La riforma fiscale in Parlamento e il pizzo di Stato di Meloni

Politica | 28 maggio 2023
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Il disegno di legge delega inerente la riforma del sistema fiscale, è stato approvato dal Consiglio
dei Ministri il 16 marzo 2023 e, il 23 marzo successivo, il ministro delle finanze lo ha presentato
alle Camere.
Il Governo ne dice mirabilie tanto da sostenere che tale strumento legislativo cambierà totalmente
il sistema fiscale. E noi non abbiamo motivo di dubitarne anche perché, avendole studiate
approfonditamente, riteniamo che effettivamente le nuove norme lasceranno un segno indelebile
– ma assai rovinoso – nella gestione del Paese. Purtroppo però, in pochi se ne accorgeranno, tanto
tale strumento legislativo non appare di facile lettura. I cittadini contribuenti hanno avuto il bene
di conoscere le nuove norme dalla voce rassicurante della presidente del consiglio o da altri
esponenti della maggioranza che non hanno mancato di comunicare, in termini assolutamente
sintetici, i molteplici vantaggi fiscali di cui potranno usufruire quando e se il disegno di legge
delega andrà a regime.
Infatti, il disegno di legge dovrà essere prima approvato dal Parlamento e successivamente, entro
24 mesi dovranno essere emanati i rispettivi decreti legislativi per l’attuazione delle nuove norme.
E sono infatti proprio queste ultime che al Parlamento appaiono assai complesse anche perché
peccano di chiarezza e soprattutto non sempre sono coerenti con riferimento ai rapporti fra le
varie componenti argomentate.
Ma non solo! In effetti tutta la riforma appare assai costosa senza però che siano indicate le
coperture finanziarie che, a ben vedere, dovranno essere molto consistenti.
Come dicevo, la riforma non considera in alcun modo la copertura finanziaria e alcuni parlamentari
della maggioranza, alle domande sull’argomento poste dai giornalisti, hanno risposto che ”le
risorse finanziarie si troveranno”. Ecco, io penso che questo non sia il modo migliore di fare
politica, specialmente quando si parla di bilancio dello Stato. In effetti, l’impressione che si ricava è
che con molta probabilità, i maggiori costi della riforma in questione, non potranno che gravare sul
debito pubblico appesantendone ulteriormente i saldi passivi.
È per questi motivi che il disegno di legge, appena approvato dal consiglio dei ministri è stato – e
continua ad essere - oggetto di numerose polemiche tanto da assumere uno spazio centrale nel
dibattito prontamente aperto nel circus politico.
Le diatribe, che provengono da ogni parte politica, sono tante, tenuto anche conto della corposità
e complessità dell’atto legislativo stante che riguarda tutto l’attuale sistema delle imposte (IRPEF,
IRAP, IRES, …). Ma, non solo; il testo di legge approvato dal Governo, intende riformare anche il

trattamento fiscale delle attività finanziarie, delle imposte indirette, dei criteri da adottare per
l’”accertamento” e per la “riscossione”.
In proposito, al numero 1 della proposta, si argomenta circa la previsione di un’unica categoria
reddituale, con riguardo alle singole fattispecie di redditi finanziari. Tale previsione normativa è
finalizzata all’eliminazione di interferenze fiscali sulle scelte di allocazione del capitale.
Una discussione assai accesa riguarda sicuramente l’evasione fiscale che se fosse recuperata anche
solo parzialmente, risolverebbe parecchi problemi della legge di bilancio. Apprezzabile è quanto
dichiarato dal premier che ha sostenuto che la lotta all’evasione fiscale deve farsi a cominciare
dall’alto, dai contribuenti maggiori con redditi molto consistenti derivanti da patrimoni di notevole
valore. Sarà vero? Se fosse vero, sarebbe un fatto realmente meritevole. Ma allora bisognerebbe
prevedere fin da adesso con quali strumenti intraprendere questa battaglia. Staremo a vedere.
Aspetteremo di leggere la stesura finale dell’atto legislativo.
Nell’ambito di detta discussione la Presidente del Consiglio, nel corso di una conferenza stampa,
ha parlato di “pizzo di Stato” per indicare le imposte che lo Stato chiede ai contribuenti minori. E
ne ha parlato con virulenza verbale assolutamente inaudita e certamente inadeguata ad un capo
di Stato che – per improvvido errore - crede di essere ancora in campagna elettorale.
Sui contenuti poi del cosiddetto “pizzo di Stato” è preferibile astenersi da qualsiasi commento.
Intanto il Fondo Monetario Internazionale auspica per l’Italia “una riforma del sistema fiscale per
migliorare l’efficienza e l’equità”. Ma si tratta di elementi mancanti nella riforma in discussione.
Ciò che salta immediatamente all’attenzione del lettore del disegno di legge è quell’approccio
dialettico usato dal Governo per la stesura del testo approvato.
Insomma sarà molto difficile, per le commissioni parlamentari, rimaneggiare, al fine di migliorarlo,
un testo in lingua semplice e trasparente per tutti i motivi ora argomentati.
In effetti la lettura del disegno di legge mostra con tutta evidenza un uso improprio sia del
linguaggio che dell’espressione a tal punto da riscontrare che alcuni temi sono trattati in forma
generica (probabilmente il consiglio dei ministri ha voluto lasciare spazio al Parlamento, in via
emendativa, a norme specifiche, anche ai fini dell’emissione dei decreti attuativi.
Altri temi invece, sono trattati con dovizia di particolari propri che ne rendono più esaudiente la
comprensione. Ma è proprio per questi motivi che il disegno di legge in argomento appare
disarmonico e disorganico anche con riferimento ai rapporti fra i rispettivi componenti.
Insomma, non sembra che il Governo abbia le idee chiare, anzi, la lettura del testo mostra in tutta
evidenza la mancanza di una visione coesa del sistema tributario del Paese.

Orbene, non pecchiamo certo di eccesso di critica se riteniamo che il testo del disegno di legge
delega approvato dal Governo, risponde a criteri demagogici piuttosto che alla ferma convinzione
che la riforma del sistema fiscale si è resa ormai assolutamente necessaria anche nei confronti
della UE. È certamente demagogico presentare all’opinione pubblica una riforma così importante e
sostanziosa ben sapendo che sarà molto difficile riuscire a portarla a termine entro la legislatura in
corso. Per non dire che i decreti di attuazione delle novelle norme, dovranno necessariamente
tenere conto di lunghi periodi di transizione – riguardanti tutte le componenti della riforma – per
portare le norme a regime.
Ebbene, si ha l’impressione che quando il Parlamento comincerà a toccare con mano le nuove
norme e dovrà fare i conti con serie difficoltà interpretative ma soprattutto con la ricerca delle
risorse finanziarie per le rispettive coperture dei maggiori costi, verranno depositati tanti di quegli
emendamenti che faranno slittare l’adozione della riforma oltre l’attuale legislatura. E allora si
ricorrerà all’alternativa di sempre: della riforma si vedranno solamente sparute norme magari
anche incomplete e, per il resto: tutto come prima – nulla cambierà.
 di Elio Collovà

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