Quella fronda di detrattori che spinge all’indietro le misure preventive

L'analisi | 5 agosto 2024
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La lettura degli interventi di Franco La Torre e di Emilio Miceli stimola una profonda riflessione sul tema della legge Rognoni-La Torre. Proprio in un periodo in cui si avvicina sempre più il rischio che quella legge venga cancellata – o resa ininfluente – per mano dell’attuale governo autocrate. Con buona pace di un temerario gruppo di intellettuali (accademici, giuristi, avvocati, sociologi) che ne declinano presunti elementi di incostituzionalità e di ingiustizia; o anche da parte di semplici cittadini che, sorretti da una buona dose di specifica ignoranza giuridica, invocano a tutto spiano l’abrogazione della legge in questione. E non mancano, fra questi, quelli che l’abrogazione della legge l’invocano per essere stati vittime della legge stessa che avrebbe distrutto legittimi patrimoni di famiglia, frutto di onesto lavoro, riducendo alla miseria corretti e irreprensibili lavoratori; e tutto ciò – si sostiene – per responsabilità di Silvana Saguto (ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo) la quale, in combutta con alcuni amministratori giudiziari di propria fiducia, avrebbe costruito un vero e proprio “cerchio magico” per utilizzare la misura di prevenzione come strumento di arricchimento personale.
Ma non voglio parlare di Saguto, della quale si è detto già abbastanza; ci basta sapere che è stata condannata e sta scontando la sua pena. Piuttosto ho pensato che fosse arrivato il momento per intavolare un vero e proprio dibattito – possibilmente con contraddittorio – per dipanare la matassa in difesa di una legge intelligente che è costata la vita, in primo luogo a un uomo onesto come Pio La Torre, senza dimenticare Carlo Alberto dalla Chiesa e Giovanni Falcone che primo, fra tutti, ebbe l’intuito di seguire nuove strategie per combattere la criminalità organizzata. 

Un caposaldo della prevenzione 

E allora, comincio da qui.
Abbiamo avuto modo di constatare come la legge Rognoni-La Torre, sia complessa e quanto sofferta sia stata la sua nascita. Essa invero si discosta da tutti i canoni solitamente adottati dal legislatore in occasione dell’emanazione di nuove norme; ciò avviene perché è una legge che si è formata nel tempo in conformità ai vari tristi eventi stragisti. E non sempre le varie leggi integrative – che piuttosto sottendono scopi demagogici – abbiano quelle peculiarità necessarie per fare in modo che la magistratura possa essere dotata di idonei strumenti per la lotta alla criminalità organizzata.
Pare che la legge in discussione sia di difficile comprensione a molti soprattutto perché interviene sul diritto di libertà dell’uomo anche se contemporaneamente si prefigge, come scopo primario, quello di tutelare la collettività dall’azione criminale delle consorterie mafiose. È dunque una legge che serve a prevenire e quindi a prevenire la commissione di reati.
Tale legge costituisce il caposaldo delle misure di prevenzione. E dobbiamo dare merito a Pio La Torre se sia stato possibile creare questo raro strumento legislativo di prevenzione che ha consentito, pur con le sue innumerevoli lacune, di rifondare quel metodo di indagine concepito da Giovanni Falcone, il cui principio si rivelava nella famosa locuzione: “follow the money” (segui il denaro).
Seguire il denaro voleva significare analizzare tutti i flussi monetari e cartolari, in entrata e in uscita. Qualunque movimento di denaro lascia inevitabilmente le proprie tracce che consentiranno poi, nel loro insieme, di delineare quel percorso vizioso compiuto dai flussi, dal punto di partenza al punto di arrivo.
Ricordiamo i tempi andati, nei quali era consentita la trasferibilità degli assegni bancari di conto corrente? E chi potrà dimenticare il numero delle girate apposte sul retro? Cinque, dieci, quindici girate senza possibilità alcuna di potere decifrare i soggetti trattari a causa delle numerose firme illeggibili. Ebbene, quegli assegni, il più delle volte con scadenza ritardata, venivano utilizzati per effettuare pagamenti di cui però non si saprà mai nulla. In effetti ogni girata stava a rappresentare un pagamento – comunque un movimento di denaro – e quindi il compimento di un’operazione commerciale, probabilmente anche “in nero”. Queste operazioni magari avranno contribuito a creare quel tesoretto di liquidità, tanto caro alle famiglie mafiose; quel tesoretto che, insieme ad altri beni mobili, immobili e valori mobiliari, formano quei patrimoni illeciti che la legge Rognoni-La Torre ci consente di aggredire sottraendoli alla disponibilità dei boss della mafia. 

