La separazione dei poteri dello Stato come garanzia di libertà
Politica | 11 febbraio 2023
Nel 2014 scrissi un libro intitolato “Confische S.p.A. – la ragnatela delle imprese di mafia”.
Fra i tanti argomenti affrontati, mi sono soffermato parecchio sul tema “legalità”; tema molto umiliato, anzi assolutamente ignorato non solo nelle sedi istituzionali ma anche presso l’intellighenzia palermitana per non dire della media e alta borghesia.
La prima volta che lessi “L’esprit de lois” di Montesquieu, ne rimasi fortemente impressionato e… via via, affascinato. Fui spinto verso quella lettura da una forte curiosità quando mi avvicinai al mondo giudiziario per motivi professionali prima ancora che per scelta personale.
Fui particolarmente attratto dalla teoria di Montesquieu riguardante la separazione dei poteri, i tre poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Il filosofo sosteneva che questi tre poteri devono rimanere assolutamente separati l’uno dall’altro perché possa essere garantita l’autonomia dei magistrati e la libertà del cittadino. Se ciò non fosse, si avrebbe il potere assoluto che è quello che corrompe. Montesquieu cercò di dimostrare come le leggi dei popoli non si fondano sull’arbitrarietà o sulla casualità, ma dipendono dalla natura dei popoli stessi, dalla loro storia, dalle usanze, dalla religione. E’ per questo che l’uomo, siccome facente parte della società, è sottoposto a regole fondamentali, è sottoposto alle leggi.
La legalità dunque deve essere intesa come obbedienza alle leggi, con il fine di farci vivere in maniera civile e pacifica. La legalità deve essere considerata come un vero e proprio investimento nella vita di ciascuno di noi.
Ovviamente, un investimento improprio, atipico, sia inteso in senso economico che sociale, dal quale ti aspetti prospetticamente non solo ritorni finanziari per la società ma anche tutela dei diritti della persona.
L’economista Donato Masciandaro, nel corso del convegno su criminalità, corruzione ed evasione fiscale, ha sostenuto che “La lotta alla criminalità, organizzata e non, comincia con il considerare la legalità come un investimento, non più come un costo.
E’ vero! La legalità costituisce un investimento che interessa tutti; un investimento che dovrebbe fare ciascun componente dell’intera società civile, che ci potrà dare serenità, garanzie di sicurezza, tutela della democrazia, salvaguardia dei diritti. La difesa della legalità risiede nel continuo confronto con il mondo dell’illegalità – quel mondo dell’illecito e del dispregio delle regole – verso il quale deve mostrare la risoluta capacità di trovare ogni antidoto per combatterla.
Il problema del rispetto della legalità è un problema fondamentalmente socio-culturale e quando nella società civile manca la cultura della legalità, è perché si è radicato in maniera endemica il sistema della malversazione, della mala gestio, del rigetto delle regole, che non sempre è facile estirpare.
Il tema della legalità è sempre attuale e se ne può discutere in ogni momento tenuto conto dell’imperversare della cultura mafiosa intesa non solo con riferimento all’organizzazione criminale ma anche con riferimento a quella ordinaria, quotidiana - molto più diffusa nella società – che viviamo continuamente e di cui molto spesso non ci accorgiamo per averla ormai assimilata come habitus consueto. La peggiore malattia che possa colpire la società civile è quella di non riuscire più a distinguere il lecito dall’illecito, il legale dall’illegale. Questo accade quando l’illegalità si è radicalizzata a tal punto nella cultura collettiva da divenirne parte integrante, da rientrare nella normalità.
Il rischio che oggi viviamo consiste nella normalizzazione culturale di quella mentalità mafiosa che costituisce il vero sostegno di base per l’attività criminale.
E per evitare questo rischio è necessario che i cittadini non assopiscano la propria cultura, che rimanga sempre viva la voglia di combattere le ingiustizie, di sottrarsi alle sudditanze, di reagire alle prepotenze ed ai soprusi, di denunciare le intimidazione.
Il confine fra la legalità e l’illegalità non è così netto come potrebbe credersi. E’ un confine molto articolato sul quale si forgia una zona di confusione nella quale la legalità, nella sua plastica essenza, concede deroghe e si avvicina all’illegalità: è lì, in quell’area astratta, che avviene la confusione che dà spazio alla normalizzazione dell’illegalità.
