Al vertice della tensione: l’Ucraina e ora Kaliningrad

Società | 25 giugno 2022
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1.La “bomba” Kaliningrad 

Minacce, ancora minacce e un nuovo fronte che si apre tra Nato e Russia. Lontano dall’Ucraina ma collegato all’Ucraina. Nelle ultime settimane mentre nel Donbass si combatte duramente e mentre i missili russi piovono non solo sull’est dell’Ucraina (cioè nel Donbass) o sul sud ma su tutto il paese, assistiamo ad un costante aumento della tensione. Negoziati per un cessate il fuoco al palo. Anche i negoziati Russia-Ucraina-Turchia per sbloccare l’esportazione di grano di Kiev verso gli affamati mercati non solo occidentali ma soprattutto dei paesi in via di sviluppo procedono a rilento mentre la situazione alimentare nei paesi più poveri si avvicina velocemente al punto di non ritorno.
Insomma alla celebre frase titolo di un libro “All’Ovest niente di nuovo” potremmo sostituirne un’altra che tristemente suona quasi identica: “All’Est niente di nuovo”. Se non l’aumento quasi giornaliero della tensione e del livello di scontro.
Andiamo con ordine mettendo in fila preoccupanti prese di posizione, esibizioni muscolari e l’ormai acclarato ingresso nella partita dell’enclave (o più correttamente exclave) russa di Kaliningrad sul Baltico. E che ingresso.

 2.Medvedev, Putin e lo zar Pietro il Grande

 Impressionano in modo particolare le deliranti dichiarazioni di Medvedev all’indirizzo degli occidentali del 7 giugno 2022. Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo, ex presidente della Federazione russa, ex capo del governo, ha scritto sul suo canale Telegram: “Mi viene spesso chiesto perché i miei post sono così duri. La risposta è che li odio. Sono bastardi e imbranati. Vogliono la nostra morte, quella della Russia. E finchè sono vivo farò di tutto per farli sparire”.
Dichiarazioni che fanno il paio con quelle di Putin il quale tre giorni dopo si paragona al suo idolo e riferimento storico: lo zar Pietro I il Grande. Regnò per 43 anni fino al 1725 e fece costruire la nuova capitale San Pietroburgo, città natale di Putin, sulla terra strappata alla Svezia. In una manifestazione che celebra lo zar Pietro il presidente Putin ha dichiarato: “Pietro il Grande ha guidato la Grande Guerra del Nord per 21 anni. Sembrava stesse togliendo qualcosa alla Svezia. Non le stava togliendo nulla. Stava riprendendo il controllo. Quando fondò una nuova capitale nessuno dei Paesi europei riconobbe questo nuovo territorio come appartenente alla Russia. Tutti lo consideravano parte della Svezia. Ma da tempo immemorabile gli slavi vi abitavano insieme ai popoli ungaro-finnici. Stava riprendendo (quello che apparteneva alla Russia) e rafforzando (il Paese). Spetta anche a noi riprendere e rafforzare. Non c’è uno stato intermedio. Un paese o è sovrano o è una colonia”. Il parallelo con le sue gesta di questi mesi non è neppure tanto velato: l’Ucraina come i territori su cui sorgerà San Pietroburgo, Putin come lo zar Pietro il Grande. Oltre tre secoli sono trascorsi invano nella testa dell’accoppiata che da venti anni governa la Russia e del boss Vladimir in particolare. Può sembrare un paradosso ma Pietro il Grande era più avanti, più illuminato, di Putin. Il primo guardava all’Occidente, alle sue correnti di pensiero, alle sue trasformazioni industriali. Ha dato un forte impulso alla modernizzazione della Russia. Ha avvicinato il suo arretrato paese all’Occidente, ha “aperto” una finestra sull’Europa. Vladimir Putin quella finestra l’ha chiusa.
Ha scritto sul suo profilo Telegram il 15 giugno lo scatenato Medvedev che punta negli equilibri di potere a Mosca ad accreditarsi come “falco” per salvare la sedia: “Solo una domanda: chi ha detto che l’Ucraina tra due anni esisterà ancora nella mappa del mondo?”.
Meno perentoria il 18 giugno sul tema ma eloquente sull’obiettivo che il Cremlino persegue la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova: “L’Ucraina che voi e io abbiamo conosciuto, all’interno dei confini che c’erano una volta, non esiste più e non esisterà mai più. Questo è evidente” (Adnkronos, 18 giugno 2022). L’invasione come strumento di ampliamento del proprio territorio nazionale e di sottrazione di territorio a stati più deboli confinanti: esattamente come agiva Adolf Hitler negli anni ’30 del secolo scorso nell’Europa centrale.
Il 17 giugno, parlando al Forum economico di San Pietroburgo, il presidente Putin era tornato sulla sua ossessione: è finito l’ordine mondiale unipolare. “Gli Usa pensano di essere l’unico centro del mondo”. “I partner occidentali minano intenzionalmente le fondamenta internazionali, in nome delle loro illusioni geopolitiche”. “In Europa ci sarà una ondata di radicalismo e un cambiamento di élite”. Le sanzioni contro Mosca, “folli e sconsiderate, non hanno funzionato” ma hanno “danneggiato le economie europee”.
La Russia ha ormai chiuso con l’Europa. Guarda alla Cina, all’India, ad altre aree geografiche in Asia, Africa, America latina. A Mosca si continua ancora - ricorrendo a vecchi strumenti della propaganda sovietica – a descrivere l’Europa come il continente degli stati colonialisti. Quando il neocolonialismo è ormai tutto di marca cinese, russa, turca.