Quando i correttivi appaiono rischiosi 

Dunque Pio La Torre, lavorando su questo originario concetto, concepì le misure di prevenzione. Una legge speciale – che per questo è prevalente su qualsiasi codice – la quale metteva a disposizione della magistratura e della polizia investigativa uno strumento straordinario ed eccezionale che consentiva di individuare i tesori dei boss mafiosi e di metterli sotto sequestro con l’obiettivo della confisca finale, se gli indizi raccolti nella prima indagine fossero divenuti certi agli esiti della celebrazione dell’apposito processo.
Senonché, in quest’ultimo periodo, come appena accennato, – sicuramente dopo il caso Saguto-Cappellano si è formato un gruppo di soggetti (giornalisti, avvocati, commercialisti, uomini di cultura) che, nel protestare contro alcuni procedimenti celebrati dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, hanno contestato la stessa esistenza della legge.
Il paradosso è che mentre altri paesi europei cercano di adottare leggi antimafia italiane, in Italia si rischia di indebolirle.
Il deputato Pietro Pittalis di Forza Italia sostiene che la norma debba essere cambiata ed eventualmente riportata fra le garanzie costituzionali.
Sul punto si deve osservare, in primo luogo, che modificare la normativa che regola l’intero sistema delle misure di prevenzione, non è un’avventura facile perché la legge, nella sua ultima estensione, sintetizza organicamente tutta una serie di leggi precedenti, sorte sempre a seguito degli avvenimenti stragisti e pertanto influenzate da stati d’animo di vero e proprio turbamento.
D’altro canto credo fermamente che si debba fare di tutto per sradicare dalla nostra terra il cancro della mafia che tiene il Paese in perenne emergenza; e in effetti lo strumento è già nelle mani delle Procure della Repubblica e dei giudici. È uno strumento centrale, capace di colpire il cuore delle famiglie mafiose: sono denari, titoli, altri valori cartolari, immobili e aziende. Insomma tutto quello che simbolicamente rappresenta la loro ricchezza tanto da poterla ostentare innanzi alle famiglie contrapposte.
Come già detto, sull’argomento sono intervenuti molti studiosi e cultori della materia che si contendono gli esiti della discussione senza arrivare mai ad una soluzione di sintesi che offra la possibilità di apportare alla legge quei correttivi necessari per una riveduta gestione dei beni sottratti alle famiglie mafiose. Ma per apportare i dovuti correttivi alla legge, bisognerebbe intervenire con un’operazione di chirurgia specialistica; particolarmente nell’attuale momento politico nel quale il governo – che ha imboccato una deriva decisamente autoritaria – preferisce dedicarsi a depenalizzare reati importantissimi per l’esercizio dell’azione penale; preferisce ridurre i poteri delle istituzioni di controllo; addirittura sembra che stia progettando di limitare i poteri di controllo della Corte dei Conti.
Dunque mettere mano a correttivi della legge sulle misure di prevenzione, in questo momento e con queste condizioni, vorrebbe dire rischiare la loro cancellazione o comunque la loro inefficacia ed efficienza. 

Come arginare lo strapotere di Cosa nostra 

È intervenuto più volte anche don Luigi Ciotti per denunciare segnali di cambiamento del paradigma che mette in discussione le conquiste ottenute con la Rognoni-La Torre che, pur con tutti i difetti e le carenze legislative, è riuscita a mettere a segno numerose operazioni in danno delle varie famiglie del sodalizio mafioso.
Ebbene, credo che questa preliminare trattazione sia stata utile per introdurci nel tema dei detrattori delle misure di prevenzione. Quelli che, pur dichiarandosi favorevoli all’uso di tale strumento giuridico, lo criticano, confondendo, il più delle volte, tali misure con i reati penali. È questo il punto, oggetto di discussione, dalla cui impasse non si vuole uscire.
Per comprendere la legge di cui parliamo, occorre affrontare il tema con un approccio giuridico.
I sequestri e le confische rispondono al principio della prevenzione e sono assolutamente indipendenti rispetto alla commissione di altri reati precedenti ma non lo sono rispetto alla pericolosità sociale del soggetto.
C’è un aspetto che viene costantemente proposto dai contestatori della legge: è quello della sua paventata incostituzionalità, in quanto opererebbe notevoli restrizioni, non alla libertà della persona colpita dal provvedimento cautelare, ma anche su altri diritti.
Sul punto ci viene in soccorso la Corte Costituzionale con la pronuncia n. 68/1964, nella quale ha affermato la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione, poiché esse trovano il loro primo fondamento nell’art. 2 della Costituzione che tratta dei diritti inviolabili.
Per concludere, secondo quanto affermato dalla Corte e dalla copiosa dottrina, le misure di prevenzione sono irrinunciabili tenuto conto che nella nostra società non esiste un’alternativa che assicuri la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.
Eventualmente, se occorresse, dovrà essere cura del legislatore intervenire sulla legge per tutelare, con adeguati risarcimenti, quei soggetti che sono rimasti “vittime della legge” dopo essere stati scagionati totalmente dalle briglie del sequestro-confisca.
Ovviamente tutto quanto abbiamo detto presuppone un uso rigoroso delle misure di prevenzione, sia da parte dei magistrati requirenti che di quelli giudicanti; e non possiamo trascurare gli amministratori giudiziari che, agendo come “munus publicum”, nell’espletamento del loro mandato, devono adottare criteri trasparenti ed essere come la moglie di Cesare: al di sopra di ogni sospetto.
Tornando alla necessità di confermare la legge Rognoni -La Torre, non si può prescindere dal valutare che, negli anni ’80 e ’90, Cosa nostra siciliana era divenuta brutale e violenta e possedeva tutti i numeri per decapitare i vertici politici e qualunque altra istituzione. E fu per questo motivo che Pio La Torre si fece promotore di una proposta di legge che potesse arginare quella violenza e stroncare il potere esercitato dal sodalizio mafioso. Quella legge fu proprio la Rognoni-La Torre che prendeva le mosse dalle indagini iniziate da Giovanni Falcone.
Eppure, nonostante i successi, dobbiamo purtroppo constatare che la legge in argomento è sotto processo a Strasburgo, alla Corte Europea per i Diritti umani (Cedu) che ha chiesto al governo italiano spiegazioni idonee sulla compatibilità delle pratiche utilizzate per applicare sequestri e confische e i diritti umani. 

