L'Italia investe meno
sull'istruzione superiore
Società | 17 settembre 2024
L'Italia investe nell'istruzione il 4% del Pil, con una spesa pro-capite per studente pari a 12.760 dollari. Valori al di sotto della media Ocse che si attesta quasi al 5%, con un impiego pro-capite medio per alunno pari a 14.290 euro. Al cronico esiguo finanziamento del nostro sistema di istruzione si affianca anche una controtendenza rispetto agli altri Paesi Ocse. Mentre, infatti, in questi ultimi la spesa tende ad aumentare man mano che si avanza di livello di istruzione, in Italia accade il contrario: il maggiore investimento si registra nella scuola primaria (13.799 dollari per studente); si riduce nella secondaria di primo e di secondo grado (11.739 dollari per studente) - dove spesso non c'è il tempo prolungato, a differenza della maggior parte degli altri Paesi - e all'università (13.717 dollari per studente).
Oltre agli insufficienti stanziamenti, il settore della formazione del nostro Paese sconta un altro problema: il livello di istruzione dei genitori incide molto sul successo scolastico dei figli. Il 69% di chi ha più di 25 anni e almeno un genitore laureato ha conseguito la laurea. La percentuale si riduce al 52% per chi ha almeno un genitore con diploma, mentre precipita vertiginosamente al 10% per chi ha genitori con il solo il diploma di terza media. Addirittura il 37% dei giovani provenienti da famiglie con livelli culturali più bassi non arriva nemmeno alla maturità. E anche la dispersione scolastica tra i giovani dai 25 ai 34 anni, sebbene sia diminuita di sei punti percentuali dal 2016, resta molto più alta della media Ocse: si attesta al 20% contro il 14% degli altri Paesi censiti.
È questo il quadro sconfortante che emerge dall'ultimo rapporto 'Education at a Glance 2024' pubblicato dall'Ocse qualche giorno fa. Secondo i dati dell'organizzazione internazionale, all'Italia non va meglio neanche per quanto concerne l'età media degli insegnanti né il loro salario. Sebbene la quota di prof cinquantenni sia leggermente diminuita negli ultimi anni, questa resta al 53% (la media Ocse è del 37%). E negli ultimi anni gli stipendi per gli insegnanti con 15 anni di carriera sono cresciuti in termini nominali dell'8%, ma l'inflazione ha ridotto notevolmente il valore reale (-4%, mentre la media dell'area Ocse segna +4%). Lo stipendio medio degli insegnanti italiani, fermo a 31.950 euro nel 2019, presenta una stagnazione rispetto agli altri Paesi europei e una parabola discendente fino al 2023 con un salario medio di 31.320 euro. Netta è la differenza rispetto alla Germania che ha registrato un costante aumento degli stipendi nel corso degli anni e dove i docenti possono contare su una retribuzione media annua di circa 47.250 euro nel 2019, ben al di sopra della media Ocse (42.300 euro). Al di sotto di tale media si collocano Francia e Spagna che, tuttavia, mostrano una certa stabilità: 37.080 euro e 33.030 euro rispettivamente nel 2019. Restando sempre in tema di salari, non può passare inosservato un altro dato riportato nel report che attribuisce all'Italia un drammatico record: le donne laureate guadagnano poco più della metà dei loro colleghi maschi - il 58% dello stipendio dei "dottori", a fronte della media Ocse del 17% - malgrado siano di più e conseguano il titolo accademico con voti più alti. Il divario di genere nel mondo del lavoro interessa anche le giovani donne che hanno conseguito un titolo di studio al di sotto del livello di istruzione secondaria: solo il 36% trova occupazione, mentre la corrispondente quota per i giovani è del 72% (le corrispondenti medie Ocse sono del 47% e del 72%).
Una buona notizia per il nostro Paese riguarda, invece, i Neet. La quota dei giovani di età compresa tra i 20 e i 24 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione è scesa dal 32% del 2016 al 21% del 2023. Tuttavia, è sempre una percentuale più alta della media Ocse (15%). E sono ancora una volta le donne a pagare maggiormente questa fragilità: mentre nella fascia di età 20-24 anni sono impegnate negli studi (le donne rappresentano ormai il 55% dei laureati), fra i 25-29 anni, età in cui si dovrebbe entrare nel mondo lavoro, le donne arretrano e la percentuale di Neet passa improvvisamente dal 20% al 31%, mentre per gli uomini resta sostanzialmente uguale (intorno al 20%).
