La sentenza sulla trattativa Stato-mafia, alcune riflessioni
Giorni addietro ho letto un articolo scritto da Roberto Scarpinato (ex procuratore generale della Corte di Appello di Palermo) e pubblicato sul sito del Centro Pio La Torre, che argomenta con chiarezza e con molta sapienza le motivazioni della sentenza pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, sul processo cosiddetto "trattativa Stato-mafia”. Scarpinato ripercorre tutta la storia inerente il tema in questione e lo fa da uomo che ha vissuto direttamente gli eventi.
Personalmente, da cittadino comune, sento il dovere di esprimermi sull’argomento, senza alcuna ambizione o velleità letteraria (per questo è bastato l’eccellente articolo di Scarpinato) per rappresentare la voce di quei cittadini che non capiscono come sia possibile che il giudizio di primo grado nel processo in argomento, possa essere scardinato totalmente dal Giudice d’appello.
Da sempre sento ripetere quello che ormai è diventato un luogo comune che dice che le sentenze non si commentano, anzi si rispettano. Sotto certi aspetti potrebbe essere
vero nel senso che non possiamo mettere in discussione i verdetti emessi dalla magistratura in nome della “Giustizia”. Per questo esistono i Tribunali: per andare alla ricerca della verità (quella giudiziaria) e quindi sentenziare l’innocenza o la colpevolezza
degli accusati.
Ovviamente la sentenza ha dato spazio a discussioni e polemiche – che per vero si sono spente quasi subito – a seguito delle quali si sono create diverse scuole di pensiero: e così abbiamo sentito quelli che continuano a credere che effettivamente la trattativa fra Stato e mafia ci sia stata (e debba tenersene conto fra i reati penali), ed altri che criticano addirittura la Procura che ha voluto tenacemente celebrare un processo impossibile e addirittura inutile, che è servito soltanto a gravare la comunità civile dei costi processuali.
Sandra Figliolo, in un suo articolo pubblicato su “Palermo Today”, sembra sostenere la tesi dell’inutilità di questo processo tenuto conto che i giudici d’appello sono pervenuti alla conclusione che la trattativa c’è stata ma non è stato consumato alcun reato. In buona sostanza sembrerebbe che il nostro codice penale non contenga alcuna norma che possa prevedere l’ipotesi accusatoria.
C’è un passo delle motivazioni scritte dalla Corte che per maggiore chiarezza trascrivo testualmente, che tratteggia in maniera originale le conclusioni a cui è pervenuto il giudice di primo grado: “L’avere ipotizzato anche nei confronti di eminenti personalità istituzionali, come il ministro Conso o il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, un concorso oggettivo alla realizzazione del reato o un cedimento alla minaccia mafiosa, con il risultato di dover compiere poi acrobazie dialettiche per affrancarli da un giudizio postumo di responsabilità penale (facendosi leva sulla genuinità delle intenzioni o sull’aver ignorato i retroscena più inquietanti) a parere di questa Corte, oltre che ingeneroso e inquietante, è frutto di un errore di sintassi giuridica”.
Il giudizio della Corte è molto duro e non lesina di esprimere una pesante critica nei confronti del giudice di primo grado con ciò manifestando anche la volontà – al di là delle questioni di merito del processo – di indirizzare al Tribunale una sorta di richiamo per aver compiuto un atto di irriverenza nei confronti di eminenti personalità e che viene definito come errore di sintassi giuridica.
Sembrerebbe che proprio in virtù di tale errore l’ex senatore Marcello Dell’Utri e l’ex capo del Ros, il generale Mario Mori, il generale Antonio Subranni e il sottoufficiale dei Carabinieri Giuseppe De Donno, siano stati assolti perché il fatto non costituisce reato.
Nelle motivazioni si sostiene che la “trattativa Stato-mafia” è stata intrapresa, sia pure intrattenendo rapporti ravvicinati con pezzi di "cosa nostra"
Ma da comune cittadino devo confessare che tali motivazioni provocano sconcerto: apprendere che i Carabinieri abbiano agito allo scopo di porre fine all’escalation della violenza mafiosa, a me, come a tanti altri cittadini, provoca profonda inquietudine.
E’ assolutamente inaccettabile che si scenda a patti con la criminalità organizzata ed altrettanto inaccettabile appare l’assoluzione di Mori e degli altri ufficiali e sottoufficiali dei Carabinieri.
“Così si legittima la zona grigia” dice Nino Di Matteo, componente del CSM. E Sergio Mattarella incalza “O si sta contro la mafia o si è complici dei mafiosi, non ci sono alternative”. Sempre Di Matteo: "L'attentato commissionato da Matteo Messina Denaro nei miei confronti ci fa capire che la mafia non ha abbandonato l'idea dell'attacco frontale allo Stato. La guerra non è finita". Ed ancora: “Rispetto la sentenza ma voglio leggere le motivazioni. Il teorema della trattativa non è una bufala, convinse i mafiosi a pensare che la strategia delle bombe fosse quella giusta".
C’è un altro aspetto che non si può sottovalutare: è come se questa sentenza costituisca una sorta di salvacondotto. Il fatto che vi sia un giudicato che sostiene che la “trattativa Stato-mafia” non costituisce reato, potrebbe indurre altri esponenti delle istituzioni, del mondo politico e della criminalità organizzata a reiterare la condotta in argomento, ove fosse ritenuto utile per il bene della collettività. E ciò anche se la Corte di Assise di Appello non manca di definire "improvvida"
A questo punto bisogna ritornare indietro, all’originaria domanda che si fanno i cittadini; quella domanda che rimane senza risposta e che genera stupore. "Come è possibile che gli imputati nel processo siano stati tutti condannati in primo grado ed assolti in appello?"
Mi piace, come faccio spesso, ricorrere all’aiuto di Saverio Lodato – noto giornalista e scrittore di cronaca giudiziaria – che con l’ acume che lo contraddistingue, non potendo dare risposta alla primaria domanda, con un pizzico di fantasia, gira la domanda ai due Presidenti delle due rispettive Corti. “E con entrambi ci scusiamo – dice Lodato nel suo articolo pubblicato su "Antimafia Duemila"
Alfredo Montalto, presidente della Corte d’Assise: “E’ nostro diritto ricordare". E’ quello che ha condannato.
Angelo Pellino, presidente della Corte d’assise d’appello: "E’ nostro diritto e dovere dimenticare”.
E’ quello che ha assolto. La differenza è tutta qui.
Ci vollero oltre cento anni prima che la parola Mafia entrasse a pieno titolo nei dibattiti. I primi grandi processi per mafia degli anni 60 e 70 si concludevano puntualmente con assoluzione per insufficienza di prove. E a emettere quelle sentenze era il fior fiore dei magistrati di allora. Altra storia è che se Giovanni Falcone e Paolo Borsellino non fossero mai venuti al mondo, prima di doverlo lasciare precocemente, forse oggi la storia sarebbe rintracciabile negli elenchi telefonici. Come accadeva per la Yakura in Giappone considerata dalla polizia del Sol Levante un male, ma un male necessario, al quale ricorrere per evitare mali peggiori. E ce lo raccontò Tiziano Terzani in pagine impagabili.
In conclusione. Cosa ci insegna, allora, questa storia dei processi sulla Trattativa Stato-Mafia ? Che adesso la parola trattativa può, almeno fino a sentenze contrarie, essere inclusa negli elenchi telefonici della Repubblica Italiana. E chi vuole può telefonare.”
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