Oltre 150 mila società vicine ai boss, quasi la metà è attiva nelle regioni del Sud e in Sicilia

Economia | 28 giugno 2021
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Oltre 150mila società potrebbero essere «connesse a contesti di criminalità organizzata». Un quadro desolante quello che emerge dalla relazione annuale dell’Uif, l’ente antiriciclaggio di Bankitalia diretto da Claudio Clemente. La mappatura delle attività finanziarie illecite ha portato l’Unità a passare al setaccio le imprese «opache», quelle che anche nell’anno della pandemia hanno inquinato il tessuto produttivo. Lo studio, in via sperimentale, è partito dalle informazioni anagrafiche di tutte le società iscritte al registro delle imprese e dei rispettivi esponenti - circa 14 milioni di soggetti -, incrociate con Radar, una super banca dati che contiene Sos (Segnalazioni per operazioni sospette), scambi informativi con la Direzione nazionale antimafia (Dna) e richieste di informazioni della magistratura, spiega oggi Il Sole 24 Ore.

A novembre 2020 le imprese potenzialmente connesse a contesti di criminalità organizzata sono 150mila. La maggior parte delle quali è situata al Sud e nelle Isole (41,9%), ma quote significative operano anche nel Nord (36,2) e nel Centro (21,9%), in linea con le più aggiornate evidenze investigative sia della Guardia di finanza sia dei Carabinieri del Ros. L’incidenza locale delle imprese mappate, sul totale di quelle iscritte al Registro provinciale, tende a essere maggiore nelle province del Sud, con picchi in Calabria, Campania e Sicilia. Nel Centro-Nord le province più interessate sono Roma, Milano, Brescia e Reggio Emilia. Le società incluse nella mappature appartengono a diversi gruppi: le imprese segnalate in Sos riferibili a contesti mafiosi, ricevute tra gennaio 2016 e settembre 2020;  gli amministratori e gli altri esponenti aziendali riportati nelle stesse Sos; gli amministratori e gli altri esponenti aziendali risultati di interesse sulla base dello scambio informativo con la Dna, soggetti indagati per mafia. Stando alle rielaborazioni, le imprese finite nella mappatura non posso essere considerate con certezza infiltrate, controllate o collegate alla criminalità organizzata. Circostanza, questa, che potrebbe essere accertata solo a livello  investigativo e giudiziario.

Uno degli strumenti più utilizzati per truffare il fisco, inoltre è l’F24, «il nostro nuovo kalashnikov», assicurano nelle intercettazioni della Dda di Brescia i colletti bianchi delle cosche di ‘ndrangheta mentre istruiscono gli affiliati sul metodo per massimizzare i profitti. Al netto delle inchieste giudiziarie - che soprattutto in epoca pandemica hanno dimostrato l’estrema versatilità delle organizzazioni criminali nel diversificare il business e affinare le tecniche di lavaggio dei capitali illeciti - gli atti amministrativi fanno piena luce su un «sistema» che si cela nelle pieghe della delega unica di pagamento utilizzata da milioni di contribuenti per versare o compensare tasse, imposte e contributi.

Le prove non mancano. Nel 2020 l’agenzia delle Entrate ha individuato e bloccato un miliardo di indebite compensazioni di crediti d’imposta e crediti Iva nascosti nel modello. Secondo l’Uif (Unità di informazione finanziaria) di Bankitalia, poi, l’80,6% delle segnalazioni per operazioni sospette (Sos) relative a illeciti fiscali hanno riguardato schemi operativi anche relativi a cessioni di crediti e accolli tributari. Al punto da far emergere utilizzi irregolari di questi crediti anche nel settore bancario-finanziario.

Un quadro delle attività antifrode dell’agenzia delle Entrate è riportato nel rendiconto generale dello Stato, presentato dal presidente della Corte dei conti, Guido Carlino. Tra queste risulta il progetto «Ghost Fuel». Avviato nel 2019 dalle Entrate, l’accertamento è finalizzato al blocco delle compensazioni mediante la tempestiva cessazione dei numeri di partita Iva. Le attività di controllo hanno fatto emergere un diffuso uso di compensazioni su questi falsi crediti, sia per proprio conto sia in favore di terzi.

La verifica poggia sull’incrocio dei dati dichiarati al Fisco con le informazioni contenute nelle comunicazioni dei dati delle fatture (spesometro) e nelle fatture elettroniche, così da consentire la «individuazione delle situazioni a maggior rischio». Sono emerse anche operazioni di pagamento tramite compensazione con la tecnica dell’accollo del debito, anch’esse bloccate dall’Agenzia. Complessivamente, nel 2019, sono state individuate e fermate operazioni per un controvalore di 6,6 milioni.

Gli esiti favorevoli del 2019 hanno portato l’amministrazione a estendere il progetto anche ad altri settori merceologici. E i risultati non sono mancati: nell’anno del Covid sono state individuate indebite compensazioni tramite il modello F24 per circa un miliardo di euro. Complessivamente sono 474 le operazioni indebite compiute da 108 soggetti. La tecnica di accertamento è stata affinata, tanto che «l’esperienza operativa – si legge nel rendiconto della Corte dei conti – ha consentito di costruire specifici indicatori che saranno utilizzati per l’analisi di rischio mirata all’applicazione della sospensione delle deleghe F24 con compensazioni considerate a rischio».



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