Altro dato positivo per l'Italia sembra essere quello relativo alla percentuale di giovani tra i 25 e i 34 anni senza titolo di studio superiore, che è diminuita del 6% dal 2016 e ha raggiunto il 20% nel 2023, ma rimane comunque al di sopra della media Ocse pari al 14%. Non tragga in inganno neanche il dato relativo al numero di studenti per docente che in tutti i gradi di istruzione in Italia è più basso rispetto alla media Ocse: 11 studenti per insegnante alla scuola primaria (contro 14), 11 alla scuola secondaria di primo grado (contro 13), 10 alle superiori (contro 13). All'alto numero di docenti concorre tanto il calo demografico quanto l'assegnazione delle singole discipline a cattedre diverse.
di Alida Federico
Oltre agli insufficienti stanziamenti, il settore della formazione del nostro Paese sconta un altro problema: il livello di istruzione dei genitori incide molto sul successo scolastico dei figli. Il 69% di chi ha più di 25 anni e almeno un genitore laureato ha conseguito la laurea. La percentuale si riduce al 52% per chi ha almeno un genitore con diploma, mentre precipita vertiginosamente al 10% per chi ha genitori con il solo il diploma di terza media. Addirittura il 37% dei giovani provenienti da famiglie con livelli culturali più bassi non arriva nemmeno alla maturità. E anche la dispersione scolastica tra i giovani dai 25 ai 34 anni, sebbene sia diminuita di sei punti percentuali dal 2016, resta molto più alta della media Ocse: si attesta al 20% contro il 14% degli altri Paesi censiti.
È questo il quadro sconfortante che emerge dall'ultimo rapporto 'Education at a Glance 2024' pubblicato dall'Ocse qualche giorno fa. Secondo i dati dell'organizzazione internazionale, all'Italia non va meglio neanche per quanto concerne l'età media degli insegnanti né il loro salario. Sebbene la quota di prof cinquantenni sia leggermente diminuita negli ultimi anni, questa resta al 53% (la media Ocse è del 37%). E negli ultimi anni gli stipendi per gli insegnanti con 15 anni di carriera sono cresciuti in termini nominali dell'8%, ma l'inflazione ha ridotto notevolmente il valore reale (-4%, mentre la media dell'area Ocse segna +4%). Lo stipendio medio degli insegnanti italiani, fermo a 31.950 euro nel 2019, presenta una stagnazione rispetto agli altri Paesi europei e una parabola discendente fino al 2023 con un salario medio di 31.320 euro. Netta è la differenza rispetto alla Germania che ha registrato un costante aumento degli stipendi nel corso degli anni e dove i docenti possono contare su una retribuzione media annua di circa 47.250 euro nel 2019, ben al di sopra della media Ocse (42.300 euro). Al di sotto di tale media si collocano Francia e Spagna che, tuttavia, mostrano una certa stabilità: 37.080 euro e 33.030 euro rispettivamente nel 2019. Restando sempre in tema di salari, non può passare inosservato un altro dato riportato nel report che attribuisce all'Italia un drammatico record: le donne laureate guadagnano poco più della metà dei loro colleghi maschi - il 58% dello stipendio dei "dottori", a fronte della media Ocse del 17% - malgrado siano di più e conseguano il titolo accademico con voti più alti. Il divario di genere nel mondo del lavoro interessa anche le giovani donne che hanno conseguito un titolo di studio al di sotto del livello di istruzione secondaria: solo il 36% trova occupazione, mentre la corrispondente quota per i giovani è del 72% (le corrispondenti medie Ocse sono del 47% e del 72%).
Una buona notizia per il nostro Paese riguarda, invece, i Neet. La quota dei giovani di età compresa tra i 20 e i 24 anni che non è né occupata né inserita in un percorso di istruzione o di formazione è scesa dal 32% del 2016 al 21% del 2023. Tuttavia, è sempre una percentuale più alta della media Ocse (15%). E sono ancora una volta le donne a pagare maggiormente questa fragilità: mentre nella fascia di età 20-24 anni sono impegnate negli studi (le donne rappresentano ormai il 55% dei laureati), fra i 25-29 anni, età in cui si dovrebbe entrare nel mondo lavoro, le donne arretrano e la percentuale di Neet passa improvvisamente dal 20% al 31%, mentre per gli uomini resta sostanzialmente uguale (intorno al 20%).
Altro dato positivo per l'Italia sembra essere quello relativo alla percentuale di giovani tra i 25 e i 34 anni senza titolo di studio superiore, che è diminuita del 6% dal 2016 e ha raggiunto il 20% nel 2023, ma rimane comunque al di sopra della media Ocse pari al 14%. Non tragga in inganno neanche il dato relativo al numero di studenti per docente che in tutti i gradi di istruzione in Italia è più basso rispetto alla media Ocse: 11 studenti per insegnante alla scuola primaria (contro 14), 11 alla scuola secondaria di primo grado (contro 13), 10 alle superiori (contro 13). All'alto numero di docenti concorre tanto il calo demografico quanto l'assegnazione delle singole discipline a cattedre diverse.
Ultimi articoli
- La legge bavaglio imbriglia l'informazione
- Perché l’Occidente si autorinnega
- Ovazza, storia di un tecnico
prestato alla politica - Si smantella l’antimafia
e si indebolisce lo Stato - C’era una volta l’alleanza progressista
- Vito Giacalone, un secolo
di lotte sociali e politiche - Violenza sulle donne, come fermare
l’ondata di sangue - Ovazza, l'ingegnere ebreo comunista
padre della riforma agraria - Uno studio sui movimenti
studenteschi e le università - Le reti di Danilo Dolci
per la democrazia diretta