Se oggi affermassi, omettendo di fornire adeguate spiegazioni, che le misure di prevenzione hanno una vita ed una storia ben più lunga di quello che normalmente crediamo, stimolerei sicuramente incredulità e stupore.
Le misure di prevenzione vengono introdotte durante il fascismo per tenere a freno la delinquenza; e non v’è dubbio che esse si adattarono bene a quello che era lo spirito totalitario della dittatura. Tali misure si adattavano molto bene ad una legislazione restrittiva delle libertà del cittadino e pertanto venivano utilizzate come un vero e proprio strumento afflittivo.
Ovviamente nel tempo e dopo la caduta del fascismo vennero opportunamente modificate per adattarsi ai cambiamenti sociali e collettivi fino ad arrivare ai nostri giorni nei quali finalmente il legislatore ha dotato la magistratura di uno strumento effettivamente efficace che ha natura di prevenzione. (codice antimafia).
Quello delle misure di prevenzione è un tema molto dibattuto dappertutto. Nelle università, nei circoli culturali, negli enti antimafia, il dibattito è sempre molto acceso anche perché la legge in questione da sempre, ma ancora oggi, è divisiva e si presenta molto al limite dell’interpretazione, tanto da indurre talvolta a ricadere nel sistema del sospetto, tipico dei paesi autoritari.
La discussione che tiene banco fra coloro che potremmo chiamare “obiettori di coscienza” o “negazionisti” si sviluppa principalmente su un concetto, a mio giudizio ideologico, che riguarda la privazione della libertà.
E allora, senza alcun intento polemico né saccente, credo che occorra fare dei chiarimenti e cominciare dall’inizio.
Le misure di prevenzione sono misure social preventive ante o praeter delictum; questo vuol dire che si possono applicare prima o dopo la commissione di illeciti o indipendentemente da questi, sulla base dell’accertata “pericolosità sociale” del soggetto che ne è destinatario.
Giova peraltro tenere conto della non trascurabile peculiarità della misura che è strutturata in maniera tale da rimanere sempre fuori dall’ambito penale; ciò vuol dire che le misure di prevenzione non si applicano secondo la normativa penale codicistica.
La misura di prevenzione nasce come legge speciale – e pertanto prevalente rispetto alle norme codicistiche – che nel tempo, a seguito di tutte le modifiche e le integrazioni varie, ha generato il cosiddetto “codice antimafia” che ne regola l’applicazione.
Sappiamo che la pena è una misura afflittiva che viene irrogata nei confronti del destinatario, cioè del reo o comunque di chi si è reso responsabile di avere violato le norme penali. Ovviamente l’applicazione della pena viene attribuita al termine dell’accertamento giurisdizionale di tale violazione (dibattimento nel processo).
La misura di prevenzione non ha natura afflittiva ma natura preventiva. È uno strumento totalmente diverso dalla pena che - viceversa – ha natura afflittiva e viene irrogata nei confronti del reo o comunque del soggetto che, dopo la celebrazione del processo, la magistratura avrà ritenuto responsabile della violazione.
Dunque si tratta di una legge che ha natura di prevenzione speciale; essa è finalizzata a prevenire la commissione di atti illeciti in nome dell’art. 27 comma 3 della carta costituzionale quando recita testualmente che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato anche mediante un nuovo orientamento culturale dello stesso. Per questo la misura di prevenzione deve avere ampi margini di manovra di modo che possa controllare il prevenuto accertandone la sua pericolosità sociale che sia essa sine delictum o ante delictum.
Perché una legge divisiva
Ma se è vero, come è vero, che tale legge si rende necessaria per prevenire gli illeciti di qualsivoglia natura – concetto che si traduce anche nella necessità di tutelare la collettività – perché si è formata questa sorta di detrattori della norma? Non dovrebbero essere tutti d’accordo sulla necessità di combattere la criminalità organizzata e che l’unico mezzo per conseguire questo traguardo è l’applicazione della misura di prevenzione, per mezzo del sequestro dei beni del proposto e della successiva confisca?-.
