Consolo, cronista e scrittore, linfa del giornale L'Ora a Palermo

Cultura | 5 luglio 2023
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“A Enzo per il suo arrivo al giornale”. La firma in calce al disegno è quella del pittore Bruno Caruso, la dedica è riservata allo scrittore Vincenzo Consolo.
«Me lo ha regalato lo zio Enzo nel corso di un suo soggiorno nella nostra casa di famiglia a Sant’Agata di Militello. Da allora non mi sono mai separata da questo disegno». Il ricordo è di Francesca Faraci, docente di Lettere in un liceo palermitano, pronipote dello scrittore siciliano Vincenzo Consolo, premio Strega nel 1992 con il romanzo “Nottetempo, casa per casa”, scomparso a Milano nel gennaio del 2012. Il disegno è contenuto all’interno di un foglio misura, una vecchia cartella editoriale di trenta righe per sessanta battute del giornale “L’Ora”. La griglia è contornata, artigianalmente, con un righello. La testatina del giornale ritagliata con le forbici. Il pittore Bruno Caruso salutava l’arrivo al giornale dell’amico scrittore, disegnando una donna avvenente. Pochi tratti densi tracciati con una matita sanguigna. Gli zigomi morbidi e pronunciati, le labbra che accennano un sorriso malizioso, gli occhi felini, i capelli vaporosi, la frangetta alla Brigitte Bardot. All’altezza del rigo 28, la dedica tracciata con una grafia nervosa, lettere appuntite e impazienti: “A Enzo per il suo arrivo al giornale”. In alto, nelle caselle dedicate al corpo tipografico, con tono scanzonato è scritto, “Corpo: Bonazzona”. Per le indicazioni del tipo di carattere è segnato, “Carattere: mite”. Nello spazio giustezza: “Tagliata per Enzo”. A sinistra, allineati in colonna, il numero delle righe. A fondo pagina una nota spiega che: “Una riga dattiloscritta di 54 battute corrisponde a due righe di piombo corpo 7 su una colonna al vivo”.
Questo disegno è il rimando a una pagina intensa e fondante per lo scrittore siciliano. È l’estate del 1975, lo scrittore poco più che quarantenne, aveva deciso di lasciare Milano e trasferirsi in Sicilia. Una decisione maturata dopo che gli era stato comminato un provvedimento di ammonizione dalla Rai di Milano. Erano anni di grave tensione sociale. Consolo fu personalmente segnato da quegli accadimenti. Era approdato nel capoluogo lombardo dopo aver vinto un concorso alla sede Rai di Milano. In Corso Sempione era stato chiamato ad occuparsi di cultura. Le sue nette prese di posizione, in aperto contrasto con le indicazioni del direttore Italo De Feo, gli costarono una sospensione dal servizio e un successivo reintegro, senza funzioni, con divieto di ingresso nella sede. Episodio amaro che lo convinse ad accettare l’invito che gli aveva rivolto Vittorio Nisticò, direttore del quotidiano palermitano “L’Ora”. Consolo aveva già pubblicato il libro “La ferita dell’aprile” nella collana sperimentale della Mondadori “Tornasoli” diretta da Niccolò Gallo e Vittorio Sereni. Il rapporto con il battagliero quotidiano siciliano aveva avuto inizio il 4 febbraio 1964, complice l’intercessione di Leonardo Sciascia, una recensione dedicata a un numero di “Menabò”, la rivista culturale di Elio Vittorini e Italo Calvino. Nel 1968 gli affidarono una rubrica dal titolo “Fuori casa” di montaliana memoria, un diario inviato dall’esilio milanese.
«Puntualmente correvo alla stazione, alla solita ora del pomeriggio ad aspettare il giornale per leggere la cronaca che si faceva storia nella rubrica “Quaderno” firmata da Leonardo Sciascia». Scriveva Consolo in una sua nota datata 16 maggio 1980, contenuta nel volume “Esercizi di cronaca” edito da Sellerio, libro che raduna tutti i suoi interventi pubblicati sul giornale “L’Ora”. A volere Consolo a Palermo era stato il direttore Vittorio Nisticò, calabrese di nascita ma palermitano di elezione. Guidò “L’Ora” dal 1954 al 1975. Tra le pagine del quotidiano del pomeriggio albergava la storia della Sicilia civile. Dalla prima inchiesta del 1958 fino a quelle drammatiche del terremoto del Belice. Dal governo di Silvio Milazzo alla guerra di mafia degli anni ’80. Fino alla chiusura nel 1992, singolare coincidenza, a pochi giorni dalla strage di Capaci.
Giunto in Sicilia, il 20 giugno 1975, Consolo fu inviato a Trapani per seguire un processo. Il pubblico ministero del processo si chiamava Gian Giacomo Ciaccio Montalto. Magistrato con il quale Consolo si legò da sincera amicizia durante il difficile processo in Corte d’Assise. Una tragica vicenda, tre bambine rapite e uccise, buttate dentro un pozzo da un demente. Nel corso del processo, Consolo provò a smontare la tesi dell’unica colpevolezza con una critica chiara, precisa, serrata.
Gli avvocati della difesa si batterono per dimostrare che l’imputato Michele Vinci, un fattorino di Marsala, era stato succube di mandanti per vendetta mafiosa che nel processo non comparivano. “Se mi dovesse accadere qualche cosa lei lo scriva”. Gli confessò più tardi il giudice nel corso del loro ultimo incontro a Val d’Erice, dopo avere ricevuto numerose telefonate e lettere anonime per le sue coraggiose inchieste legate a un colossale traffico di droga. Lasciato solo, senza protezione, fu fermato dalle raffiche di mitra. In quei mesi dell’estate del 1975, Consolo fu chiamato a misurarsi con la scelleratezza della Sicilia disperante. Registrava i paesi che si spopolavano per la grande emigrazione. Una coraggiosa battaglia del dubbio combattuta in punta di penna. Oltrepassava gli eventi, cercava prospettive inedite. Continuava a fare la spola tra il paese natio, Sant’Agata di Militello e Palermo, a bordo della sua Citroen 2CV. Aveva già scritto i primi due capitoli del libro che lo consegnerà alla fama: “Il sorriso dell’ignoto marinaio”. Un romanzo che provava a fare luce sul Risorgimento siciliano tradito. Sarà il libro rivelatore che lo consacrerà tra i protagonisti della letteratura italiana del Novecento connotandosi per una lingua carica di suggestioni linguistiche, in una disperante ricerca di giustizia di sciasciana memoria.
 di Concetto Prestifilippo

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