Negro e omosessuale nell'America del Sud, Greeen Book da Oscar

Cultura | 10 febbraio 2019
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Green book (2018) regia di Peter Farley. "Negro" e omossessuale. Due "colpe" imperdonabili nell'America del profondo sud razzista e violento degli anni '60, anche per il geniale, contegnosissimo e colto, pianista americano Don Shirley, costretto a subire, nonostante le ipocrite e ossequiose accoglienze, ogni sorta di disprezzo e umiliazioni. A difenderlo e "salvarlo" sarà più volte Tony, siculo-americano, grossolano e ignorante, momentaneamente ingaggiato come autista, anch'egli dapprincipio diffidente e sprezzante e infine conquistato dalla compostezza, dalla lealtà e dall'eccezionale virtuosismo del temporaneo datore di lavoro. "On the road" sontuoso, viaggio di formazione per una doppia, tardiva, educazione sentimentale dei due personaggi principali, incontro-scontro di due uomini profondamente diversi - un "duro racconta balle" e un raffinatissimo artista - dal quale alla fine entrambi usciranno profondamente modificati. Mélange di culture (credibile la numerosa famiglia sicula, autoprotettiva e rispettosa delle tradizioni culinarie) "Green book" di Peter Farley, racconta romanzandola una storia vera (alla fine del film, more solito, scorrono foto e brevi tratti biografici dei protagonisti, oggi ormai entrambi deceduti), scansando con accortezza stucchevoli eccessi di sentimentalismo, aiutato da una sceneggiatura senza sbavature, secca e incisiva (candidata all'Oscar), in grado di mettere a nudo anche i profondi recessi di due personalità in principio agli antipodi. Superba prova attoriale del rodatissimo e "ingrassato" Viggo Mortensen (candidato all'Oscar come miglior attore protagonista) e dell'americano di colore Mahershala Ali (anch'egli candidato all'Oscar come miglior attore non protagonista). Un film da vedere, accompagnato da una fastosa colonna sonora, che merita fino in fondo le cinque candidature all'Oscar (anche miglior montaggio e miglior film). Nota di merito al doppiaggio, in particolare al siculo-italiano di Pino Insegno (Tony).



Io sono verticale drammaturgia ispirata alla vita di Sylvia Plath. “Verticalità” ovvero certezza di vitalità, di esuberanza, di rigoglìo contro il “rigor mortis” della “orizzontalità”. Così la poetessa americana Sylvia Plath urla al mondo maschilista la sua ribellione alle regole mortificanti d’un’esistenza domestica, relegata tra le mura d’una soffocante casa-prigione, dalla quale si “libererà” soltanto con la morte. Con una secca, slabbrata, scrittura drammaturgica liberamente ispirata alla poetica dell’infelice Sylvia (nata a Boston nel 1932 e morta suicida a Londra nel 1963), il regista Silvio Laviano (anche apprezzato e conosciuto attore catanese) e l’attrice Alessandra Barbagallo, impegnata in una breve ma defatigante “confessione”, riportano in scena al “Canovaccio” - dividendosi pariteticamente onori ed onori - l’ inquietante monologo “Io sono verticale” che sciorina, tra ironia e disperazione, i temi fetish della brillante poetessa USA, affetta da disturbo bipolare e infine aggredita da un letale stato depressivo. Come in una favola all’incontrario, dove è bandita ogni letizia, cancellata da un finale horror, il monologo apre con angoscianti interrogativi (E se la Bella addormentata non si risvegliasse dopo il bacio del principe? / Se Cenerentola non calzasse mai quella scarpetta? / Se il lupo avesse digerito Cappuccetto Rosso?  Se il cacciatore avesse strappato il cuore dal petto di Biancaneve?) metafora nera della vita della Plath (finita infilando la testa in un forno) a quanto pare angariata dalle vessazioni fisiche e psichiche del marito, il poeta inglese Ted Hughes, dal quale si separerà perché ripetutamente tradita, ma al quale resterà legata da un amore infelice e funesto. Prismatica performance di Alessandra Barbagallo, che l’accurata regia di Silvio Laviano fosforizza fino all’incandescenza rendendo autentica e palpitante la sofferenza della protagonista. Produzione progetto S.E.T.A. - Studio Emotivo Teatro Azione in collaborazione con l’associazione culturale Madè.

 di Franco La Magna

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