Di ponte in ponte.
Di ponte si parla o meglio si viveva ogni qual volta una festività cadesse prima dell’ultimo giorno lavorativo a ridosso del fine settimana. Allora, in tempi andati, quando ancora la pandemia non aveva spento entusiasmi e sorrisi, si organizzavano tre o quattro giorni di svago a mare, in montagna, in città d’arte, oppure “mordi e fuggi” nelle capitali europee. Ora, tutto questo, da due e più anni appartiene alla gora dei rimpianti andati ad alimentare ricordi del passato, in attesa del ritorno a una normalità, fondamentalmente diversa da quella lasciata alle spalle.
E, dunque, l’idea di uno psicoterapeuta talentuoso di sottoporre ad analisi se non tutta, la maggioranza della popolazione mondiale, almeno quella disponile ad assoggettarvisi, utilizzando i mezzi di comunicazione, mostra, seppure per assurdo, l’arguzia di chi, avendo compreso la regressione in atto, non più patologia del singolo, bensì meccanismo di massa, intende curarla mostrando la fine di un’era e l’inizio di un ciclo di profonda trasformazione, in nulla eguale rispetto al passato.
Di ponti in versione tempo libero, da impiegare in gite e vacanze parleremo a virus sconfitto, giacché la diffusione pandemica, avendo provocato oltre a miliardi di contagi e milioni di morti, il crollo delle economie in ogni angolo del globo, adesso costringe il mondo intero al collasso, se non si interviene segnatamente sul rifacimento dei modelli di produzione.
A Bruxelles, a Strasburgo come a Roma si studiano paradigmi di rilancio ma, al contempo, nuovi approcci. Si punterà sui territori arretrati, in quanto da essi si potranno trarre i maggiori incrementi di produzione e di produttività. A caricarsi il fardello, quindi, dello sviluppo post-pandemico saranno i vari sud del mondo. Si partirà da essi per ottenere l’inversione di tendenza, non tanto e non solo, in Europa, rispetto al galoppare dell’inflazione, al lievitare abnorme dei costi dell’energia, quanto alla “versatilità” e alla “capienza” dei territori vocati alla crescita sostenibile.
Per dirla semplicemente, mentre, prima del Covid 19, rincorrere la maggiore velocità dei nord del globo per accorciarne le distanze era la missione dei meridioni, da oggi a dettare il passo saranno le istanze produttive del sud, in grado di generare risorse eco-compatibili. In un simile scenario si colloca il potenziamento strutturale, inteso come condizione indispensabile per consentire all’Italia, nell’alveo complessivo dell’Europa, di riprendere il passo della crescita, senza la quale, com’è noto, l’attuale modello produttivo collasserebbe. Non c’è occasione migliore per colmare svantaggi strutturali, preparando la Sicilia, il Meridione, al compito ineludibile di trainare l’economia italiana verso la ripresa.
Ebbene, contrariamente a quanto si pensi, la gaffe di un deputato regionale, anche assessore al turismo, nel definire la Sicilia un’isola circondata dal mare!, coglieva al fondo, nel paradosso della pacchiana ed erronea definizione, un elemento di verità, cioè quanta volontà popolare vi sarebbe tra gli isolani di entrare attraverso la costruzione del ponte sullo stretto di Messina in rapporto di contiguità e continuità con il continente e attraverso esso con la globalità permanente.
Fosse una libera scelta, Scilla e Cariddi sopravvivrebbero agevolmente insieme con il mito di Odisseo all’innovazione del ponte, ma si tratta di una necessità ineludibile, irrimandabile.
“Signori si cambia”, la Sicilia diventerà una vettura del Frecciarossa, viaggerà da Capo Passero alle Alpi sulle rotaie di Rete ferroviaria italiana, anche nei confortevoli vagoni di Italo, a condizione di rinunciare a una specificità, a metà tra il retaggio culturale, la manifestazione di volontà e il lascito mentale della storia pregressa, a patto di una mobilitazione di intelligenze, di azioni e pressioni, di interventi, di rivendicazioni tendenti a imporre l’infrastrutturazione del territorio.
Si metta da canto la vecchia e polverosa volontà politica, affermando, in punta di logica, il principio che il definitivo decollo del Paese potrà avvenire agganciando il meridione alla motrice del nord. Per carità, a prevenire i soliti sarcasmi di forza Etna o ingresso vietato a cani e meridionali, non si propongono interventi di assistenza, bensì, un atto unico, da solo in grado di cambiare i destini del Mezzogiorno e con esso del Paese, legando lo sviluppo a parametri produttivi di stampo europeo, ovvero la costruzione del ponte sullo stretto di Messina.
Nient’altro di diverso. Con buona pace di chi, in tempi trascorsi, ha urlato contro l’opera, indispensabile a collegare la Sicilia al resto d’Europa, gli eventi economici in corso di svolgimento, proprio nei momenti di maggiore crisi legati alla pandemia da Covid 19, hanno mostrato l’effetto di trascinamento proprio di strutture di primo livello, quali il ponte sullo stretto, sull’intero sistema produttivo meridionale. In chiaro, completata l’opera non solamente, verrebbe immediatamente realizzata per “contaminazione” l’infrastrutturazione della regione e di quelle limitrofe, bensì l’intero sistema meridionale si gioverebbe dell’effetto domino, descrivibile attraverso la diffusione dell’offerta di merci e servizi, generati dall’attraversamento stabile dello stretto e dal collegamento con autoporti, interporti, stazioni intermodali, dove lo scambio camion-treno-nave con il sistema dei containers collegherebbe il meridione d’Italia alle direttrici internazionali.
Insomma, la vecchia e triste immagine, contenuta nel titolo del romanzo di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, andrebbe cancellata, ma anche il più recente e realistico giudizio di Napoli, estremo confine meridionale dell’Italia, andrebbe incontro al suo naturale compimento.
Dal dire al fare, il quotidiano La Sicilia, da tempo ha iniziato un martellamento per ottenere lo studio di fattibilità sul ponte dopo la consegna in Parlamento della relazione favorevole del comitato di esperti e l’annuncio del ministro dei trasporti, Enrico Giovannini, a nome del governo sulla disponibilità ad avviarne l’iter realizzativo.
Sarebbe superfluo rammentare non si tratta di risorse mancanti, giacché su 61,4 miliardi di euro previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, in uno con il Piano nazionale complementare, 33,8 miliardi sono destinate a investimenti nel Mezzogiorno.
Se con i fichi secchi non si celebrano nozze, a dar retta ai nostri nonni, oggi non si costruiscono ponti nemmeno con miliardi di euro, se non si sollecitasse un pronunciamento del Governo sulla indispensabilità dell’opera, ponte sullo stretto di Messina.
Giacché in democrazia la forza di mobilitazione ha valore primario, l’idea di contribuire allo sviluppo del Sud, nell’ambito di una controversa e irrisolta questione meridionale, aprirebbe una stagione di opportunità, di proposte, di idee da lanciare dalle pagine del La Sicilia, tramite una petizione, scritta e documentata da esperti trasportisti, rivolta al Presidente del Consiglio, ai Ministri competenti, allo stesso Parlamento, firmata dai sindacati, dai partiti, dagli ordini professionali, dagli stessi intellettuali, cui si deve, nel passato, battaglie di libertà ed emancipazione in favore del Sud.
E, allora, forza Sicilia. Avanti tutta!
a.mattone@icloud.com
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