenti, giovani, cittadini, rappresentanti sindacali della
CGIL, che liberamente vogliono fare sentire civilmente e pacificamente la loro parola. E allora qual
è il problema? Quali sono le paure delle autorità che vogliono evitare di fare confluire i due cortei
in uno solo temendo scontri e tafferugli?

A questo punto bisogna andare indietro di qualche giorno, quando, in prossimità della
manifestazione si levò sonora la voce di Alfredo Morvillo, fratello della moglie di Falcone, il quale
contestava il fatto che sul palco delle autorità si prevedeva la presenza di Vito Schifani –
Presidente della Regione Sicilia – e di Roberto Lagalla – sindaco di Palermo. Testualmente Morvillo
dichiarava: che i politici “chiacchierati” su quel palco non dovrebbero salire. Poi su quel palco
abbiamo visto la professoressa Falcone accanto a Piero Grasso, al presidente della Regione Sicilia,
Renato Schifani e al sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, dimenticando che Schifani è imputato a
Caltanissetta nel processo Montante per associazione a delinquere, rivelazioni di segreto di
ufficio e altri reati. e che la sua campagna elettorale per le regionali in Sicilia era stata sostenuta
abbondantemente da Marcello Dell’Utri e da Totò Cuffaro. Ma tanto, sosteneva il professore
Giovanni Fiandaca, avendo scontato rispettivamente le loro condanne per mafia, ormai sono stati
riabilitati. Maria Falcone risponde laconicamente alle contestazioni dichiarando che nel momento
in cui un soggetto assume cariche istituzionali deve essere rispettato in quanto istituzione.
Provvidenziale è stato – nelle dichiarazioni a distanza – l’intervento di Mario Ridulfo, segretario
provinciale della CGIL, il quale con determinazione e senza tentennamenti, ha detto: “Secondo il
ragionamento di Maria Falcone, se Ciancimino fosse stato sindaco di Palermo, avrebbe avuto il
diritto, lo scorso 23 maggio, a stare su quel palco. Per me quel diritto non lo dà il voto, né il diritto
costituzionale, ma la coerenza e la trasparenza dei comportamenti, anche nel rapporto con gli
amici più intimi e/o addirittura coi familiari. La lotta alla mafia è impegno quotidiano e disciplina
dei comportamenti altrimenti non è.”
Ovviamente, risposta non pervenuta.
E fu così che tutti coloro che legittimamente avrebbero dovuto partecipare, disertarono l’incontro;
cosicché chi avrebbe avuto diritto di salire sul palco, preferì correttamente rimanere fra la folla
(come fece Maurizio De Lucia procuratore capo di Palermo). Lo sconcerto dei partecipanti fu totale
e abbiamo letto nella stampa tutti i commenti di Roberto Scarpinato, di Nino Di Matteo, di Antonio
Ingroia mentre Salvatore Borsellino da lontano ammoniva ad alta voce: “Maria scendi dal
piedistallo.” L’invettiva non ha bisogno di commenti perché da sola pone in evidenza la forte
differenza di vedute.
Ma torniamo indietro. A quanto pare, proprio per questi motivi il cosiddetto “contro-corteo” era
stato bloccato; nel timore che fra i giovani studenti e i partecipanti al “corteo ufficiale” scoppiasse
la scintilla con il rischio di far saltare la manifestazione della Fondazione Falcone.