Mi ritorna in mente quanto sostenuto da Roberto Scarpinato, (oggi magistrato in pensione, che per anni ha coordinato le indagini di mafia presso la Procura antimafia di Palermo e poi nella qualità di Procuratore Generale).
“La cultura e il metodo mafioso ogni giorno di più diventano prassi diffusa, quasi inavvertita, dimodoché non se ne avverte più l’alterità e il carattere patologico. Stanno tornando a essere quel che erano in passato: una componente della normalità italiana: “Il Principe è tornato a cavalcare la storia ed è in forma smagliante”.
Ecco…il Principe è in forma smagliante…Egli è tornato imperiosamente a cavalcare la storia, con grande boria e sicurezza, fortemente supportato da una collettività che, sia pure inconsapevolmente – e forse anche incolpevolmente – gli fornisce l’appoggio più incondizionato mediante la radicalizzazione di una cultura becera e scadente che non sa più reagire, che rimane inerte davanti all’incapacità dello Stato di combattere il fenomeno dell’illegalità diffusa tanto da riscontrare cittadini assuefatti ad un nuovo sistema alternativo, fatto di corruzione, di evasione fiscale e di illegalità di piccolo cabotaggio che consente di superare i limiti imposti dalla legge, di lunghe pratiche burocratiche per ottenere i propri diritti e quindi di godere di piccoli vantaggi che l’osservanza puntuale della legge impedirebbe. E non parliamo più di quella società civile appartenente ai ceti meno abbienti che compiono tale scelta culturale quasi senza cognizione alcuna; parliamo anche della media borghesia, anch’essa messa in difficoltà dall’attuale crisi economica, costretta, per sopravvivere a rivolgersi ad “istituzioni” alternative. D’altro canto, la rivoluzione in campo legislativo operata dai governi Berlusconi, ha garantito una sorta d’impunità non indifferente che funge da vero e proprio incentivo.
E poi c’è quell’altra parte della società costituita dall’alta borghesia, dai poteri forti, dai grandi patrimoni; quella società che intrattiene forti legami con la politica e che, anzi, molte volte, è un vero tramite tra il mondo politico e il mondo dell’illegalità, del malaffare…della criminalità organizzata.
Se vogliamo semplificare al massimo, possiamo senza dubbio alcuno affermare che ieri, come oggi, la mafia è sostenuta da tre elementi: l’evasione fiscale, il riciclaggio e la corruzione. Eppure, nonostante la questione sia più che evidente, non sembra che la politica abbia deciso di intraprendere il percorso del contrasto alla criminalità organizzata su questo fronte, mettendo in campo provvedimenti seri e concreti.
Ebbene, tutto questo l’ho scritto otto anni fa; eppure, se dovessi trattare l’argomento oggi, non potrei che riproporre le medesime dissertazioni. Le osservazioni di oggi sono assolutamente sovrapponibili a quelle rese a suo tempo. Nulla è cambiato, se non che l’attuale Governo ha messo sul tappeto della discussione alcune riforme vitali – riguardanti soprattutto la giustizia – che rivoluzioneranno il nostro sistema democratico in danno della collettività e della magistratura.
Addio alla separazione dei poteri, mediante l’adozione di norme che vedono sempre più realizzarsi il controllo dell’esecutivo sull’attività della magistratura inquirente.
I forti limiti imposti alle Procure della Repubblica riguardanti le modifiche all’obbligatorietà dell’azione penale, toglie di fatto ai P.M. l’obbligo di dare corso ad attività investigative; si presume che, in effetti, le Procure potranno intervenire solamente su indicazione dell’esecutivo che, all’uopo probabilmente predisporrà delle liste di reati sui quali investigare.
Anche la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti da quelli giudicanti, appare come una manovra per fare in modo che i giudici inquirenti magari vengano nominati dal Governo e da questo controllati.