Il momento del cambiamento 

E dunque si ritorna alla legge come legge di prevenzione, anche nella considerazione che lo Stato è tenuto a dare sicurezza al cittadino; e per farlo non può che prefiggersi opera di prevenzione; in tutti i campi: nelle rapine, negli scippi, nel mercato della droga, nei femminicidi. Ed è quello che fa lo Stato; per cui appare necessario cercare di prevenire anche nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata.
Di fronte a tale necessità, non può esserci legge, proposte, o quant’altro che possa giustificare la cancellazione della Rognoni-La Torre.
Lo Stato si deve fare forte e deve mettere tutto l’impegno possibile per legiferare in favore dell’intromissione di ulteriori strumenti legislativi che possano essere di serio ausilio alla magistratura. Lo Stato deve mostrare tutto il suo potere per frenare il potenziale criminale a commettere illeciti, crimini, delitti.
La misura della confisca che decretano i Tribunali della prevenzione agisce direttamente sul patrimonio del prevenuto ed è assolutamente svincolata dal processo penale e dalla relativa condanna.
Ricordo un vecchio articolo del Fatto quotidiano del 3 febbraio 2022, nel quale si diceva che i detrattori della legge (accademici, giuristi in corte), hanno fatto riferimento addirittura all’uso politico che ne fece il fascismo sottolineando la distanza siderale fra la confisca e le garanzie di uno Stato di diritto. Successivamente, in anni più recenti, si sentì la necessità di introdurre nuovi strumenti di legge più efficienti indirizzati agli accertamenti di carattere economico e finanziario. Infatti era il tempo in cui la mafia siciliana cresceva in maniera esponenziale determinando un vero stato di emergenza nella popolazione.
Quello fu il momento del cambiamento; cambiamento nelle indagini, nelle strategie giuridiche, che dettero una vera svolta nell’impegno dello Stato per la lotta a Cosa nostra.
Non voglio discutere i singoli casi di “vittime della legge”. Non è questo il luogo né il momento. Dovremmo, se no, esaminare alcuni processi, come descritti da Alessandro Barbano (“L’inganno”, edito da Marsilio, 2023); da Lucio Luca (“La notte dell’Antimafia” edito da Compagnia editoriale Alberti, 2024); da Salvo Vitale (“In nome dell’antimafia” 2022). Tutti autori di libri che, nell’ambito di una sana dialettica, rappresentano elementi di contrarietà alla legge in questione (Decreto legislativo 159/2011).
Voglio piuttosto porre l’accento su quel pericolo di cancellazione della legge che desta molta preoccupazione.
In proposito, condivido tutto ciò che è stato narrato da Emilio Miceli e da Franco La Torre. Oggi il nostro compito è quello di unirci per trovare una strada comune forte che ci permetta, per un verso, di convincere gli attuali detrattori della legge Rognoni-La Torre sulla bontà della legge stessa e sulla necessità di considerarla uno strumento – o forse lo strumento – per evitare l’escalation della criminalità organizzata; per altro verso di studiare una piattaforma di integrazioni all’attuale legge antimafia al solo fine di renderla più efficiente integrando tutte le parti lacunose.
Il programma è assai arduo perché bisognerà fare i conti con l’attuale governo e con l’attuale maggioranza che, finora, non hanno dato dimostrazione di volere intervenire in tal senso. Anzi, tutti i provvedimenti legislativi emanati mostrano la piena intenzione di smembrare la legge antimafia tanto da garantire la borghesia mafiosa, il potere dei colletti bianchi, il potere politico e amministrativo-burocratico, lasciando a corto di garanzie le classi più deboli.
L’abolizione del reato di abuso d’ufficio, la separazione delle carriere della magistratura, i limiti posti alle intercettazioni, la modifica della prescrizione, l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale, altro non sono se non l’esatta applicazione di un programma fascista a cui si ispira questa maggioranza.
Diciamolo chiaramente. Cosa vuole oggi questo governo se non riportare il Paese in una terra di mezzo grigia in cui può gozzovigliare impunemente il malaffare mentre quella parte di cittadinanza meno abbiente e più debole vivrà costantemente sotto lo sguardo controllore di un governo autocrate.
Per fortuna possiamo contare ancora su una garanzia costituita dalla nostra Costituzione della Repubblica. Ma è nostro dovere e obbligo difenderla in ogni giorno della nostra vita.

 di Elio Collovà

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