 3.Non arrivano caviale e sigari dalla Russia a Kaliningrad

Putin esalta le performance distruttive del missile intercontinentale “Sarmat 2”
Ma è all’inizio della terza decade di giugno che l’asticella della tensione si innalza per l’ennesima volta. Con un doppio scatto nella scala della crescita. Come avevamo anticipato in queste pagine e come temiamo, Kaliningrad conferma tutta la carica esplosiva di bomba ad orologeria piazzata nel bel mezzo dell’Europa. Con l’applicazione da parte della Lituania delle sanzioni dell’Unione Europea alla Russia, a Kaliningrad si apre un nuovo inquietante fronte tra Mosca e Bruxelles, intesa sia come sede della Unione Europea che della Nato. Nel caso la Lituania e più in generale l’Unione Europea si sono dimostrate non solo incaute ma anche imprevidenti. Un micidiale autogol la pretesa di isolare l’exclave di Kaliningrad. Anche se solo per il trasporto di alcuni prodotti dalla madrepatria. Rendendo complicato il ricorso al corridoio attraverso la Lituania che collega la Russia al suo territorio che si affaccia al Baltico. La Russia è campione mondiale nella costruzione a tavolino di falsi pretesti per giustificare ritorsioni, manifestazioni prezzolate, interventi armati, “operazioni speciali”. Figuriamoci come, nella fattispecie, a Mosca ci si sfreghi le mani per il gradito “assist” all’adozione del suo campionario di ritorsioni e minacce quando il motivo è una volta tanto non privo di un barlume di concretezza e non del tutto inventato. Come lo è stato invece, per restare in tema, il tanto sbandierato quanto inesistente “genocidio” che secondo il Cremlino sarebbe stato praticato dal 2014 dall’Ucraina su russofoni e filorussi del Donbass.
Il secondo ingrediente del salto di tensione appare invece ormai purtroppo routinario nella condotta del presidente della Federazione Russa: ancora minacce al mondo, ancora presentazioni con il massimo clamore mediatico possibile di armi termonucleari “di cui nessuna altra potenza atomica dispone”, come si ripete a Mosca. E’ il turno del nuovo vettore “Sarmat”, tanto evocato nelle trasmissioni televisive moscovite. Un mostro con motore a combustione liquida. Missile intercontinentale, peso 200 tonnellate, 36 metri di lunghezza e 3 di diametro. Vola a 20,7 volte la velocità del suono ossia a 25.000 chilometri orari e può trasportare dieci-dodici testate nucleari. Un missile capace di effettuare traiettorie circumterrestri e colpire bersagli entro un’ora dall’altra parte del pianeta da direzioni insospettabili o imprevedibili.
Putin ormai minacciatore seriale, ormai terrorista seriale – per ora solo mediatico – per tutti gli stati di tutti i continenti. A questo ruolo alla coreana, alla Kim Jong-un, si è ridotta la leadership della Russia, una delle culle della cultura europea. Perché solo questo ormai è il linguaggio politico che sa esprimere per sua formazione il presidente della Federazione Russa. Così come i suoi “yes man”, buona parte dei quali – è bene sempre ricordarlo – provenienti anche loro dalle file dei servizi segreti, dal Kgb, ora Fsb, nonché dall’apparato militare e industriale-militare.
Tra le tante alternative abbiamo scelto di riportare la lettura “collegata” dei due nuovi filoni di tensione che ha saputo ben strutturare il quotidiano romano “Il Messaggero”:
“«Non esiste esercito al mondo più efficiente di quello russo», ma bisogna lavorare per renderlo ancora più forte, e tra i prossimi passi ci sarà lo schieramento entro la fine dell'anno nella Siberia centrale del nuovo missile intercontinentale Sarmat, capace di portare le sue testate nucleari multiple in ogni angolo del mondo. Mentre si impenna la tensione per il nuovo braccio di ferro con l'Occidente per il blocco all'exclave russa di Kaliningrad, il presidente Vladimir Putin fa appello all'orgoglio per la potenza russa, avvertendo che Mosca è pronta a difendersi in tutti i modi da eventuali attacchi esterni. L'occasione è un discorso tenuto al Cremlino ai laureati nelle accademie militari del Paese, durante il quale il leader comincia con il rendere omaggio agli ufficiali e ai soldati impegnati nella cosiddetta «operazione militare speciale» in Ucraina. «Veri eroi», li definisce, salutandoli come «nipoti e bisnipoti degli eroi della Grande guerra patriottica» contro gli invasori nazisti. E «l'enorme e genuino sostegno popolare» di cui godono è ciò che «rende la Russia una potenza grande e indistruttibile».