Perché dunque questa legge è divisiva? È presto detto. Agli occhi degli obiettori, la legge limita la libertà o altri diritti della persona sulla base della pericolosità del soggetto destinatario del sequestro o della confisca. Se così fosse sarebbe una legge incostituzionale.
Ma così non è. La Corte Costituzionale, nella pronuncia n. 68/1964, ha affermato la legittimità costituzionale della misura di prevenzione in forza del fondamento di cui all’art.2 della Costituzione che mette in chiaro i diritti inviolabili dell’uomo che lo Stato deve tutelare. E non c’è altro modo, per la tutela dei diritti dell’uomo se non la confisca dei beni personali.
Quest’ultimo punto è particolarmente importante e solleva l’attenzione di coloro che sono contrari alla legge antimafia tanto da volerla stralciare definitivamente dal sistema di lotta alla criminalità organizzata.
Occorre convincersi che c’è una priorità in questa immane lotta e non si possono abbandonare i sacrifici della magistratura e delle forze dell’ordine che ci hanno rimesso anche la vita. Bisogna proseguire in questa lotta, anzi adottando strumenti di maggiore restrizione.
La lotta a cosa nostra è prioritaria a qualsiasi altra esigenza o tutela e le misure di cui trattasi svolgono una funzione di prevenzione dovendo rispondere all’esigenza di sottrarre al sistema economico quei patrimoni che sono stati illecitamente acquisiti attraverso lo svolgimento di attività mafiose.
Ma i “negazionisti” insistono sostenendo che la maggior parte delle aziende sequestrate o confiscate finiscono in fallimento o, nel migliore dei casi, in liquidazione. Tutto però è spiegabile. Le attività commerciali o industriali o fornitrici di servizi, gestite dal proprio padrone-mafioso, riescono a sopravvivere in ragione del fatto che il loro riferimento è la mafia e che le attività vengono svolte in virtù del potere associativo; in ogni caso utilizzando strumenti illeciti generano molti profitti, certamente al di là di quelli che possono essere i profitti di un’impresa regolare. L’azienda che agisce lecitamente deve sopportare il costo della legalità che l’azienda mafiosa non sopporta. È questo il motivo per il quale molte aziende sequestrate finiscono in fallimento. Sono aziende che, gestite dall’imprenditore mafioso, funzionano bene ma quando vengono gestite dall’amministratore giudiziario – il quale ha l’obbligo di rispettare la legge in tutte le sue forme – non resistono al peso economico derivante dagli adempimenti obbligatori di carattere fiscale, amministrativo e quant’altro disposto. Ma c’è un’altra questione che costringe la gestione giudiziaria a chiudere le aziende mafiose: è l’inquinamento economico che tali aziende producono danneggiando il mercato lecito.
Si alleggerisce il peso del codice antimafia
E non possiamo sottacere la questione delle aziende apparentemente in regola – fuori da ogni sospetto di illiceità – ma che riversano i propri utili alle aziende di . Questo paradigma di aziende deve essere sottratto al mercato legale perché anche se rispettoso delle leggi, riguarda comunque aziende che agiscono in favore della causa mafiosa.
Orbene, considerato tutto quanto narrato, dobbiamo tenere in debito conto che i deputati Pittalis (primo firmatario), Mulè, Calderone e Patriarca, il 28 settembre 2023, hanno depositato alla Camera dei deputati una proposta di legge che prevede una lunga serie di modifiche da apportare al codice antimafia (D. Lgs.159/11).
Or non v’è chi non veda che l’eventuale accoglimento di tale proposta da parte dell’organo legislativo provocherebbe uno sconvolgimento abnorme della legge che, pur con le sue evidenti lacune, ha permesso alla magistratura di fare una concreta lotta a cosa nostra. Con l’eventuale introduzione delle leggi proposte, si avrebbe, senza alcun dubbio, un forte alleggerimento del peso normativo del codice antimafia; si priverebbe il giudice della prevenzione di uno strumento efficace ed efficiente, unico strumento di contrasto per la lotta alla criminalità organizzata che sarebbe oltremodo avvantaggiata dalle modifiche legislative; al contrario, i giudici della prevenzione dovrebbero fare i conti con una legge molto più garantista e, per questo, molto meno severa.