Se a tutto ciò, aggiungiamo la non celata volontà dell’attuale maggioranza di riformare la Costituzione Italiana allo scopo di trasformare la Repubblica Italiana in una Repubblica presidenziale (o semipresidenziale) il gioco è fatto e non potremo fare più nulla per riconquistare i nostri diritti di cittadini dello Stato.
di Elio Collovà
Fra i tanti argomenti affrontati, mi sono soffermato parecchio sul tema “legalità”; tema molto umiliato, anzi assolutamente ignorato non solo nelle sedi istituzionali ma anche presso l’intellighenzia palermitana per non dire della media e alta borghesia.
La prima volta che lessi “L’esprit de lois” di Montesquieu, ne rimasi fortemente impressionato e… via via, affascinato. Fui spinto verso quella lettura da una forte curiosità quando mi avvicinai al mondo giudiziario per motivi professionali prima ancora che per scelta personale.
Fui particolarmente attratto dalla teoria di Montesquieu riguardante la separazione dei poteri, i tre poteri dello Stato: legislativo, esecutivo e giudiziario. Il filosofo sosteneva che questi tre poteri devono rimanere assolutamente separati l’uno dall’altro perché possa essere garantita l’autonomia dei magistrati e la libertà del cittadino. Se ciò non fosse, si avrebbe il potere assoluto che è quello che corrompe. Montesquieu cercò di dimostrare come le leggi dei popoli non si fondano sull’arbitrarietà o sulla casualità, ma dipendono dalla natura dei popoli stessi, dalla loro storia, dalle usanze, dalla religione. E’ per questo che l’uomo, siccome facente parte della società, è sottoposto a regole fondamentali, è sottoposto alle leggi.
La legalità dunque deve essere intesa come obbedienza alle leggi, con il fine di farci vivere in maniera civile e pacifica. La legalità deve essere considerata come un vero e proprio investimento nella vita di ciascuno di noi.
Ovviamente, un investimento improprio, atipico, sia inteso in senso economico che sociale, dal quale ti aspetti prospetticamente non solo ritorni finanziari per la società ma anche tutela dei diritti della persona.
L’economista Donato Masciandaro, nel corso del convegno su criminalità, corruzione ed evasione fiscale, ha sostenuto che “La lotta alla criminalità, organizzata e non, comincia con il considerare la legalità come un investimento, non più come un costo.
E’ vero! La legalità costituisce un investimento che interessa tutti; un investimento che dovrebbe fare ciascun componente dell’intera società civile, che ci potrà dare serenità, garanzie di sicurezza, tutela della democrazia, salvaguardia dei diritti. La difesa della legalità risiede nel continuo confronto con il mondo dell’illegalità – quel mondo dell’illecito e del dispregio delle regole – verso il quale deve mostrare la risoluta capacità di trovare ogni antidoto per combatterla.
Il problema del rispetto della legalità è un problema fondamentalmente socio-culturale e quando nella società civile manca la cultura della legalità, è perché si è radicato in maniera endemica il sistema della malversazione, della mala gestio, del rigetto delle regole, che non sempre è facile estirpare.
Il tema della legalità è sempre attuale e se ne può discutere in ogni momento tenuto conto dell’imperversare della cultura mafiosa intesa non solo con riferimento all’organizzazione criminale ma anche con riferimento a quella ordinaria, quotidiana - molto più diffusa nella società – che viviamo continuamente e di cui molto spesso non ci accorgiamo per averla ormai assimilata come habitus consueto. La peggiore malattia che possa colpire la società civile è quella di non riuscire più a distinguere il lecito dall’illecito, il legale dall’illegale. Questo accade quando l’illegalità si è radicalizzata a tal punto nella cultura collettiva da divenirne parte integrante, da rientrare nella normalità.
Il rischio che oggi viviamo consiste nella normalizzazione culturale di quella mentalità mafiosa che costituisce il vero sostegno di base per l’attività criminale.
E per evitare questo rischio è necessario che i cittadini non assopiscano la propria cultura, che rimanga sempre viva la voglia di combattere le ingiustizie, di sottrarsi alle sudditanze, di reagire alle prepotenze ed ai soprusi, di denunciare le intimidazione.
Il confine fra la legalità e l’illegalità non è così netto come potrebbe credersi. E’ un confine molto articolato sul quale si forgia una zona di confusione nella quale la legalità, nella sua plastica essenza, concede deroghe e si avvicina all’illegalità: è lì, in quell’area astratta, che avviene la confusione che dà spazio alla normalizzazione dell’illegalità.