Per alimentare ancor più lo spirito nazionalista che si nutre delle imprese del passato non poteva esserci occasione migliore del caso Kaliningrad, con il blocco imposto dalla Lituania, in osservanza delle sanzioni Ue, al transito di una parte dei prodotti trasportati da Mosca verso questa regione russa schiacciata tra i territori Nato di Lituania e Polonia. È stata Vilnius ad annunciare l'interruzione del trasporto di una serie di prodotti messi al bando dalle misure restrittive dell'Unione: tra questi, materiali ferrosi e da costruzione, elettrodomestici, auto e loro parti di ricambio, oltre a varie merci di lusso, compresi caviale, sigari e cavalli. La prima ministra lituana, Ingrida Simonyte, ha negato che Vilnius stia applicando un «blocco» di Kaliningrad, sottolineando che tutti gli altri prodotti non sanzionati dalla Ue possono continuare a passare. Ma ciò non basta a placare le ire del Cremlino, che ha inviato a Kaliningrad il falco Nikolai Petrushev. La risposta russa è in fase di elaborazione, e avrà «un serio impatto negativo sulla popolazione della Lituania», è stato il monito lanciato dal segretario del Consiglio per la sicurezza nazionale. Mentre a Mosca il ministero degli Esteri ha convocato l'ambasciatore dell'Unione europea Markus Ederer per chiedere «l'immediata» revoca delle misure restrittive all'exclave. «Faccio appello alla parte russa perché mantenga il sangue freddo e non provochi un'escalation», questa disputa può essere risolta «per vie diplomatiche», ha assicurato il rappresentante di Bruxelles al termine di un teso confronto con il vice ministro degli Esteri russo Alexander Grushko.
Nel frattempo però Putin ricorre al linguaggio delle armi. Prima fra tutte, appunto, il Sarmat S-28, il vettore balistico testato con successo in aprile con un lancio dalla base di Plesetsk, 800 chilometri a nord di Mosca, fin sul poligono di Kura, nell'Estremo Oriente. Un evento seguito in diretta da Putin e celebrato con toni trionfalistici, anche se il Pentagono lo aveva liquidato come un'operazione di «routine» che non rappresentava una seria «minaccia». Ma il presidente russo è tornato alla carica, annunciando l'entrata in servizio entro il 2022 del missile in una base nel territorio di Krasnoyarsk, insieme con la fornitura all'esercito dei nuovi sistemi di difesa missilistica S-500, capaci di colpire anche vettori in volo ipersonico. Sistemi d'arma che «non hanno uguali nel mondo», ha proclamato Putin, a capo di un Paese che, detenendo una quota del 20% delle vendite globali di armi (secondo solo al 37% degli Usa), riserva una particolare attenzione alla promozione commerciale. E infatti il capo del Cremlino ha affermato che i tecnici russi stanno lavorando anche allo sviluppo di armi «basate su nuovi principi fisici, come il laser e l'elettromagnetica».
Il nuovo missile balistico intercontinentale (Icbm) è dotato di armamento termonucleare. A propellente liquido, pesa 200 tonnellate e, secondo quanto riferito, è in grado di scatenare dodici grandi testate termonucleari con una resa esplosiva fino a 750 kilotoni. La bomba atomica di Hiroshima era di circa 15 kilotoni. Il Sarmat o Satan 2 può consegnare anche il nuovo veicolo di planata ipersonico (Hgv) Avangard. L’alta velocità, la bassa traiettoria e la manovrabilità a metà volo di Avangard potrebbe diventare immune all’intercettazione del sistema di scudi Thaad americano (il sistema antimissile d’intercettazione Thaad non va oltre la velocità di 23.860 chilometri orari, n.d.r.), semplicemente ricorrendo ad una traiettoria che passi al di sopra del polo sud terrestre, zona non coperta da alcun apparato radar di “early warning” o sistema missilistico difensivo. (“Putin: il missile Sarmat operativo entro fine anno. Lo zar disse: “Farà riflettere coloro che ci stanno minacciando” ”, “Il Messaggero.it”, 21-22 giugno 2022). 

