Scuola, un ragazzo su cinque abbandona prima del tempo

Giovani | 11 gennaio 2021
Condividi su WhatsApp Twitter

In Italia, nel 2019 circa il 13,5% dei giovani tra i 18 e i 24 anni ha abbandonato la scuola prima prima di raggiungere il diploma. Una cifra che è molto diminuita nellultimo decennio (erano oltre il 23% nel 2004), sebbene resti ancora sopra lobiettivo europeo per il 2020: scendere sotto quota 10%. Ad abbandonare la scuola prima del tempo- secondo la fotografia scattata da Openpolis- contribuiscono diversi fattori: quelli socio-economici sembrano essere quelli più influenti, seguiti dal livello di competenze raggiunto nel corso degli studi. A lasciare gli studi prima del tempo è, in molti casi, chi aveva i risultati scolastici più bassi. Unindicazione in questo senso arriva dal confronto tra la percentuale di studenti con competenze alfabetiche inadeguate (in base ai test Invalsi) e il tasso di abbandoni scolastici. A livello regionale, la relazione emerge in modo piuttosto chiaro: laddove i risultati scolastici sono più bassi, le uscite precoci dal sistema di formazione sono più frequenti. In Sicilia, Sardegna, Campania e Calabria oltre il 40% degli studenti delle classi seconde delle scuole secondarie di secondo grado ha ottenuto un punteggio nelle competenze alfabetiche al di sotto della sufficienza nelle prove Invalsi. In queste stesse regioni, gli abbandoni superano il 17%.

L’interruzione della scuola prima del tempo è spesso solo l’esito conclusivo di fenomeni di dispersione che si trascinano durante il percorso di studi: ripetenze, ritardi e scarsi risultati scolastici. Fattori che spesso si accompagnano a demotivazione e poca fiducia nelle proprie capacità, e che aumentano le probabilità di lasciare la scuola precocemente. È proprio nei nuclei svantaggiati che i risultati scolastici sono più bassi, in tutte le materie, e purtroppo già a partire dall’istruzione primaria. Gli insuccessi scolastici sono spesso correlati a una difficoltà economica e sociale del nucleo. In questo senso, la condizione socio-economica influenza il rischio abbandono due volte. Da un lato, rendendo il costo della prosecuzione degli studi troppo oneroso rispetto all’ingresso nel mondo del lavoro. Dall’altro, una situazione di deprivazione sociale può ridurre le aspettative dei genitori verso il percorso scolastico dei figli, compromettendo l’autostima di questi ultimi.

Accanto ai giovani adulti che non hanno conseguito un titolo di studio di scuola secondaria di secondo grado, esiste una quota non trascurabile di studenti che termina il percorso scolastico ma senza raggiungere, nemmeno lontanamente, i traguardi minimi previsti dopo 13 anni di scuola in molte regioni del Mezzogiorno e i dispersi totali sono più del 25%. In particolare, in base ai dati elaborati da Invalsi sommando dispersione esplicita ed implicita, è proprio nelle 4 regioni già identificate in precedenza (Sicilia, Sardegna, Campania e Calabria) che si raggiungono i livelli più elevati di dispersione totale. È del 37,4% l’indicatore di dispersione totale per la Sardegna, come elaborato da Invalsi. Segue il dato di Sicilia (37%), Calabria (33,1%) e Campania (31,9%).

In 53 capoluoghi (quasi il 70% nelle regioni del nord) un livello di competenze medio o medio-alto si accompagna ad uscite precoci al di sotto della media nazionale (15,5% tra i giovani di 15-24 anni al momento della rilevazione). In altri 23 si registra la situazione opposta (abbandoni sopra la media e competenze sotto la media), e 19 di questi si trovano nel mezzogiorno. Nelle regioni del sud e delle isole, il 47,5% dei capoluoghi di provincia o di città metropolitana si trova in questa condizione. Abbandoni sopra la media e basse competenze si registrano in quasi la metà dei capoluoghi del Mezzogiorno.

I capoluoghi con più famiglie in disagio sono generalmente anche quelli dove il fenomeno dell’abbandono incide maggiormente, e dove spesso i livelli di apprendimento risultano più bassi. Tali tendenze mostrano quanto condizione economica ed educativa possano essere legate. Per questo investire in un’educazione di qualità per tutti, oltre a contenere il rischio povertà educativa, è anche la strategia per migliorare le possibilità di sviluppo economico di interi territori.

Unistruzione inadeguata significa che i giovani non hanno il livello di competenze richiesto dalle economie di oggi, che si basano sui mezzi di produzione ad alto coefficiente di conoscenze. A sua volta, una maggiore disoccupazione determina, da un lato, minor crescita economica e gettito fiscale e, dallaltro, maggiori indennità di disoccupazione e prestazioni sociali.

 di Melania Federico

Ultimi articoli

« Articoli precedenti