Questi sono i fatti, così come sono stati raccontati dalla stampa, che evidenziano come le
manganellate inferte ai giovani studenti, avevano un solo scopo: lasciare lavorare il manovratore
senza interferenze dall’esterno.
È il motivo per cui al corteo dei giovani è stato dato il nome di “contro-corteo”, come a volere
certificare l’unicità del corteo.
Di fatto non possiamo che registrare che al corteo dei giovani universitari è stato impedito di
manifestare, di parlare ai cittadini utilizzando un altoparlante. Eppure anche questo corteo era
stato autorizzato salvo, all’ultimo momento, modificarne le modalità per porre una serie di limiti
che lo hanno svuotato di ogni valido contenuto. E qui, le manganellate ed i feriti.
In ogni caso si è verificato un fatto di inaudita gravità. Come sostenuto da Nino Di Matteo –
sostituto procuratore alla Procura Nazionale antimafia, - “sono stati mortificati il diritto di parola e
di manifestare, la passione civile e il bisogno di verità e giustizia.” Il nuovo Governo non ha perso
tempo e piuttosto che dedicarsi alla politica dei rapporti con l’Unione Europea preferisce portare a
termine la sua campagna acquisti con il fine di aumentare i propri poteri concentrando tutto a
Palazzo Chigi. Sono gli atti preparatori per la grande riforma: il Presidenzialismo. Già si respira aria
di restaurazione e normalizzazione.
C’è però un fatto degno di particolare apprezzamento che riguarda l’intera vicenda.
80 insegnanti di scuole medie inferiori e superiori si sono seduti a tavolino ed hanno concepito una
lettera-denuncia inviata alle istituzioni ma anche a tutta la società civile, per manifestare tutto il
loro sdegno in relazione al becero e violento comportamento delle forze dell’ordine quando hanno
manganellato gli studenti: “manganellate di Stato.”
Interviene sulla vicenda Saverio Lodato il quale fa notare che “sarebbe stato bello se ai professori
delle scuole medie inferiori e superiori si aggiungessero anche quelli universitari. E segnatamente,
per esempio, quelli della facoltà di giurisprudenza, tempio del diritto palermitano in via Maqueda
dove i giovani universitari avrebbero anche loro il diritto di sapere che razza di antimafia si studia e
si pratica nella loro città”. 
O forse gli studenti universitari devono sempre stare a sentire i soliti sconsiderati insegnanti che
spiegano loro che il maxi processo di Falcone e Borsellino fu una mostruosa oscenità?
È sempre Saverio Lodato a commentare: “Possibile che dalla facoltà di giurisprudenza, dove si
laurearono Falcone e Borsellino, non venga mai un rombo di tuono a ricordarci che la mafia è

ancora tra noi? La facoltà di giurisprudenza ed i docenti, su questo argomento, è sempre stata
silente perdendo l’occasione di confrontarsi civilmente con il mondo sociale.

Concludendo sono due le considerazioni che mi viene di sottoporre ai lettori: come è possibile solo
pensare di potere impedire ad un corteo pacifico il diritto di parlare alla cittadinanza in nome di
Falcone e Borsellino, e proprio il 23 maggio, giorno della loro commemorazione?
E come è possibile che nel ventunesimo secolo, già avanzato, siamo ancora costretti ad assistere a
rappresentazioni di intolleranza intrise di avanzi fascisti?

A questo punto credo che l’iniziale domanda non sia tanto peregrina. È più che fondata, e spero
che il confronto fra cittadini di tutte le categorie venga alla ribalta.
In ogni caso possiamo contare su uomini validi che fanno le sentinelle in Parlamento. Roberto
Scarpinato ed altri senatori, hanno presentato un’interrogazione parlamentare con la quale si
chiede al Ministro Matteo Piantedosi di sapere se e quali iniziative intende prendere “affinché
possa esser fatta luce, nel più breve tempo possibile sui fatti” accaduti il 23 maggio a Palermo e se
“specificatamente non ravveda eventuali responsabilità relativamente alla gestione dell’ordine
pubblico nella misura in cui potrebbe essere stata negata in radice la possibilità di espressione del
diritto di critica, riflesso del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, ledendo,
incontrovertibilmente, diritti fondamentali che sono alla base di qualsiasi società democratica e
che invece fondano il presupposto per uno Stato di polizia.”
(interrogazione parlamentare n. 73 –
https://WWW.senato.it/japp/bgt/showdoc/0/hotresaula/0/0index.html?part=doc_dcallegatob_ab
))
 di Elio Collovà

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