Mi ritorna in mente quanto sostenuto da Roberto Scarpinato, (oggi magistrato in pensione, che per anni ha coordinato le indagini di mafia presso la Procura antimafia di Palermo e poi nella qualità di Procuratore Generale).
“La cultura e il metodo mafioso ogni giorno di più diventano prassi diffusa, quasi inavvertita, dimodoché non se ne avverte più l’alterità e il carattere patologico. Stanno tornando a essere quel che erano in passato: una componente della normalità italiana: “Il Principe è tornato a cavalcare la storia ed è in forma smagliante”.
Ecco…il Principe è in forma smagliante…Egli è tornato imperiosamente a cavalcare la storia, con grande boria e sicurezza, fortemente supportato da una collettività che, sia pure inconsapevolmente – e forse anche incolpevolmente – gli fornisce l’appoggio più incondizionato mediante la radicalizzazione di una cultura becera e scadente che non sa più reagire, che rimane inerte davanti all’incapacità dello Stato di combattere il fenomeno dell’illegalità diffusa tanto da riscontrare cittadini assuefatti ad un nuovo sistema alternativo, fatto di corruzione, di evasione fiscale e di illegalità di piccolo cabotaggio che consente di superare i limiti imposti dalla legge, di lunghe pratiche burocratiche per ottenere i propri diritti e quindi di godere di piccoli vantaggi che l’osservanza puntuale della legge impedirebbe. E non parliamo più di quella società civile appartenente ai ceti meno abbienti che compiono tale scelta culturale quasi senza cognizione alcuna; parliamo anche della media borghesia, anch’essa messa in difficoltà dall’attuale crisi economica, costretta, per sopravvivere a rivolgersi ad “istituzioni” alternative. D’altro canto, la rivoluzione in campo legislativo operata dai governi Berlusconi, ha garantito una sorta d’impunità non indifferente che funge da vero e proprio incentivo.
E poi c’è quell’altra parte della società costituita dall’alta borghesia, dai poteri forti, dai grandi patrimoni; quella società che intrattiene forti legami con la politica e che, anzi, molte volte, è un vero tramite tra il mondo politico e il mondo dell’illegalità, del malaffare…della criminalità organizzata.
Se vogliamo semplificare al massimo, possiamo senza dubbio alcuno affermare che ieri, come oggi, la mafia è sostenuta da tre elementi: l’evasione fiscale, il riciclaggio e la corruzione. Eppure, nonostante la questione sia più che evidente, non sembra che la politica abbia deciso di intraprendere il percorso del contrasto alla criminalità organizzata su questo fronte, mettendo in campo provvedimenti seri e concreti.
Ebbene, tutto questo l’ho scritto otto anni fa; eppure, se dovessi trattare l’argomento oggi, non potrei che riproporre le medesime dissertazioni. Le osservazioni di oggi sono assolutamente sovrapponibili a quelle rese a suo tempo. Nulla è cambiato, se non che l’attuale Governo ha messo sul tappeto della discussione alcune riforme vitali – riguardanti soprattutto la giustizia – che rivoluzioneranno il nostro sistema democratico in danno della collettività e della magistratura.
Addio alla separazione dei poteri, mediante l’adozione di norme che vedono sempre più realizzarsi il controllo dell’esecutivo sull’attività della magistratura inquirente.
I forti limiti imposti alle Procure della Repubblica riguardanti le modifiche all’obbligatorietà dell’azione penale, toglie di fatto ai P.M. l’obbligo di dare corso ad attività investigative; si presume che, in effetti, le Procure potranno intervenire solamente su indicazione dell’esecutivo che, all’uopo probabilmente predisporrà delle liste di reati sui quali investigare.
Anche la separazione delle carriere dei magistrati inquirenti da quelli giudicanti, appare come una manovra per fare in modo che i giudici inquirenti magari vengano nominati dal Governo e da questo controllati.
Se a tutto ciò, aggiungiamo la non celata volontà dell’attuale maggioranza di riformare la Costituzione Italiana allo scopo di trasformare la Repubblica Italiana in una Repubblica presidenziale (o semipresidenziale) il gioco è fatto e non potremo fare più nulla per riconquistare i nostri diritti di cittadini dello Stato.
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