Sostengono i proponenti che “la confisca di prevenzione, in particolare, al di là delle fraudolente etichettature, è una sanzione, motivo per il quale non potrebbe essere applicata in assenza di una condanna penale. La prevenzione allora costituisce una scorciatoia attraverso la quale si perseguono con elusione dei principi garantistici propri della materia penale, intenti punitivi e afflittivi.”
Vorrei fornire un breve elenco delle modifiche richieste dai deputati che hanno depositato la proposta di legge.
• La lettera b) dell’art. 1 della proposta riguarda i destinatari delle misure di prevenzione. Specificamente viene abolito il concetto di appartenenza ad associazione mafiosa che non coincide con quello di partecipazione di cui all’art. 416-bis del codice penale; inoltre per potere applicare la misura di prevenzione devono sussistere indizi gravi, precisi e concordanti.
• Tutte le modifiche contenute nella proposta di legge rispondono all’esigenza di promuovere il recupero delle imprese infiltrate dalle organizzazioni criminali, nell’ottica di bilanciare in maniera equilibrata gli interessi che si contrappongono in questa materia: arginare le infiltrazioni mafiose nelle attività economiche e salvaguardare la continuità produttiva e gestionale delle imprese.
• La proposta contiene l’introduzione di una misura di prevenzione nuova, attivabile d’ufficio o su istanza di parte, che consiste in una “vigilanza prescrittiva” adottata da un commissario giudiziario nominato dal tribunale, al quale viene affidato il compito di monitorare l’adempimento di una serie di obblighi di compliance imposti dal Tribunale competente, senza determinare lo spossessamento gestorio dell’impresa. Si tratta, infatti, di una misura di prevenzione, attivabile d’ufficio o su istanza di parte, che consiste in una “vigilanza prescrittiva” adottata da un commissario giudiziario nominato dal tribunale, al quale viene affidato il compito di monitorare l’adempimento di una serie di obblighi di compliance imposti dall’autorità, senza determinare lo spossessamento gestorio dell’impresa. È pur sempre una misura di prevenzione applicabile solamente nei casi di “contatto episodico” fra imprenditore e associazione criminale di stampo mafioso. Dunque il Tribunale nomina un commissario che però agisce come supporto dell’imprenditore, nel senso che non si sostituisce a quest’ultimo.
Ma lo affianca e lo controlla nella gestione della propria azienda. Al termine del commissariamento, se i problemi che hanno indotto alla nomina del Commissario sono stati risolti, l’imprenditore riacquista pieni poteri e il compito del Commissario si risolve; se invece tali problemi persistono, il Tribunale può ordinare il sequestro o la confisca. Questa norma, in sede di proposta di legge, viene modificata con l’introduzione dell’art. 19 bis che fa scattare il “controllo giudiziario” previsto dall’art. 34-bis; ma invero detto articolo subisce una cattiva sorte perché verrebbe abrogato facendo così sparire quelli che erano considerati presupposti per l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale. In tal senso, la proposta recita testualmente che “si tratta di una proposta equilibrata rispettosa dei diritti individuali delle persone e delle esigenze di prevenire la criminalità mafiosa”.
La responsabilità civile degli amministratori
Ebbene, la proposta è sicuramente equilibrata; ma lo è per via dell’abrogazione dell’art. 34-bis che scompare in un sol colpo.
