Violenza sulle donne, il pregiudizio resiste anche nei tribunali
I femminicidi raccontano che il luogo e l’ambito più pericolosi per la donna spesso sono la sua abitazione e la sfera sentimentale. Sono i due elementi tra loro correlati che affiorano da uno studio sulla violenza di genere estrema (“Femminicidi a processo”) condotto da ricercatori e docenti dell’università di Palermo coordinati dalla sociologa Alessandra Dino. Due elementi che purtroppo troppo spesso ricorrono nella lunga scia di storie di donne ammazzate.
Alessandra Dino sottolinea, nel saggio, gli «effetti perversi» prodotti, sia nelle sentenze giudiziarie che in alcune cronache giornalistiche, della definizione di «gelosia», utilizzata quasi come una sorta di “giustificazione” per delitti che hanno la loro origine in uno sbilanciato rapporto di potere, nel desiderio di possesso della donna, rendendo difficile agli stessi magistrati formulare una motivazione univoca di fronte a episodi scatenanti classificabili semplicemente e ancor più tragicamente come «futili e abbietti»
I percorsi della ricerca, finanziata dal Miur, svelano gli stessi caratteri di efferata crudeltà tipici del fenomeno che si ritrovano negli ultimi casi di cronaca di cui sono state vittime la cantante palermitana Piera Napoli uccisa in casa dal marito, Ilenia Fabbri sgozzata in cucina a Faenza e Roberta Siragusa, la 17enne assassinata e bruciata, sostiene l’accusa, dal fidanzato Pietro Morreale a Caccamo nel Palermitano.
I ricercatori dell’università di Palermo hanno analizzato per la loro indagine, dalla quale è stato ricavato un volume (appena pubblicato per i tipi di Meltemi), 370 sentenze emesse tra il 2010 e il 2016.
Tra le carte giudiziarie si fa riferimento nel 27,4% a motivi sentimentali declinati in varie tipologie. Una di queste - fanno notare i ricercatori - viene chiamata ancora «sentimentale per gelosia» e spesso è associata a una dimensione “morbosa”. Per Alessandra Dino si tratta di uno dei tanti “pregiudizi”, non solo lessicali che emergono dalla lettura delle sentenze. «Lo vediamo - dice - nelle motivazioni e nei dispositivi di alcune sentenze. Quando la motivazione addotta è la ‘gelosià’ possono essere riconosciute le attenuanti generiche e difficilmente all’imputato viene contestata l’aggravante dei motivi abietti e futili». In qualche sentenza si legge perfino che l’assassino ha agito sotto la spinta di una «non controllata gelosia».
I ricercatori di Palermo, che hanno interpellato anche trenta testimoni privilegiati (magistrati, avvocati, medici legali) hanno approfondito la lettura dei femminicidi per ricavarne alcune tipologie fortemente connotate. Il marito o il fidanzato uccide per esercitare «possesso e dominio». Il gesto estremo diventa in questi casi l’affermazione del potere incondizionato dell’uomo sulla donna e come la «negazione totale della libertà della donna di autodeterminarsi». L’indagine ha poi individuato pochi casi (appena il 3,3 per cento) di uccisioni collegate a una violenza sessuale e alcuni episodi di «femminicidio altruistico» compiuto da mariti o stretti congiunti che non sopportano le sofferenze della moglie ammalata e dicono di averla uccisa per risparmiarle altre pene. In generale, nella statistica criminale, il numero delle donne uccise è cresciuto in percentuale nel rapporto con numero di uomini uccisi. È un altro indicatore che esprime il radicamento del fenomeno e l’esposizione della donna alla violenza, costante nel tempo. E serve a dare un senso alle proposte di cui si fa portavoce Alessandra Dino: alzare il livello di prevenzione sul territorio, puntare sulla formazione di magistrati e operatori, creare una rete di protezione dei soggetti femminili a rischio. Senza trascurare la lettura della dimensione culturale dei femminicidi.
“Femminicidi a processo. Dati stereotipi e narrazioni della violenza di genere”
Saggio coordinato dalla sociologa e scrittrice Alessandra Dino,
con i contributi di Clara Cardella, Gaetano Gucciardo e Laura Sapienza
(Metemi Editore, pagine 200, prezzo 18 euro)
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