 4.Una risposta “non diplomatica”, la messa in guardia americana e l’articolo 5 della Nato

 La risposta russa al divieto di transito merci nella regione di Kaliningrad attraverso la Lituania “sarà di stampo pratico e non diplomatico”. Così ha dichiarato la solita portavoce del Ministero degli Esteri di Mosca. “Non è più tempo di colloqui. Proteggeremo i nostri interessi se lo stop non sarà revocato”.
Replica del Dipartimento di Stato Usa: “La Lituania è un membro della Nato e gli Stati Uniti sono al suo fianco. Il nostro sostegno è blindato. Sin dall’inizio dell’ingiustificata invasione russa dell’Ucraina abbiamo sottolineato l’importanza dell’articolo 5 della Nato. E’ il fondamento dell’alleanza di cui la Lituania è membro”.
Se Mosca tentasse di forzare il corridoio per Kaliningrad entrando in territorio lituano oppure tentasse di aprirne uno alternativo via Bielorussia e Polonia oppure attuasse per ritorsione un qualche blocco navale nei confronti della Lituania si aprirebbero le porte ad uno scontro diretto Nato-Russia. Esisterebbero infatti le condizioni per fare scattare il tanto temuto quanto cogente articolo 5 del trattato istitutivo della Nato del 4 aprile 1949 che testualmente così dispone: “Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall'art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell'Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali”.
In altre parole: si aprirebbe un secondo fronte di guerra dopo quello ucraino. Con la sostanziale differenza che l’Ucraina non fa parte della Nato e quindi non ha comportato obblighi diretti di coinvolgimento ed impegno di truppe sul terreno da parte dei paesi della Nato.
Una polveriera. Di peggio non si poteva partorire per Kaliningrad e la piccola quanto incauta Lituania non poteva apparecchiare. Ma il governo di Vilnius, capitale della Lituania, smentisce Mosca. Secondo Vilnius il blocco a seguito delle sanzioni colpisce solo l’1 per cento del movimento dal territorio metropolitano in direzione dell’exclave. Se così fosse saremmo alle prese con l’ennesimo caso di “disinformazia” russa creato apposta per provocare pretesti.
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale un giornalista e parlamentare francese scrisse una frase rimasta famosa “Ma morire per Danzica no!”. Non è che a noi toccherà “morire per Kaliningrad” o, più precisamente, perché attraverso il corridoio lituano dalla Russia …non arrivano più il caviale e i sigari agli abitanti di Kaliningrad?

 di Pino Scorciapino

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