• Un’ulteriore modifica della legge antimafia riguarda l’intestazione fittizia dei beni. In pratica viene resa più rigida l’attuale norma in quanto, secondo la proposta di legge deve essere provata ai sensi dell’art. 192 c.p.p. In atto l’art. 26 del codice antimafia ritiene fittizie le intestazioni o gli acquisti dei conviventi (coniuge e figli del proposto) acquisite nei due anni precedenti. (comunque, per prassi consolidata, i Tribunali, in genere hanno considerato gli acquisiti effettuati anche oltre i due anni).
• La proposta di legge prevede anche l’introduzione dell’impugnazione del decreto di sequestro o confisca per mezzo di ricorso al Tribunale del riesame. In atto l’impugnazione con ricorso al Tribunale del riesame può essere utilizzata nei casi ex art. 321 c.p.p. ed ha la funzione di tutelare il processo nei casi in cui si sospetta l’esistenza di quelle tre famose condizioni: pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di reiterazione del reato; ma, appunto in quel caso c’è di mezzo un reato che non esiste quando parliamo di misure di prevenzione.
• La lettera l) della proposta introduce l’art. 28 bis con il quale si attribuisce a tutti i destinatari di misure di prevenzione riconosciute illegittime, il diritto al riconoscimento del risarcimento del danno.
• Molto importanti appaiono le modifiche previste della lettera n) della proposta che riguarda la responsabilità civile degli amministratori dei beni confiscati. In sostanza la responsabilità degli amministratori verrebbe ampliata non solo ai casi di dolo o colpa grave, bensì anche alla responsabilità civile per i danni ingiusti “quindi non connessi alla fisiologica dannosità per il proposto del provvedimento ablatorio, cagionati con colpa o dolo.
Questa modifica invero appare assolutamente condivisibile. È giusto che l’amministratore giudiziario risponda in pieno delle proprie responsabilità nella conduzione dell’azienda; è infatti ingiusto, a mio giudizio che l’amministratore giudiziario debba godere di un’immunità non giustificata; e comunque nella conduzione dell’azienda sequestrata, la responsabilità dell’amministratore dovrà necessariamente essere condivisa con il Giudice delegato che, insieme all’amministratore giudiziario, emette provvedimenti inerenti alla gestione aziendale.
Abbiamo esempi di amministratori che hanno pagato personalmente errori effettuati nel corso della gestione per avere messo in esecuzione provvedimenti autorizzati dal giudice delegato le cui indagini sono state archiviate (e proseguite invece, presso altro Tribunale nei confronti dell’amministratore giudiziario).
La superiore elencazione delle modifiche proposte da apportare al codice antimafia è solo sintetica considerato che la proposta di legge prevede tante altre modifiche che unitamente a quelle espresse non potranno che procurare dei limiti all’applicazione della legge e, con molta probabilità, anche degli allungamenti dei tempi per la decretazione finale, sia essa il sequestro-confisca, o la revoca del sequestro.
Nella parte iniziale ho tentato di spiegare nel miglior modo possibile, il mio pensiero sul tanto discusso sistema di misure di prevenzione, insistendo sul punto che riguarda la necessità di poterlo utilizzare in forme sempre più stringenti al fine di combattere l’organizzazione criminale; ancorché, sotto il profilo concettuale non posso non condividere alcune modifiche della proposta di legge.
In ogni caso, ci sono dei punti che non possono essere modificati perché costituiscono le fondamenta della legge antimafia: faccio l’esempio dell’inversione dell’onere della prova o dell’introduzione dell’impugnazione del decreto di sequestro o confisca per mezzo di ricorso al Tribunale del riesame.
E allora sarebbe il caso che la proposta di legge depositata alla Camera dei deputati fosse una proposta condivisa, e rappresentasse il punto di soluzione di sintesi di un pensiero comune.
Sono perfettamente d’accordo sul fatto che l’attuale legge antimafia abbia bisogno di un restauro ma che si tratti di un restauro che non perda di vista la ratio che Pio La Torre ha voluto dare alla normativa in questione: la restituzione alla collettività dei beni confiscati alla mafia, come segno del risarcimento che le è dovuto per i danni concreti e morali ricevuti dall’organizzazione criminale.